Dal Cairo ad Abu Symbel / 2009
Dal Cairo ad Abu Symbel / 2009
01 giorno
Venerdì 30 ottobre 2009
Attesa prima dell'imbarco a Milano Malpensa, luogo quantomeno originale per cominciare un'avventura in bicicletta. Tant'è, questa volta tra noi e la nostra meta c'è di mezzo il mare, il Mediterraneo nello specifico, e siamo costretti a pagar dazio ad Icaro. Volo diretto Milano-Cairo; tra l'assopimento generale causato da una notte passata in bianco per raggiungere per tempo l'aeroporto milanese, si sente una voce gridare: eureka. Ci destiamo dal torpore e vediamo la faccia eccitata di Alessandro, nostro ciclista e compagno d'avventura, che agita con la mano destra la pagina di una rivista che stava sfogliando e che aveva trovato pigramente abbandonata su una poltroncina.
“Ho capito” - ripete Alessandro con una voce quasi alterata - “ecco cosa siamo, ecco qui il nostro pensiero esplicitato in poche ma convinte parole”. E ci indica il titolo di un breve articolo che stava sfogliando distrattamente. Cercare ci rende felici più che trovare.
Sì, in effetti siamo qui pronti ad esplorare questa terra impastata di sabbia, deserto, piramidi e templi, popolata di fantasmi di archeologi barbuti, di faraoni, mummie e sarcofagi e ci rendiamo conto che probabilmente ci siamo imbarcati in questa nuova avventura divorati soprattutto da questo tarlo della curiosità, del cercare, del mettersi in discussione, del provarsi. Per quanto riguarda il trovare poi, sarà un altro discorso, certamente eccitante ma non per forza risolutivo.
Ecco siamo partiti, ormai il dado è tratto, questa stimolante figura di Belzoni si parrà davanti ai nostri occhi ogni giorno, ad ogni giro di pedivella e cercheremo di scovarla nascosta tra i templi da lui scoperti, nella “sua” tomba, cioè quella di Seti I a Luxor, nel sorriso enigmatico di qualche sfinge, nelle dune di sabbia al confine del Sudan, tra i flutti increspati del grande Nilo, padre-padrone dell'Egitto, in qualche palmeto delle oasi nel deserto.
Eccitati da questa nuova avventura ma anche provati dalla notte insonne, qualcuno di noi ha avvertito la sensazione di incrociare lo sguardo magnetico di questo avventuriero di due secoli fa. Uno sguardo intenso, profondo, da sognatore romantico ma anche da uomo pratico e volitivo. Due occhi marrone, enormi, scurissimi: erano sul volto di un bimbo egiziano all'aeroporto del Cairo. Era in braccio alla mamma, non più di un anno d'età, ma di una profondità e serietà che ci hanno messo in serio imbarazzo: il suo sguardo severo più volte si è posato sulle nostre linde divise azzurre, indagando, cercando, quasi frugando nelle nostre anime. Era uno sguardo bambino e antico, innocuo ma penetrante. Ci ha colpito, ci ha toccato, ci ha eccitato.
E con il nostro sguardo andremo a cercare, a scoprire. Chissà cosa, chissà chi.
Oggi, all'arrivo in albergo, dopo un veloce transito attraverso questa megalopoli da 20 milioni di abitanti spalmata su di un'area infinita che abbiamo appena fatto in tempo ad annusare, le mani sapienti e pratiche dei ciclisti hanno in un paio di ore ricomposto i mezzi meccanici smontati per il trasporto aereo. Eccoci pronti e in piena efficienza, cavalli e cavalieri. Due giorni di visite alla splendida capitale dell'antico Egitto e poi scioglieremo le briglie.
Ma prima, ci sarà il momento più significativo di tutto il nostro viaggio, il progetto di collaborazione promosso dall'Ail tra il reparto oncoematologico dell'ospedale di Padova e il Children's Cancer Hospital Egypt 57357, a suggello di questo abbraccio tra avventura, sport, solidarietà e cultura.
Questa sera infatti, proprio per stabilire gli ultimi preparativi con la dirigenza dell'ospedale cairota, la nostra Franca Lovisetto, il prof. Carli, il direttore dell'Ail dr. Vettore, accompagnati dal fotografo Pierluigi Fornasier e dell'operatore Giancarlo Murer, hanno effettuato una riunione di coordinamento. L'ingranaggio è ormai in pieno movimento.
02 giorno
Sabato 31 ottobre 2009
Come si fa? Come si fa a sfuggire ai luoghi comuni, alle inquadrature trite e ritrite, alla foto di gruppo con la Sfinge o a quella del cammello con sfondo di piramidi? Sfido chiunque a riuscirci quando si parla di Cairo classico, quando si tratta di inventarsi qualcosa di nuovo davanti ad alcuni dei monumenti più conosciuti del mondo? No, non ci si può effettivamente inventare nulla di diverso o di originale, ci si può, però, ancora emozionare davanti a stimoli tanto forti, ad immagini così impattanti dal punto di vista emozionale. A patto di riuscire ad astrarsi, di non farsi condizionare dai venditori ambulanti di paccottiglia, dai questuanti importuni, delle migliaia di turisti accaldati in cerca, come noi, dell'inquadratura perfetta, dei cammelli ruminanti, delle mini-piramidi in svendita a 1 euro, dai venditori di bibite fresche, dal rumore del caos cittadino, dalla vista di queste opere d'arte millenarie assediate dal cemento, circondate dai tralicci, soffocate dal traffico. Riuscendo a fare tutto questo allora ci si può immergere in questo mondo antico, si riesce a fare un salto di oltre 4000 anni, tornare al tempo di Cheope, Chefren, di Micerino, delle dinastie faraoniche. E noi ci siamo riusciti.
Sfilati col nostro pullman per una città tentacolare, in cui si possono vedere case non ultimate, scheletri di cemento armato con cavi di acciaio arrugginiti protesi verso il cielo, tetti e terrazze ripieni di immondizia, pecore che brucano sui bordi della strada, un cavallo che trotta sull'asfalto, vecchie millecento Fiat cariche all'inverosimile, camion con cassoni strabordanti frutta e verdura, giungiamo dalla piana di Giza fin dentro al museo archeologico del Cairo con gli occhi e la mente ancora inebriati dalle visione dei più celebri simboli dell'antico Egitto.
All'interno del museo, guidati dalla sapiente e stentorea voce di Adel - la protettiva guida che ci seguirà per tutto l'Egitto nel nostro rocambolesco vagabondare – siamo stati proiettati in un altro fantasmagorico viaggio nel tempo, e altri innumerevoli flash si sono impressi nelle nostre retine. Un vero caleidoscopio di suggestioni.
Statue dagli occhi bistrati, dischi solari, un riflesso splendente di oro e di turchese, sorrisi ieratici di faraoni, Nefertiti, la regina Hatchepsout, barbe finte, la dea del Piacere, rotoli di papiri, serpenti, falchi, loto e papiro.
E poi ancora sciacalli, ippopotami dai scintillanti denti di avorio e levigate lingue di corallo rosa, in una imperterrita ricerca dell'eternità, dell'immortalità, sublimata nella arte dell'imbalsamazione.
E imbalsamati noi lo siamo restati davvero davanti a questa teche, di rara bruttezza e che stridono per l'allestimento abborracciato e antiquato rispetto la ricchezza frastornante delle opere custodite, quando ci siamo trovati al cospetto della famosa maschera di Tutankamen. Ieri parlavamo di sguardi, quello irrequieto del Belzoni, quello curioso e avido di noi ciclisti. Ecco, oggi quello sguardo penetrante e magnetico che dalla maschera dorata si è inchiodato nei nostri occhi ci ha annichilito, colpito, segnato. Siamo restati calamitati dai suoi tratti morbidi e assai moderni, a dispetto dei quasi 3300 anni.
E grazie al suo straordinario e ricchissimo corredo funebre, l'antico faraone della XVIII dinastia ha costretto noi, uomini del terzo millennio dopo Cristo, a un salutare bagno di umiltà. Noi con le nostre convinzioni, sicurezze, con la nostra civiltà superiore ci siamo resi conto che 4.000 anni fa gli Egizi avevano inventato già tutto (o quasi) dai letti pieghevoli agli ombrelloni per ripararsi dal sole, dalle scarpe infradito, al rasoio da barba e infiniti altri attrezzi. E ovviamente tralasciando ben più importante vette del sapere e della conoscenza nel campo delle scienze, dalla medicina all'astronomia e tanto altro.
Insomma, la giornata di oggi è stato un approccio un po' caotico ma intensissimo con l'antico Egitto che promette scoperte future assai interessanti. Domani ci attende l'importante ufficializzazione del progetto di collaborazione con il Children's Cancer Hospital 57357 e il reparto oncoematologico di Padova del prof. Carli - anche quest'oggi al nostro fianco assieme alla simpatica signora – gemellaggio che avverrà domani mattina con cerimonia pubblica davanti alle più alte autorità dello stato e dell'ospedale. Ci saranno anche le televisioni egiziane e la Rai. Bene, siamo contenti ed eccitati.
E, noi ciclisti, ancor di più al pensiero che lunedì mattina all'alba finalmente intraprenderemo il nostro viaggio e lungo pedalare. Stiamo scalpitando.
03 giorno
Domenica 1 novembre 2009
Oggi alle 8, dopo la colazione, siamo pronti a partire in pullman… vestiti da ciclisti. Dobbiamo infatti recarci alla cerimonia ufficiale all'Hospital Children's Cancer Egypt 57357 con la nostre biciclette ma è assolutamente impensabile pedalare nel traffico assurdo e micidiale della capitale: verremmo sicuramente falciati da qualche automezzo killer e la nostra assennatezza (è proprio vero che stiamo invecchiando....) ci porta a reprimere il primo impulso - che sarebbe ovviamente quello di raggiungere la meta in bici - e ci adattiamo all'ultimo compromesso. Risultato: carichiamo le bici in pullman, 3 nel portabagagli e quattro incastrate alla buona sui sedili posteriori del mezzo. Stiamo per partire quando Aldo annuncia costernato di non essere riuscito a trovare il proprio casco. Ha cercato bene dappertutto nella nostra spaziosa stanza eppure non l'ha fatto saltar fuori. No, non si può partire senza casco, non tanto per la sicurezza che oggi non è in discussione, ma per l'estetica: il nostro desiderio è di evitare la figura cosiddetta “una scarpa e un zocolo” e vogliamo apparire nelle foto ufficiali e nelle riprese televisive vestiti tutti uguali. Quindi invitiamo Aldo a cercare con maggior attenzione. Alla fine torna trionfante dalla caccia grossa con la testa ben protetta dall'elmetto di plastica. “Per forza non lo trovavo, vi sfido a indovinare dove l'avevo istintivamente messo l'altro ieri, all'arrivo in camera” ci dice sorridendo sotto i baffi. Poi, senza aspettare la risposta alla domanda retorica, ci svela l'arcano: “Nella cassaforte”.
Ecco una bella immagine di come siamo, dell'importanza che riveste per noi la bicicletta e tutti i suoi annessi e connessi, preziosi al punto tale da essere custoditi in un forziere.
Questo è l'incipit di una giornata memorabile, per l'appunto il gemellaggio con l'ospedale cairota le cui fattezze ci lasciano esterrefatti: una struttura in cemento, acciaio e vetro, con due enormi superfici specchiate che ricordano le vele di una feluca, un rivestimento di pietra ocra che evoca il deserto e una sfumatura turchese del vetro che richiama il colore delle decorazioni dei templi egizi. Sembra di essere al cospetto di una banca ultramoderna in una metropoli americana, invece siamo in Africa, seppure nella capitale di un paese sufficientemente all'avanguardia. Ma davanti a questa oasi di modernità e di efficienza transitano anche carretti trainati da cavalli, le strade sono intasate del solito traffico caotico.
Siamo attesi da un nutrito e vociante gruppo di fotografi e di operatori di numerose televisioni egiziane e anche dalla Rai italiana con i suoi due corrispondenti dal Cairo, Neliana Tersigni e Marc Innaro. Interviste un po' a tutti. Come al solito il nostro Bepi, capitan Uncino, attira l'attenzione e catalizza l'interesse degli obiettivi con il suo manubrio dotato di protesi per accogliere il suo moncherino e poi andiamo tutti nell'avveniristico auditorium dove si celebra la cerimonia con discorsi del presidente Vettore, del prof. Carli e del direttore sanitario cairota. Sono state quindi poste le basi per questa collaborazione i cui presupposti sembrano ottimi, data la modernità ed efficienza dell'ospedale 57357, che a dire il vero fa impallidire le analoghe strutture italiane (anzi al dire il vero di strutture paragonabili non ce ne sono proprio). Nel primo pomeriggio noi ciclisti, vestiti di tutto punto e guardati con un misto di ammirazione e reverenza (in questo caso è l'abito che fa il monaco...) dai bambini ricoverati, ci siamo inoltrati in una visita. E' stato interessantissimo, eppure molto duro inoltrarsi nei reparti, vedere tanti volti provati, bambini piccolissimi aggrappati alla mamme, in alcuni casi completamente velate, sempre con la paura di essere importuni, di rubare la loro intimità e la loro sofferenza. Duro ma importante (ho visto scorze dure di impenitenti ciclomani asciugarsi furtivamente gli occhi inumiditi) e assolutamente istruttivo. E soprattutto è stato incredibile constatare il contrasto tra questo ambiente perfettamente asettico e la realtà che è scorsa davanti ai nostri occhi in questi due giorni. E' un bel segnale constatare che questo nuovo ospedale, due anni di vita, sia stato creato puntando direttamente al top, al massimo, offrendo ai bimbi di questa nazione un'assistenza gratuita per coltivare il sogno di far nascere la speranza di una vita che continui.
E il nostro impegno sarà di trasmettere queste impressioni e farci promotori e sostenitori di operazioni a sostegno di questo gemellaggio.
La serata si è conclusa con un cocktail presso l'Ambasciata Italiana al Cairo: l'ambasciatore Claudio Pacifico ci ha accolto con cordialità, curiosità e interesse, in poche parole siamo stati al centro dell'attenzione e abbiamo risposto alle domande curiose degli altri invitati italiani in relazione alla nostra avventura sulle orme del Belzoni che finalmente sta per iniziare.
Domani, si comincia: il deserto e l'oasi di Al Fayum ci aspettano.
In noi c'è la soddisfazione di cominciare a muovere le gambe ma anche un pizzico d'inquietudine per il forte vento che si è alzato nel pomeriggio: iniziare la nostra avventura con una tempesta di sabbia sarebbe anche suggestivo ma questo brivido lo lasceremo volentieri ad altri...
Domani vi diremo.
04 giorno
Lunedì 2 novembre 2009
Pronti, attenti, via! Alle ore 5.59, con l'aurora che sta lentamente spegnendo le stelle in cielo, una brezza più fresca del previsto battezza il nostro viaggio. Le gambe cominciano a frullare, la strada si fa viaggio e il viaggio sarà, ricerca, fatica e stupore.
La tappa odierna è insolita, una sorta di eccezione rispetto quella che sarà la nostra regola, cioè pedinare il Nilo, nostro compagno di viaggio di questi giorni. Oggi invece nostro compagno sarà il deserto, non vedremo mai i flutti del fiume dorato ma pedaleremo tra i marosi delle dune, anzi nella calma piatta di questo mare di sabbia e sassi.
La nostra meta odierna è l'oasi di Al Fayum, una delle zone verdi più estese dell'Egitto, larga 70 km e lunga 60, un vero e proprio microcosmo in cui è possibile ammirare fra i più bei paesaggi del paese. E si può addirittura affermare a buon diritto che questa tappa sia tecnicamente in discesa, dato che il Cairo si trova a 74 metri sul livello del mare e l'arrivo, ad Al Fayum, è una depressione a -45 metri sul livello del mare.
Ma allora è proprio un vizio, per noi viaggiatori in bicicletta, andare alla ricerca delle depressioni più profonde della terra! Nel lungo viaggio effettuato nel 2001 da Venezia a Pechino siamo infatti passati per Turpan e i suoi terribili 45 gradi della seconda depressione nel mondo a -154 metri, poi nel 2004 abbiamo provato la nostra resistenza confrontandoci a pedali con il Mar Morto e i suoi -408 asfissianti metri s.l.m. E oggi ci misureremo con questa ulteriore conca, seppur ingentilita da un paesaggio – dicono - da favola. Con corsi d'acqua, campi irrigati e perfettamente coltivati a canna da zucchero, verdure, agrumi, noci e olivi, grazie anche all'azione benefica del fiume Bahr Yusuf, affluente del Nilo e che gli scorre parallelo per diversi chilometri.
Ma intanto stiamo pedalando su questa striscia d'asfalto dritta come un fuso che punta verso sud-ovest. Il traffico è decente, mano a mano che ci allontaniamo dalla capitale la nostra carreggiata si svuota e inversamente si popola quella in direzione Cairo. Certo, saremo anche alle sei di mattina ma il traffico è decisamente tutt'altra cosa rispetto ai tre giorni precedenti, per fortuna. Assistiamo comunque inorriditi a sorpassi azzardati, a mezzi motorizzati in fin di vita ma che trasportano ancora, suturati con fili di ferro e spaghi da abili chirurghi meccanici, persone e cose. In numero esorbitante.
Ecco che sta avvenendo il miracolo: il rapimento del viaggio che ci sta montando dentro, i nostri occhi avidi cercano a destra e a sinistra le prime suggestioni. Che non sono ancora particolarmente esaltanti: tralicci, inquinamento, sporcizia sui bordi delle strade. Ma in compenso l'asfalto è abbastanza buono, anzi complessivamente più che scorrevole, una bella sorpresa. Almeno per questa tappa. E poi i nostri occhi cominciano a cogliere anche flash di donne completamente velate ai bordi della strada che trascinano un bufalo nero come la loro tunica, bambini che camminano di buon passo per recarsi a scuola, vacche striminzite al limite dello sfinimento, moltissimi asinelli, un mezzo di trasporto ancora efficacissimo e diffuso. Ecco, quell'asinello grigio, piccolo ma tosto, che trasporta un padrone massiccio coperto di un caffettano bianco mi trasporta all'indietro nel tempo, al periodo del nostro Belzoni, quando lo stesso “signor B.” sosteneva che gli asinelli erano il mezzo di veloce per spostarsi in Egitto. Sentiamo cosa dice nel suo “Viaggio e scoperte in Egitto e Nubia, pubblicato nel 1820: “Cavalcammo degli asini, l'unico modo, e il più comodo per un europeo, per viaggiare in Egitto.” Eccolo, quell'omone sull'asino transitato nel deserto forse è proprio il suo fantasma.
A proposito di fantasmi e dell'aldilà passiamo davanti a un agglomerato di costruzioni che all'inizio abbiamo scambiato per abitazioni ma poi capiamo essere un'enorme cimitero, uno dei tanti del Cairo - trasportato per comodità a quasi 30 chilometri dalla metropoli - un infinito e multicolore susseguirsi di tombe che assomiglia al fondale di cartone da spaghetti-western, insomma un'enorme città dei morti allungata che ha continuato ad accompagnarci addirittura per 5 o 6 chilometri.
Oggi abbiamo l'opportunità, ahinoi, di scoprire che quello che sembra un deserto assolutamente piatto è in realtà una serie continua di numerosissime salitine con relative discese, quasi fossero delle dune, di poco dislivello ma alla lunga si sentono sulle gambe. Anche perchè il tanto temuto vento che ieri abbiamo notato alzarsi quest'oggi non ci è stato per niente amico e anzi l'abbiamo avuto di trequarti per quasi tutto il tragitto. La tappa comunque, non per scelte particolari ma per poter visitare l'oasi di Al Fayum è delle più corte, un'ottantina di chilometri.
Per farla breve, partiti alle sei della mattina e superati velocemente due posti di blocco della polizia grazie all'intermediazione della nostra guida Adel e degli altri accompagnatori che da oggi si sono aggiunti (un'altra vettura al seguito con due persone che cureranno il nostro catering (non tutti i luoghi dove ci fermeremo davano garanzie di alimentazione adeguata alle esigenze di un gruppo sportivo, quindi Ramon e il suo assistente ci seguiranno per tutti i restanti giorni allestendo il pranzo al volo – lungo il percorso – e pure la cena la sera e la colazione del mattino) giungiamo alla nostra meta, nel suggestivo lago salato di Qarun, dopo 82 chilometri, alle ore 9.30, cioè l'ora in cui normalmente in questo periodo invernale ci troviamo per iniziare un'uscita domenicale. Oggi invece è l'ora in cui scendiamo di sella. E proprio vero che tutto è relativo.
Oggi è stato il primo giorno di viaggio di noi ciclisti, protetti dal pullman che ci ha scortato e anche dall'euforico Aladino che, a bordo di una motocicletta araba, ci scorterà per tutto il viaggio. Un'avventura anche per lui: sarà basilare ausilio per noi.
Dopo una salutare doccia (acqua molto fredda e molto poca) nell'albergo che ci ospita, e che definire spartano è atto di vera generosità, partiamo immediatamente in pullman per ammirare i due importanti siti archeologici di Al-Lahun e Hawara, dove abbiamo visitato le rovine delle due famose piramidi di mattoni di fango.
Note tecniche
La strada che porta dal Cairo a Al Fayum è nel complesso buona, con asfalto scorrevole, e non particolarmente trafficata, almeno per i canoni egiziani. A parte i primi 6 chilometri con vento a favore (che illusione...) abbiamo trovato sempre vento trasversale e sulla tre quarti, quasi contrario, che ci ha costretto a diminuire l'andatura e a stringere i denti. Speriamo che domani, raggiungendo il Nilo, le cose cambino e che le previsioni di venti costanti dal nord verso sud siano rispettate. Incrociamo le dita.
Cairo (piramidi di Giza) – Al Fayum: km 82, partenza ore 5.59, arrivo ore 9.30, tempo effettivo di corsa ore 3,22, media 24.4 kmh.
05 giorno
Martedì 3 novembre 2009
Dopo la prima tappa di assaggio di ieri, molto breve, quest'oggi il percorso è molto impegnativo anche perché, se nella nostra programmazione a tavolino la distanza tra Al Fayum e El Minya era 160 km, come sempre succede, la realtà è tutt'altra cosa – soprattutto in Africa – e quindi vediamo trasformarsi la frazione odierna in un qualcosa di esagerato, 215 km. Alla nostra costernazione iniziale si aggiunge, come ciliegina sulla torta, la notizia che il governatore della provincia di Minya, con cui avevamo stabilito un appuntamento ufficiale presso il suo ufficio, ha dovuto anticipare l'appuntamento per le ore 14. Il problema dunque era questo:dato il punto di partenza A che dista 215 chilometri dal punto di arrivo B, che media devono sostenere dei ciclisti che possono pedalare solo alla luce del sole, posto che l'alba sia alle 6 della mattina, e devono essere al governatorato di Minya alle 14, possibilmente non puzzando come caproni per il troppo sudore? Tale quesito con la Susy, di enigmistica memoria, ha impegnato per una buona mezz'ora le nostre teste lucide del gruppo, i ciclisti Aldo e Alessandro, il fotografo Pierluigi, il presidente AIL Armenio, lo psicologo in moto Aladino, lo storico Ugo, il ritrattista Donato, l'organizzatrice e accompagnatrice Franca, ma non si è trovata la soluzione. Quindi la decisione finale è questa: partire all'alba, pedalare senza troppe soste fino alle 11.30, mangiare al volo una pastasciutta precedentemente preparata dal nostro se guito, e poi effettuare i chilometri restanti in pullman per giungere in tempo dal governatore. Un po' di mugugni tra i ciclisti più duri e puri, ma poi non ci sono, per l'appunto, altre alternative: nel nostro tipo di viaggio, culturale ma anche spiccatamente solidale, questi incontri sono molto importanti.
Fattostà che la mattina ci svegliamo al fantozziano orario delle 4.45, che sarà la costante di tutto il viaggio e che è comunque un piccolo progresso rispetto le 4 e 30 del giorno precedente. Gli occhi cerchiati di qualcuno di noi, e siamo solo al 5 giorno di permanenza, fanno presupporre che non torneremo a casa freschi come delle rose. Moglie avvisata, mezza salvata.
Un'alba straordinaria sul lago dorato ci vede partire pimpanti, qualcuno nella pancia del gruppo sostiene “anche troppo” e i miei occhi incocciano in una snella ed elegante lancia in legno, spinta da due lunghissimi remi. La solennità del suo lento procedere mi ha emozionato e fatto ripensare alla mia laguna. La palla infuocata ci ha indicato la strada fra campi coltivati, contadini al lavoro, traffico veicolare intenso ma che contemplava pure, in piena autostrada dove noi siamo transitati a lungo, anche il passaggio e attraversamento di un gregge di pecore. Qui in Egitto anche loro hanno diritto di cittadinanza.
Scorta di polizia oppure di camionette dell'esercito, che si danno il cambio ai confini comunali, andatura allegra grazie al clima straordinario e ideale che stiamo trovando (alla facciaccia vostra e delle notizie che ci pervengono da una fredda e piovosissima Italia) con temperature attorno ai 30 gradi ma molto asciutto, tanto è vero non si suda – o quasi – neppure in bicicletta.
Superiamo un anziano, almeno ai nostri occhi appare tale, che con calma egizia pedala llentamente su una vecchia bici sgangherata carica di stie da polli. Arrivati vicini al Nilo, la strada si snoda parallelamente al fiume magico, ancora dentro al deserto. Il traffico è buono, alcune lunghe salite rallentano ogni tanto la nostra andatura ma siamo sempre pimpanti. Alle 10 e 20 il nostro computerino indica il superamento dei 100 chilometri, e ogni tanto registriamo le sfuriate solitarie del nostro cavallo pazzo Romeo, decisamente il ciclista più preparato e più forte, che per sciogliere le gambe, ogni oretta va a farsi un giretto in avanti sul filo dei 40 all'ora.
In poche parole,arriviamo al luogo dove è predisposto il pranzo, una sorta di bar in pieno deserto, alle !2 in punto, dopo aver coperto 136 chilometri. Pranzo veloce, una ottima pastasciutta (ah, i carboidrati...), un caffè da moka (a qualcosa non si riesce proprio a rinunciare) e poi tutti in pullman di corsa dal governatore. Il quale ci riceve alle 14.00 in punto e in una cerimonia sentita e non troppo formale ci comunica il suo interesse per la nostra spedizione, per il nostro progetto e ci congeda con un grande augurio. Scambio di doni e gagliardetti, breve discorso ufficiale e un'intervista della televisione locale di Minya. Chicca finale: siamo invitati dal governatore ad assistere questa sera ad uno spettacolo folkloristico locale.
Note tecniche
La strada continua ad essere buona, abbiamo pedalato per più del 50% del percorso su quelle che loro chiamano autostrade ma che sono delle superstrade. Bisogna stare attentissimi alle immissioni perché qui il concetto di precedenza non esiste, tagliano la strada, svoltano improvvisamente, insomma, sempre all'occhio. Clima ottimale, caldo secco, si suda pochissimo.
Al Fayum-sosta pranzo nel deserto: km 136, partenza ore 6.07, arrivo ore 11.59, tempo effettivo di corsa ore 5.35,, media 24.3 kmh.
06 giorno
Mercoledì 4 novembre 2009
Oggi abbiamo compiuto un tuffo nell'Egitto rurale, assaporandone gli aromi, i rumori, le sorprese, i mercati, i lavori dei campi, il continuo raglio degli asini, in assoluto il mezzo di trasporto più utilizzato per gli spostamenti di cose e di persone. E un tuffo nell'Egitto rurale non può essere che un salto all'indietro di anni, di secoli, oserei dire di millenni. Se togliessimo infatti i pali dell'illuminazione pubblica e sradicassimo le poche parabole che pendono da qualche balcone scalcinato, potremmo essere perfettamente ai tempi dei faraoni. Infatti i fellahin (contadini) con le tuniche lunghe fino ai piedi e un turbante colorato in testa, falcetto in spalla o qualche altro rudimentale strumento agricolo, l'immancabile asinello, per i più ricchi, danno l'impressione di essere vestiti nella stessa maniera dei loro avi di tre/quattro millenni fa. E spesso ce li siamo visti venire contromano, nella strada principale, con il loro piccolo animale da soma carico di fasci di canne da zucchero. Stupore nei bambini, ammirazione negli adulti, moltissimi saluti e grida dai campi, sempre con affetto e curiosità, mai per chiedere soldi. Campi verdissimi, canali di irrigazione, terra fertilissima e ricca, con prodotti dei campi di dimensioni mastodontiche come cavoli e zucchine che vediamo spesso trasportate nei carri.
E vicino al Nilo, sui campi, vediamo spesso pompe idrauliche, che ci fanno pensare al nostro Belzoni, che si era recato in Egitto con lo scopo di vendere al pascià il suo brevetto di una innovativa ruota idraulica per portare le acque del Nilo fino alle terre da irrigare con maggior velocità e minor dispendio di energie animali. Ma ebbe la sfortuna di andar contro gli interessi della “mafia” dei ciucci che aveva tutto da perdere dalla sua invenzione e quindi venne boicottato. A tutto vantaggio dell'egittologia perchè il “Signor B.”, trovandosi con le mani in mano, si mise a girare l'Egitto e a scavare reperti basilari per la conoscenza della cultura dei faraoni.
Passa sferragliante e veloce un treno che si specchia sulle placide acque del Nilo e la nostra mente, in perenne movimento grazie allo movimento ipnotico della pedivella, non può non subire per qualche istante ai gialli di Agata Cristhie, altro tuffo nel passato, anche se ancora recente.
Durante l'attraversamento di un villaggio, incappiamo in una montagna semovente di erba da cui spuntava, proprio nel centro, dondolante, la testa di un dromedario. E subito dopo ci è apparso un vastissimo cimitero con tombe, vere proprie casette di fango, caratterizzato dalla presenza di un numero infinito di cupole.
Eccitati da tante novità, alle 8.45 giungiamo nei due siti archelogici che dobbiamo visitare, quelli di Tuna Al-Gebel, dove si trovava la capitale dell'Antico Egitto fatta trasferire momentaneamente dal Faraone Akenaten, il marito di Nefertiti. Dopo una attenta visita a una antica stele litica che indicava il confine occidentale della città, ci trasferiamo con una suggestiva camminata tra le dune fino alla tomba di Petosiris, alto sacerdote vissuto poco prima dell'arrivo di Alessandro Magno (3 secolo a.C.), caratterizzata da splendidi rilievi policromi raffiguranti lavori dei campi e scene di vita quotidiana, proprio quello che abbiamo visto con I nostri occhi un'ora prima.utto molto interessante ma, la visita ci impegna per un paio d'ore e la strada ci chiama...
E qui succede il misfatto, nulla di eccezionale per carità, anzi una cosa cui dovremmo abituarci in quesi giorni per non rovinarci il fegato. Ecco svelato l'arcano. Vi ricordate la tappa di ieri che è lievitata da 160 a 215 chilometri? Bene, oggi doveva essere di 140 km e ci siamo accorti, leggendo I cartelli chilometrici lungo il percorso, che lo stesso si era allungato fino al numero ragguardevolissimo di 205. Che sarebbe stato anche fattibile, se non ci fosse stata la sosta culturale di 2 ore... A questo si aggiunga il fatto che il nostro cuoco, quel Ramon a cui almeno dieci volte al giorno qualcuno di noi grida “Dritto al cuore, Ramon” e a cui avevamo consigliato di effettuare la sosta/pranzo dopo 40 km circa dalla visita, ci comunica che è fermo a 70 km di distanza perché non ha trovato alcun posto dove fermarsi prima, essendo la strada verso la nostra sede di tappa uno stradone che attraversa il deserto più desolato. Impossibile arrivarci, sostengono I ciclisti, che fremendo continuano però a pedalare. Dopo altri 40 chilometri, caratterizzati da alcune salite e vento a tratti contrario, dal mezzo al seguito ci comunicano che Ramon è fermo 30 chilometri più in là del previsto. Apriti cielo! Decisione immediata da prendere: sono le 13 ed è impensabile pedalare per altri 70 chilometri dopo averne fatti già più di 110. A malincuore e lasciandosi sfuggire qualche bella imprecazione I 7 ciclisti caricano le bici in pullman e montano, fino a raggiungere il luogo della sosta. Una buona pastasciutta calma gli animi e I restanti 32 chilometri, notare che sulla carta ne risultavano 20, vengono coperti quasi volando, grazie a una leggera ma piacevole discesa accompagnata da una brezza alle spalle che ci ha permesso di effettuare lunghe trenate oltre I 40 kmh. La bella città di Assiut ci accoglie alle 16.
Note tecniche
Il percorso si è snodato per 40 km lungo la sponda sinistra orografica del Nilo, lungo una strada scorrevole ma che attraversava cittadine popolose e colorate. Poi ci siamo inoltrati in una splendida stradina di campagna, sufficientemente scorrevole anche se con qualche rugosità. Quindi abbiamo effettuato gli ultimi 80 km su autostrada con traffico molto limitato ma con un panorama desertico e brullo.
El Minya – Assiut, 142 km,. Partenza ore 6.10, arrivo ore 15.55, ore effettive di sella 5.29, media 26,0.
07 giorno
Giovedì 5 novembre 2009
Seduto a petto nudo sul terrazzino della stanza che condivido con Aldo – fido compagno di numerose altre avventure in bicicletta – mi godo la vista di un immenso e placido Nilo che pigramente scorre sotto le finestre del Nile Hotel (eh, eh) di Sohag. A completare il quadretto idilliaco ecco un filare di palme da dattero lungo la riva e la cantilena assordante di un muhezzin che ci ricorda, casomai ce ne fosse bisogno, dove ci troviamo.
In effetti non ce n'è proprio la necessità perché anche la giornata di oggi si è svolta secondo i canoni di un'egizianità classica, sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista culturale, dato che abbiamo effettuato la visita di uno dei templi più importanti e spettacolari, quello di Abydos, dedicato a Sethi I e sede del culto di Osiride.
La giornata comincia, ovviamente dall'alto della sella, da dove ci godiamo un'ulteriore alba sul Nilo filtrata da una spettacolare luce radente, nel traffico ancora scarso delle 6 del mattino. Vediamo sbadigliare la città di Assiut, stiracchiarsi le membra come un gatto lungo l'asse del grande fiume. Oggi lo costeggiamo per tutta la giornata e ammiriamo il sole (il dio Ra al tempo dei faraoni) che fa capolino tra le foglie delle palme da dattero, che si specchia sui fossi che costeggiano gli ubertosi e verdissimi campi, che gioca di continuo con le nostre ombre divertendosi a spezzarle, che infine si riflette sull'asfalto liso che ospita, come oramai siamo abituati, un'umanità varia e in moto perpetuo. Vediamo giovani seduti sui talloni che masticano canne da zucchero, adulti che intrecciano cesti, bimbi che ci salutano urlando dai campi, dai cassoni dei carri agricoli, dagli asinelli che cavalcano.
Sono grida di gioia, sorrisi disamanti, occhi profondi. E felici.
Noi stiamo continuando la nostra discesa verso sud, o meglio la nostra risalita della corrente, come dei salmoni a due ruote, pedinati continuamente dalla polizia che ci segue come un'ombra. In più ogni 10 km circa c'è un posto di blocco in cui c'è una verifica del nostro passaggio. Siamo certi che senza la nostra guida e la nostra scorta che ci precede il transito attraverso questi luoghi sarebbe molto più faticoso e dispersivo in termini di tempo. In più, a rallentare l'andatura, in corrispondenza dei posti di blocco e anche q
all'interno delle città che attraversiamo, ci sono innumerevoli dissuasori di velocità cher rendono pericolosissimo il loro scavalcamernto perchè ripidissimi e improvvisi. Bisogna prestare molta attenzione e per il momento il loro superamento costituisce l'unico momento in cui non rimpiangiamo la scelta di una mountain-bike. Per il resto, da quanto visto fin qui, si potrebbe utilizzare anche una bici da corsa, cui tutti noi siamo più abituati.
Ma tornando alla presenza esagerata e financo invasiva della polizia, sinceramente noi non ne percepiamo proprio il bisogno, le nostre sensazioni sono che la gente qui sia generosa, curiosa, espansiva e mai e poi mai abbiamo provato inquietudine. La nostra guida Adel, invece, ci raccomanda sempre una buona dose di prudenza nell'approccio con la persone, specie nelle cittadine di provincia. Sarà che noi crediamo nelle virtù catartiche della bicicletta, che avvicina le persone, le incuriosice, che stimola la protezione e accende la fantasia nelle persone con cui si viene a contatto, ma vi garantiamo che ci sentiamo sicurissimi e felici.
Felici ma non certo puliti: oggi stiamo infatti pedalando in una nuvola di smog che ci segue come Pig-pen, l'amichetto sudicio di Linus, e ci fa sorridere l'idea che tutti noi stiamo indossando in questo viaggio il braccialetto IO CORRO PULITO regalatoci dall'amica Viola, appassionata di ciclismo che segue ogni giorno il nostro diario. Vuole essere il segnale di un ciclismo che non inquina, quindi rispettoso dell'ambiente e soprattutto lontano dall'uso di sostanze dopanti. Sul primo e sul secondo aspetto non ci sono dubbi per quanto ci riguarda, per il resto possiamo solo dire che VORREMMO CORRERE PULITI, ma le nostre maglie, alla fine della giornata, portano evidenti tracce della battaglia sostenuta con lo smog.
Le strade quindi sono il teatro di questa eco-sfida, persa in partenza, ma ospitano anche un'altra inquietante sfida, quelli dei passanti che attraversano la strada quasi buttandosi sotto gli automezzi, velocemente, oppure, al contrario, passando lentamente da un lato all'altro, quasi con gesto di sfida, nonostante il continuo sfioramento. Anche noi dobbiamo prestare molta attenzione.
In gruppo, pedalando finalmente con il vento alle spalle e quindi di buon passo, osserviamo un numero infinito di case in mattoni di fango, completamente prive di un vero tetto e quindi protette solo da paglia o da foglie di palma. Campi di canne da zucchero, sacchi di cotone accatastati l'uno a fianco all'altro, gli immancabili asinelli, che costituiscono incredibilmente (almeno per noi) ancora il motore dell'Egitto rurale.
Oggi la giornata è filata liscia come l'olio, erano previsti solo 110 km e così è stato (alle 10 e 20 eravamo già smontati da sella anche perchè era prevista la visita del tempio) le gambe vanno bene e da qui in poi il morale ciclistico non può che migliorare, dato che in questi viaggi i giorni più duri normalmente sono il secondo e io terzo, quando non sei ancora sufficientemente allenato e abituato a sostenere ogni giorno una fatica continuativa. D'ora in poi le nostre gambe non potranno che girare meglio (almeno si spera) i nostri posteriori accetteranno meglio il supplizio della sella e le tappe passeranno con maggior facilità.
La visita del tempio è stata entusiasmante: un colonnato con pilastri a forma di palma, e i muri con bassorilievi dalla finezza di tratto impressionante, ravvivati da colori delicati. Restiamo affascinati e allo stesso tempo stupiti da questa evidente dicotomia tra la cultura avanzatissima e sviluppatissima di tre/quattromila anni fa e l'apparente decadenza degli ultimi secoli. Sembra proprio il tracollo di una civiltà, come se fosse implosa su se stessa. Misteri che non riusciamo a capire. Vediamo se nei prossimi giorni troveremo la chiave per risolvere l'enigma.
Note tecniche
Strada sempre lungo il Nilo, asfalto buono, traffico molto intenso, soprattutto nell'attraversamento dei centri urbani, molto inquinamento.
Assiut-Sohag, km 110, ore effettivedi corsa h 3.52, media 28,2, partenza 6.15, arrivo 10.25,
08 giorno
Venerdì 6 novembre 2009
Oggi qui è domenica, anzi a dir la verità è venerdì che per i musulmani è giorno di festa e quindi si prospetta una pedalata per vie meno affollate, proprio come quando andiamo a fare le nostre uscite domenicali sui colli euganei o sul Montello. E questa è una buona cosa perchè ieri le strade erano così frequentate e polverose che anche dopo tre o quattro risciacqui l'acqua del lavandino era color inchiostro. Non osiamo pensare ai nostri polmoni e così qualcuno di noi, nonostante la giornata festiva e la prevedibile minor frequentazione di automobili, si è munito di fazzolettone a protezione di naso e bocca. Della serie: banditi in bicicletta.
In effetti lungo la strada notiamo una minor intensità di passaggi automobilistici ma la variopinta folla di persone che brulica lungo le vie di comunicazione è ancora tutta lì, bambini, adulti, donne, uomini che riposano sul ciglio della strada gettati a terra. Tutti che gridano e salutano... sempre la stessa persona, Aldo. In effetti è il personaggio più popolare del gruppo tutti lo salutano in continuazione sempre e solo lui. Dopo una crisi di gelosia da parte del gruppo, scopriamo che in effetti quel grido storpiato Aldo, Aldo, vuole significare Hallo. E tiriamo un bel sospiro di sollievo, perché l'equilibrio psicologico del gruppo stava per essere messo a repentaglio e ci sarebbe stato tanto lavoro da fare per il nostro psicologo Aladino.
La strada anche oggi si snoda sempre attorno al Nilo che ci appare più volte, immenso, placido, gigantesco. E per di più, incredibilmente, azzurro, apparentemente pulito. Restiamo a bocca aperta e incantati, contenti e felici di essere qui, in questo paese ospitale e meraviglioso, affascinante e magnetico.
Pedaliamo con ardore e con piacere, sfruttando il fatto che oggi la strada ci è assolutamente amica: bei panorami, asfalto discreto se facciamo finta di non pensare agli innumerevoli e pericolosi dissuasori di velocità che ci fanno fare acrobazie da equilibrista per restare in sella (ne ho contati ben 54 nei primi 50 chilometri iniziali, poi per fortuna abbaimo cambiato sponda del Nilo e si sono diradati) e soprattutto una leggera brezza che ci aiuta non poco.
Decidiamo di sfruttare gli elementi a favore e ci alimentiamo al volo limitando al massimo le soste. In questo c'è stato anche un episodio curioso, quando i poliziotti al seguito sono restati a bocca aperta nel vedere il nostro Bepi mangiarsi a mezza mattinata, in corsa, un uovo sodo completo di guscio. Al loro sguardo allibito il nostro Bepi ha risposto con un sorriso dolce, dei suoi, che voleva dire (ciò, spiegami tu come faccio a togliere la scorza con un braccio solo e pure pedalando). Conoscendolo, avrebbe potuto aggiungere: “E poi, il calcio fa bene”.
In poche parole, nonostante le nostre mountain-bike che sono resistenti ma non leggerissime, ci mettiamo in fila indiana, spesso dietro la locomotiva Romeo, e noi vagoncini sferragliamo tra i 32 e 35 km all'ora. Vuol dire che arriviamo al tempio di Dendera, straordinario esempio di stile del periodo tolemaico (quindi sotto l'influenza greca) attorno alle 12 e 20 dopo aver coperto 139 chilometri.
Benissimo, così ci meritiamo una ottima pastasciutta preparata da Ramon sotto le fresche frasche e poi ci godiamo la visita allo straordinario tempio dedicato alla dea Hator, complesso monumentale tra i meglio conservati in Egitto. Ci troviamo, come sempre in questi giorni, con pochissimi altri turisti e ci godiamo la visita che personalmente mi affascina pur lasciandomi interdetto. Ai piedi di questi giganteschi piloni istoriati e colorati, finemente ricoperti di geroglifici e immagini sacre, provo la sindrome di Lilliput, e mi sento quasi schiacciato da cotanto gigantismo.
Alla fine della visita, prima di recarci in albergo, mi si avvicina Giovanni, che più volte durante la pedalata ha cercato di richiamarci a più miti consigli riguardo l'andatura e mi sussurra in dialetto: Ma cosa avevate stamattina, il pepe al culo? La prossima volta che parli della bellezza della bicicletta e fai i tuoi soliti discorsi sulla dimensione tranquilla e rilassata del viaggiare... dico ufficialmente a tutti che sei un falso.
E conoscendolo, parlava sul serio.
Il fatto è che Giovanni, solitamente combattivo e preparatissimo, in questi giorni sta un po' soffrendo perchè gli manca la condizione dato che ha dovuto fermarsi tre mesi per un intervento chirurgico. Lui sa che lo stimiamo proprio per la grinta che ci mette nonostante tutto (pochissimi riuscirebbero a fare quello che sta facendo dopo le tribolazoni passate) e lo ammiriamo, ma tutto cio non gli basta. E quando la velocità si alza, nella pancia del gruppo si sente borbottare, o meglio, gridare, il suo inconfondibile “Andè farvelo metare”.
La buona notizia sta in coda alla giornata: dato che domani ci separano solo 63 chilometri da Luxor - dove numerose visite ad alcuni dei monumenti più importanti dell'Egitto e dove sosteremo anche il giorno successivo - possiamo concederci di partire alle 7.00. Grasso che cola, gli ozi di Capua... Benissimo, questo Egitto ci sta coinvolgendo nel profondo dell'anima.
Note tecniche
Giornata ideale, clima caldo e asciutto, strada abbastanza scorrevole, traffico limitato, poco vento e mai contrario. Una foratura di Aldo che va ad aggiungersi alle due di Romeo della terza tappa.
Sohag – Qena km 139, media 29,8 kmh, ore effettive h. 4.40, partenza ore 6.45, arrivo ore 12.15
09 giorno
Sabato 7 novembre 2009
Oggi ci aspetta una tappa molto breve, costruita appositamente poco impegnativa nel palinsesto del nostro percorso proprio per poter godere meglio la visita di una città così significativa per il nostro viaggio, Luxor, l'antica Tebe. Quindi partiamo ad un'ora decente, alle sette della mattina e attraversiamo la città di Qena per puntare decisamente, senza soste intermedie, a Luxor. Ci aspetta subito la visita di Karnak e dei suoi straordinari templi. Quindi pedaliamo con la giusta concentrazione sempre sulla strada principale che corre sulla destra orografica del Nilo, che comunque non vediamo troppo spesso anche perchè il più delle volte seguiamo un canale, lungo il quale si svolge una vita intensissima: pescatori che su barchette leggerissime buttano la rete a strascico, o altre persone che sfruttano un traghettino passando da una riva all'altra aggrappandosi ad una corda. Stiamo avvicinandoci ad una città molto turistica e lo si capisce dal numero dei torpedoni che ci superano e dai grandi vialoni abbelliti da coloratissimi bouganville.
Poca strada, 70 km, fatta di buzzo buono ma senza esagerare, con lo sguardo rivolto alla tappa di martedì che prevede ben 230 km di deserto da Edfu fino a Marsa Alam. Ma vedremo più avanti, senza farci troppo condizionare: ce la faremo di sicuro (a martedì l'ardua risposta).
Alle 9.30 arriviamo davanto al tempio di Karnak ed effettuamo una visita ad un sito strepitoso, con colonnati incombenti, obelischi infissi, un sole splendente e... una marea di visitatori. Orami siamo entrati nel classico circuito delle crociere sul Nilo e dobbiamo dimenticare la solitudine delle visite dei primi giorni: d'ora in poi sarà sempre un carnaio di gruppi turistici tedeschi, francesi, perfino russi. Ci sentiamo un po' a disagio, ma basta alzare gli occhi ed ammirare le bellezze millenarie che si ergono davanti a noi e passa tutto, restando solo il piacere della visita.
A mezzogiorno siamo ospiti del vicesindaco di Luxor che ci accoglie nella sala municipale e ci lancia una proposta a sorpresa: promuovere un gemellaggio tra Luxor e Padova nel nome di Belzoni, che proprio qui a Luxor, nella valle dei Re, ha effettuato una delle scoperte più importanti per l'egittologia, la tomba del faraone Seti I, chiamata ormai da tutti Tomba Belzoni. La proposta è molto intrigante e sarebbe per noi la sublimazione del nostro obiettivo, che è quello – molto modestamente – di rilanciare la figura del grande padovano attraverso una serie di iniziative (mostre, pubblicazioni, conferenze etc...) allo scopo di rendere omaggio ad una persona la cui grandezza la si percepisce proprio nei luoghi in cui ci troviamo adesso.L'idea addirittura di contribuire ad avvicinare Luxor e Padova grazie a un gemellaggio ci renderebbe ancor più orgogliosi.
Bene, soddisfatti dalla proposta inaspettata, che gireremo a chi di dovere, ci gettiamo a capofitto su una buona pastasciutta che Ramon ha allestito in un locale lungo la strada, abbastanza tipico, un po' hard come condizioni igieniche, proprio quello che si potrebbe definire “molto pittoresco” con un gran numero di egiziani con baffi scuri che fumano il narghilè seduti su ampi divani tranquillamente posizionati sul marciapiede.
Al tramonto visita al tempio di Luxor. Protattasi a sera inoltrata per godere dei giochi di luce dell'illuminazine notturna. Incantevole.
Domani visita alla valle dei Re, giornata completamente dedicata a Luxor e allora il vostro cronista ciclista si riposerà, essendo domenica, lasciando la palla al nostro Ugo.
Note tecniche
Strada scorrevole, sempre principale, traffico contenuto (o forse ci siamo semplicemente abituati), con presenza significativa di autobus turistici nelle vicinanze di Luxor.
Qena-Luxor: km 71, media oraria 28.8 kmh, partenza ore 7.10, arrivo ore 9.45, tempo effettivo di corsa h. 2.27
10 giorno
Domenica 8 novembre 2009
Scherzetto! Non avrete mica creduto alle affermazioni di ieri relative al mio riposo odierno, data la giornata di visita? E come si fa a riposarsi, a tacere ai voi, parenti, amici, conoscenti e financo sconosciuti, tutto ciò che abbiamo visto oggi? E poi il riposo non è nel nostro DNA. Pensate che se noi pedaliamo tutto il giorno, o quantomeno per alcune ore della giornata, la notte facciamo ancora più chilometri.Nelle poche ore di sonno infatti le nostre menti galoppano, i pedali girano continuamente, ininterrottamente e quando suona la sveglia, la prima sensazione è quella di essere appena smontato di sella. Potenza delle suggestioni e della ripetitività del movimento.
Anche oggi la sveglia suona alle sei: in questo paese infatti, date le temperature, tutto il movimento turistico comincia ad ingranare già molto presto, proprio per evitare le ore calde e stordenti della gornata. In bici, volendo macinare chilometri, tutto questo non si può fare e si continua a pedalare. Della serie: “Hai voluto la bicicletta...”
Oggi la nostra attenzione è concentrata tutta sulla Valle dei Re, a Tebe ovest. Migliaia di turisti affollano i siti archeologici e noi oggi ci troviamo tra loro ad ammirare queste tombe scavate nelle rocce, nel deserto, che custodiscono immagini preziosissime. Arrivando dal centro della cittadina, dal nostro albergo, possiamo vedere anche degli scavi archeologici in corso e scopriamo che anche per questo aspetto tutto sembra essersi fermato ad almeno due secoli fa: il capo-spedizione, solitamente pallido come può esserlo un inglese, sta seduto sotto una tenda al riparo dal sole, mentre tutto attorno fervono le aqattività di assistenti, di operai che in tunica lunga e turbante, con strumenti che vagamente ricordano il secchiello e la paletta, comunque certamente poco moderni (addirittura a volte solo con le mani) raccolgono la terra asportata.Scene da ritorno al passato.
E un vero e proprio tuffo di migliaia di anni lo facciamo quando ci rechiamo al tempio della regina Hatshepsut, uno dei più spettacolari dell'Egitto grazie ad una serie di ampie terrazze e all'ubicazione scenografica proprio a ridosso di alcune rocce perpendicolari di roccia calcarea che incombono a strapiombo sullo stesso. I rilievi e le decorazioni interne colorate ci entusiasmano. Ma ancor di più ci entusiasma la proposta della guida Adel che ci illustra la possibilità di percorrere un sentiero che porta in cima a queste straordinarie momtagne incombenti e che fanno arrivare direttamente nella Valle dei Re. Un'ora è sufficiente. Accogliamo entusiasti la proposta sotto lo sguardo stupito di Adel che aveva detto tutto ciò per scherzo, dato che questo percorso è consigliato solo all'alba, per gente normale. Appunto, ma noi normali non siamo e siamo ripagati nei nostri sforzi (che non sono poi eccessivi, tanto che quasi tutti i nostri accompagnatori si sono cimentati nel percorso) da uno straordinario panorama lunare con vista dall'alto che ci lascia estasiati. Alla fine della giornata siamo tutti concordi che, nonostante le bellezze visitate, quello sia stato uno dei momenti più spettacolari della giornata. Quindi, raggiungiamo Adel (che sarà un poco orgoglioso, spero, della sua comitiva sui generis) e visitiamo tre tombe dei Re, più quella di Tutankamon. Colori vivissimi, volte ricoperte da cieli azzurri, parrucche turchesi e gialle, barche snelle che attraversano il Nilo turchese, lunghi corridoi coloratissimi, Nefertari, Hamon, Ra, dei, dee, dischi solari, mummie, sarcofagi. Da far girare la testa.
Tanto per dare l'idea, sentite cosa diceva Belzoni:
“Di solito il viaggiatore si accontenta di vedere il grande vestibolo, la galleria, la scala e tutte le altre parti che può visitare senza fatica; inoltre è colpito dalle strane raffigurazioni scolpite nei vari punti o dipinte sulle pareti, quindi quando arriva a un passaggio angusto e difficile o deve scendere in fondo a un pozzo o a una cavità, non vuole affrontare un tale disagio pensando che in quegli abissi non potrà vedere nulla di più interessante di quanto non abbia già visto e pensa sia inutile procedere. In alcune di queste tombe molti non riescono ad affrontare l'aria soffocante che spesso causa svenimenti. Inoltre si solleva una grande quantità di polvere così fine che, penetrando attraverso la gola e le narici, chiude il naso e la bocca, per cui sono necessari polmoni perfetti per resistere e sopportare il forte odore che emana dalle mummie”.
L'unica delusione è inferta dalla tanto conclamata tomba di Tutankamon, tanto da meritare un biglietto a parte (caro) e dal fatto che la tomba del “nostro” Belzoni, cioè quella di Sethi I, sia interdetta al pubblico: ci vuole una dispensa speciale consegnata direttamente da sua maestà il faraone moderno Zahi Hawas, presidente dell'antichità dell'Egitto e del museo del Cairo. In poche parole, riusciamo a vedere solo l'esterno e ci lasciamo almeno un valido motivo per ritornare in questo splendido paese. Sarà anche un trucchetto, ma può funzionare.
Dopo una visita per vedere la lavorazione dell'alabastro e il nostro pranzo di Ramon, nel primo pomeriggio ci rechiamo presso la sede dell'Egipt Air per sollecitare i suoi dirigenti sulla tematica dell'aiuto e della beneficienza nei confronti dell'ospedale 57357.
Quindi il pomeriggio e la sera passeggiamo per Luxor, qualche acquisto e una camminata distensiva prima di rimetterci in sella. Domani altra tappa breve, solo 115 chilometri fino a Edfu. Il tappone dolomitico – pardon, desertico - di martedì già incombe.
11 giorno
Lunedì 9 novembre 2009
Ore 14.30. Disteso a occhi chiusi nella penombra di una stanza d'albergo in puro stile arabo, si sentono tutti i rumori del mondo, clacson impazziti di autovetture e corriere, rumore di zoccoli scalpitanti, grida di mercato, belati, ragli di asini. Siamo proprio in un altro mondo, ci accorgiamo che sta cambiando il clima, fa ancora più caldo, d'altronde siamo a sud di Luxor, in quella che viene chiamata ancora Nubia.
La tappa di oggi gode delle condizioni migliori: quello che speravamo sarebbe accaduto, cioè un bel vento a favore lungo il Nilo, che ci ha accompagnato per tutta la tappa. Oggi abbiamo seguito le nostre gambe, il nostro istinto,sfruttando le condizioni favorevoli e quando si viaggiava per lunghi chilometri a 40 kmh nessuno trovava niente da dire. Strada scorrevole, poco trafficata, spesso stretta a sandwich tra il Nilo a destra e un suo canale a sinistra. Partiti alle ore 6.15, ci godiamo il solito traffico mattutino, con i bambini che si recano a scuola e che restano a bocca aperta nel vedere questa squadra di ciclisti vestiti tutti uguali macinare imperterriti chilometri su chilometri. In queste occasioni effettuiamo una sorta di volantinaggio volante con i nostri folder che mettiamo in mano ai passanti. Si distingue in questa operazione Antonio, che in questi casi riveste i panni di relationmen a pedali.
Doveva accadere, era possibile, assolutamente messo in preventivo in un viaggio come questo, in paesi diversi dai nostri dove le condizioni igieniche non sono a livello europeo, dove c'è molto uso di aria condizionata e conseguentemente sbalzi di temperatura, dove è sempre in agguato per l'appunto il malessere del viaggiatore. In arte “scagotto”. Quest'oggi è il sottoscritto a non sentirsi particolarmente bene, con imbarazzo di stomaco e di intestino, in duplice accoppiata. Stringo i denti, pedalo comunque per vedere se passa, ma già a colazione non avevo provato alcun desiderio di alimentarmi e senza benzina in bici non si va avanti. Questa è la regola. Stringo i denti in fondo al gruppo, viaggiando a 40 km all'ora ma a un certo punto mi fermo e decido che il malessere è eccessivo. Decido di montare in pullman, sarà pure maturo per qualcosa, quando è il caso di non rischiare bisogna essere obiettivi. E bene ho fatto perchè, in attesa del pullman che tornasse indietro per recuperarmi, è partito, come volevasi dimostrare, un geyser dallo stomaco che mi ha parzialmente liberato dall'oppressione che sentivo. Morale. I settanta chilometri restanti me li sciroppo in pullman con l'obiettivo di far tutto il possibile per rimettermi al più presto e poter effettuare la tappa-monstre di domani. Comunque, sempre senza atti di eroismo: se la condizione non ci fosse, troverei sempre un posto in pullman.
La tappa quindi si conclude prestissimo, dopo una sosta al volo in un villaggio nubiamo dove il nostro gruppo ha portato una ventata di novità, e alle 10.20 si giunge al bellissimo tempio di Edfu, nostra meta archeologica, dove siamo accolti con entusiasmo dalla popolazione locale. Le notizie trasmesse nelle televisioni egiziane cominciano a fare effetto, ci riconoscono e salutano.
Note tecniche
Tappa facile, condizioni ottimali, asfalto scorrevole e vento a favore. Foratura di Antonio (è la quinta) e il nostro meccanico aggiunto Romeo guarda con preoccupazione assotigliarsi la riserva di camere d'aria a nostra disposizione.
Luxur-Edfu, km 111, partenza ore 6.15, arrivo ore 10.20, media oraria km 30,1 tempo effettivo impiegato h. 3.39.
12 giorno
Martedì 10 novembre 2009
Ieri sera i book-maker della spedizione quotavano il mio arrivo nella tappa dell'indomani quanto quello di un cavallo a dondolo a San Siro. Diciamo che i sette accompagnatori, tutte persone sensate e assennate, non avrebbero puntato una pistra bucata, Franca – che conosce un po' meglio gli animi di noi avventurieri in bicicletta – qualche chance in più me la dava, mentre i ciclisti, che si conoscono, erano decisamente più positivi, nonostante il mio aspetto poco rassicurante, faccia sbattuta e sofferente, segnata da una febbre oltre i 38 gradi. Ma una bella dormita, una sana sudata da acqua alta veneziana, un paio di thè alla menta bollenti e l'assistenza premurosa di Franca compiono il miracolo. Questa mattina, Aladino, stupito di vedermi in piedi, ha citato enfaticamente il Nuovo Testamento dicendo: Lazzaro, alzati e pedala.
E così i magnifici sette compiono l'impresa di percorrere il tappone di 230 km in condizini a dir poco difficili: deserto pietroso, oltre 38 gradi fin dalle 10 del mattino e, tanto per gradire, più di 600 metri di dislivello in salita.
In più, come si sa, il vento prende e il vento dà e se ieri ci ha dato una mano notevole, proprio in una delle tappe più facili dove teoricamente c'era meno bisogno, oggi si è ripreso tutto con gli interessi, presentando il conto con un alito bizzoso, trasversale e financo contrario.Un vero nemico.
D'altronde era abbastanza prevedibile e previsto, durante lo studio a tavolino del percorso, dato che oggi abbiamo abbandonato Il Nilo per effettuare la prevista deviazione fino al Mar Rosso, a Marsa Alam, da dove domani raggiungeremo Berenice, uno dei capisaldi del nostro pellegrinaggio belzoniano, dato che nel 1818 ilGrande Belzoni scoprì i resti di Berenice Troglodita.
Il percorso è difficile ma decisamente affascinante, una strada infinita con rettiliei lunghi decine e decine di chilometri e in pratica tutta a nostra disposizione, dato che questa è una strada militare, interdetta al traffico normale e a quello turistico: la nostra spedizione è riuscita ad ottenere il permesso di passaggio e questa costituisce un ulteriore chicca del nostro viaggio.
Ci godiamo il paesaggio lunare, un deserto sassoso e sabbioso ci avvolge, ci abbraccia, si passa a fianco di piccole colline di sassi tra le quali effettuiamo dei continui zig-zag. Incontriamo due o tre posti di blocco della polizia e poi niente altro, ci colpisce solo la presenza di un branco di cani selvatici che sta orrendamente spolpando la carogna di un bufalo, giunto fin qui chissà come. Tanto meglio, non degnano di un minimo d'attenzione i nostri polpacci muscolosi e torniti, solitamente obiettivo delle bestiacce di strada, altri nemici dei ciclisti.
Si pedala con un caldo che si fa sempre più asfissiante, molto concentrati perchè l'obiettivo e ambizioso e difficile. Per decine e decine di minuti si pedala in silenzio, guardandosi negli occhi nel momento del cambio davanti a tirare. Pietre, sabbia, silenzio, c'è proprio la sensazione della solitudine straniante, quella che si prova nei posti più aridi e desolati-
Lingue di sabbia dorata sembrano sbeffeggiarci facendo capolino tra le montagnette sassose, che una volta custodivano dei preziosissimi diamanti, estrati da varie miniere già chiuse ai tempi del passaggio del Belzoni, che di queste terre così affascinanti e desolate dà una descrizione affascinante nei suoi diari. Anche lui ha incontrato moltissismi problemi con l'approvvigionamento d'acqua, che anche per noi è stato un piccolo problema, nonstante il mezzo al seguito, perchè abbiamo clamorosamente prosciugato la nostra riserva d'acqua, almeno 6 o 7 litri.
Ogni tanto ci sorpassano dei pick-up che trasportano dei cammelli pigramente accovacciati dentro il cassone e di spuntano solo le teste, dallo sguardo ermetico come quello della sfinge.
Alle 10 e 20,dopo 127 chilometri, ci fermiamo per mangiare la pasta di Ramon che ha allestito il pranzo in una delle poche baracchette lungo la strada che si son viste.Quindi alla ripartenza, alle 11.30, il tratto più duro, più caldo, con maggior salita: i ciclisti hanno stretto i denti e alla fine si sono goduti gli ultimi 30 chilometri di discesa (finalmente) fino a planare su Marsa Alam, un enorme villaggio turistico in costruzione disseminato su uno dei tratti più affascinanti dal punto di vista del mare, dell'intero Egitto.
Ecco, tappa finita, congratulazioni tra di noi. Ce l'abbiamo fatta.
Note tecniche
Strada militare, interdetta al traffico, ma premessa a noi. Ottimo l'asfalto, caldo intensissimo, ben tre forature (Bepi, Romeo e Aldo, che però ha dovuto fermarsi tre volte perché gli si sgonfiava continuamente la camera d'aria).
Edfu-Marsa Alam, km 230, partenza ore 5.50, arrivo ore 15.50, tempo complessivo ore 8:30, kmh 26,6.
13 giorno
Mercoledì 11 novembre 2009
Seduto di fronte al mare azzurro di un lussuoso resort di Marsa Alam, dove molti turisti italiani si godono spiccioli d'estate a buon prezzo, il rumore del vento e delle onde fa da colonna sonora ai miei pensieri. Oggi era prevista la tappa Marsa Alam-Berenice, con visita alla cittadina scoperta dal nostro Belzoni e poi rientro in pullman per la stessa strada che è un vero cul-de-sac arrivando in pratica a 20 km dal confine col Sudan. E la tappa è stata effettuata alla grande, con un percorso, all'inizio lievemente ondulato ma poi progressivamente sempre più piatto, col deserto alla nostra destra e un mare turchese alla sinistra. Sembrava di essere nella riviera ligure, ai più è venuto in mente la parte finale della Milano-Sanremo, con una sensazione comunque straniante di un deserto sassoso a perdita d'occhio che abbraccia questo luogo ancora poco contaminato. Quanto Marsa Alam ha visto grossi investimenti in questi ultimi anni, tanto questa zona sembra ancora abbastanza vergine, seppur qualcosa pare si stia muovendo. Ma è tutto relativo.
Ieri si parlava del vento che un giorno prende e l'altro dà: se ieri abbiamo pagato dazio, quest'oggi la brezza è stata scandalosamente a nostro favore, spirando con insistenza e caparbietà proprio alle nostre spalle. Una sensazione magnifica, splendida, quella di non far per nulla fatica e di andare comunque avanti ad andature ragguardevoli, godendosi il paesaggio, a dire il vero nel complesso abbastanza monotono (a parte degli squarci di mare turchese che hanno attirato l'attenzione del nostro fotografo Pierluigi) e facendo ognuno girare gli ingranaggi del proprio cervello pensando ai molti eventi di questi giorni. C'è chi come Romeo, dietro la scorza rude di ciclista navigato ed esperto, nasconde la preoccupazione per il figlio ricoverato l'altro ieri urgentemente in ospedale con sintomi strani di dolori a tutti i legamenti (come non pensare alla influenza suina, soprattutto quando la distanza amplifica le paure), chi invece cerca di scovare qualche riferimento alla descrizione del viaggio di Belzoni in queste lande desolate. Pensare a cosa doveva essere questa terra nei primi dell'800, la difficoltà di muoversi, la temerarietà del personaggio, il rischio continuo di morte causata da una semplice malattia o ancor più facilmente dalla mancanza di acqua fa crescere ai nostri occhi la stima per questo esploratore e avventuriero di due secoli fa! Se noi in questa avventura, con tutti i comfort, con i mezzi di telecomunicazione che ci tengono aggangiati continuamente alla realtà, con le notizie che possediamo, con un mezzo al seguito a totale nostra disposizione, possiamo a buon diritto affermare che non si tratti di una banale passeggiata, e stiamo comunque stringendo i denti, che dire allora del grande Belzoni? La riproposizione in bicicletta del suo percorso, del suo cammino, in questi giorni sta amplificando la stima che portiamo per lui.
Si parlava di imprevisti, positivi come lo spudorato vento a favore che comunque ha mitigato la furiosa azione del sole che sulla nostra pelle sta compiendo un lavorio da certosino di abbronzatura feroce, negativi come la sopresa che ci attende a 17 km prima dell'arrivo a Berenice, all'ultimo posto di blocco. Non si passa, si torna indietro. A nulla vale l'intermediazione della nostra guida Adel che spiega i motivi del nostro viaggio: i poliziotti questa volta sono irremovibili e ci rimandano indietro. Sapevamo che sarebbe stato complicato arrivarci, essendo zona rigorosamente militare, a pochissimi chilometri dal confine col Sudan, considerato uno stato a rischio, anzi, come si dice in gergo politico-militaresco occidentale, uno “stato-canaglia”. Ma ci eravamo illusi che l'avventura, la cultura e la solidarietà aprissero porte che normalmente sono chiuse. Invece la delusione è abbstanza profonda, intensa, in ognuno di noi, ma almeno abbiamo toccato con mano i luoghi che sicuramente ha visitato il nostro predecessore padovano. Sarà anche una magra consolazione, ma così almeno ci consoliamo.
Domani completeremo il ritorno in pullman ad Edfu e ci mancheranno solo due tappe, che si preanunciano ardue per le condizioni climatiche: Edfu-Assuan e, soprattutto, Assuan-Abu Simbel, 280 chilometri di deserto pietroso in cui si attraverserà il nulla. La tappa di ieri ci fa ben sperare, ma qui il problema sono le ore di luce: ne abbiamo a disposizione solo 11/11,30 e con quelle condizioni sarà dura, per non dire impossibile. Comuqnue, chi vivrà vedrà.
Note tecniche
A parte le condizioni climatiche impegnative, con un sole cocente che mette a dura prova i cicllsti, la strada è bella, assolutamente poco trafficata e facile, grazie al vento a favore che ci consente medie strabilianti.
Marsa Alam-Berenice (posto di blocco a 17 km dalla città), km 126, partenza ore 6.53 arrivo ore 12,30, tempo effettivo h. 4,01, media oraria 31,1. Totale complessivo: km.1147.
14 giorno
Giovedì 12 novembre 2009
Il riposo dei guerrieri: meritato e pienamente goduto. A dire il vero questo viaggio è stato strutturato con una serie di tappe (undici, non un numero eccessivo) e alcuni giorni di sosta (parecchi) per visite culturali, ufficiali, incontri pubblici. E questo si può considerare l'unico giorno vero e proprio di relax: infatti nelle splendide acque di Marsa Alam restiamo in ammollo per tutta la mattinata (anzi fino alle 14) in attesa di riprendere il pullman che ci faccia ripercorrere, questa volta comodamente seduti e rinfrescati dall'aria condizionata, la strada desertica dei 230 chilometri dell'altro giorno. Sì, in questa maniera torniamo ad Edfu, dopo la nostra deviazione per il Mar Rosso e Berenice (definita ormai da noi l'invisibile) e riprenderemo la nostra discesa del Nilo. Oggi quindi non più cycling ma snorkeling, termine che fa effettivamente arricciare il naso a più di qualcuno tra noi, tanto che c'è chi pensava fosse un tipo di preparazione di un piatto particolare. E in effetti chi è sceso in acqua si è goduto la compagnia di pesci multicolore che popolano la barriera corallina e due fontanivari doc, Joani e Bepi, hanno fatto a gara (come sempre) per chi restava di più a bagno. Muniti di maschera, pinne ed occhiali hanno approfittato delle meraviglie del luogo. Guardando Joani immergersi felice penso a quante volte mi ha descritto con entusiasmo di bambino il suo regno natatorio, la cosidetta “Busa de Giaretta” paragonandola al migliore dei paradisi tropicali e insistendo tanto fin da portarmici a nuotare dentro, io veneziano purosangue. Beh, oggi sicuramente qualche differenza – in meglio – la deve aver trovata perché non riemerge più, anzi si è dotato di una maglietta per meglio proteggersi da raggi solari durante l'immersione.
Piscina, mare, ombrelloni: per qualche fugace ora siamo diventati turisti “normali” che colgono i facili frutti, tutti a portata di mano, dall'albero dell'all-inclusive, ma già nel pomeriggio torniamo ad essere nomadi, in movimento verso il Nilo. Non per essere spocchioso, ma mi sento meglio così, è una dimensione nettamente più vicina alla mia concezione del viaggio. Certamente più faticosa ma più remunerativa dal punto di vista degli stimoli e della soddisfazione. In più, se queste avventure si portano dietro anche delle altre motivazioni, ideali e culturali, storiche e letterarie, si raggiunge veramente l'optimum. E' per questo motivo che io e i miei compagni in questi anni abbiamo via via seguito gli stimoli di vari diari, libri, classici della letteratura come il Milione di Marco Polo, il Danubio di Claudio Magris, i diari di Pietro Querini fino a Capo Nord e molti altri, fino ad arrivare al resoconto del nostro Giovanbattista Belzoni che stiamo rileggendo mano a mano che procediamo e scopriamo essere sempre più interessante.
Sto scrivendo questi appunti durante il viaggio di ritorno in pullman, stiamo osservando dai finestrini lo stesso panorama lunare che ci ha ospitato l'altro ieri. E' incredibile ma ci pare di riconoscere quel particolare dosso, una rara curva, un'istallazione radar militare grazie alla fatica e alla lentezza con cui abbiamo distillato il percorso. Ha effettivamente un fascino particolare questo territorio, che all'inizio è esclusivamente roccioso, poi diventa anche sassoso e infine sabbioso: in poche parole, riusciamo a scoprire le differenza anche in un contesto che ad un occhio non allenato pare tutto uguale.
Ogni tanto dal percorso principale si dipartono delle piccole valli laterali e noi ci facciamo facilmente suggestionare dal fascino di Belzoni e ce lo immaginiamo imboccare quella stratta valle, a cavallo di un asino e con due o tre dromedari al seguito, per andare alla ricerca della sua Berenice, cosa che ha realmente fatto mettendo addirittura a repentaglio la propria incolumità pur di effettuare l'importante scoperta archelogica. Era evidentemente divorato dalla febbre di cui si parlava nel primo giorno, quello della partenza, non so se vi ricordate, “Cercare ci rende più felici che trovare”, cioè anche trovare è importante ma alla fine, quando hai trovato, il tuo percorso è finito e resti con un palmo di naso, a mano che tu non ti inventi un altro obiettivo.
Comunque, adesso siamo tornati nell'albergo di Edfu, un concentrato di puro medio-oriente, con suoni, rumori e profumi che ci intrigano molto di più della sofisticata e neutra ambientazione di Marsa Alam.
Nilo, da domani, a noi. Ritorniamo.
15 giorno
Venerdì 13 novembre 2009
La partenza da Edfu, dopo una notte rumorosa e agitata tipica della vigilia del dì di festa, movimentata da scoppi di mortaretti, canti e suoni per festeggiare i numerosissimi matrimoni che sono stati celebrati proprio sotto le nostre stanze, ci riserva uno straordinario gregge di pecorelle rosa nel cielo su cui si staglia l'agile silouette del minareto, anche lui, tanto per gradire, a due passi dall'albergo. Questo per farvi capire che ai più la sveglia delle cinque è apparsa come una liberazione: finalmente in piedi, a pedalare. E l'aereo gregge disegnato dall'aurora dalle dita rosate si è incarnato, proprio davanti ai nostri piedi, in uno di vero, in carne e ossa, grigio e ploveroso, che belando ci ha tagliato la strada pochi istanti prima di partire.
Partenza verso Assuan, ai piedi della grande diga che forma il lago Nasser, un percorso che accompagnerà per l'ultimo giorno il nostro compagno di viaggio, il Nilo, che lasceremo ad Assuan in un'incursione nel deserto per ritrovarlo fugacemente e, davvero per l'ultima volta, ad Abu Simbel. Tutto questo proprio nella giornata in cui un altro nostro compagno di viaggio, il caro Romeo, festeggia i suoi 61 anni. La settimana prima era stato il turno di sua moglie, ieri della mia... ce ne inventiamo di scuse per non fare i regali...
Salutiamo definitivamente Edfu, città che ci ha ospitato ben due notti, a due giorni di distanza l'una dall'altra, e ci è apparsa forse l'unica grande città, tra quelle da noi visitate, poco turistica, forse più vera: tutti i negozi hanno esclusivamente scritte egiziane, il mercato è assolutamente ad uso e consumo dei locali, perfino le innumerevoli carrozzelle trainate da un cavallo sono un servizio di taxi utilizzato dagli abitanti della città. Insomma la passeggiata serale dall'albergo verso il Nilo si è trasformato in una piacevole scoperta di odori di tutti i tipi, dai profumi del barbiere, agli effluvi provenienti da cucine sulla strada, a fritti vari, a tante altre attività svolte sui marciapiedi con i negozi aperti fino a tarda ora e l'opportunità per Bepi di acquistare una buona quantità di teste di aglio che ha intenzione di piantare per dare un colpo di vita alla sua produzione nell'orto di casa. Dal prossimo anno il profumo dei suoi soffritti gli farà ricordare il viaggio in bicicletta nella terra dei Faraoni. Bepi è fatto così, tra i tanti souvenir è andato a scegliersi proprio questo... Forte, fortissimo. In tutti i sensi (a dire il vero per le donne di casa c'è qualche sorpresina in serbo...).
Basta, è ora veramente di partire e, oltrepassato lo snello ponte di oltre 1 chilometro che ci fa sorvolare il grande fiume, cominciamo a costeggiarlo tenendolo sulla nostra destra e scopriamo, mano a mano che progradiamo, uno dei percorsi più affascinanti dell'intero viaggio. Qui la terra è rigogliosissima e, se nei primi chilometri la strada fa da spartiacque tra il desetro a sinistra e un'oasi di verde sulla destra, cioè la pianura beneficata dal Nilo, più avanti si insinua in un trionfo di natura rigogliosa con campi coltivati, palmizi, terreni vividissimi, coltivazioni di canna da zucchero e i soliti asinelli, questa volta accompagnati anche da alcuni maestosi dromedari, che avanzano lungo la strada con piglio e imponenza faraonica.
Dopo 67 chilometri di incanto prodigioso, grazie alla natura lussureggiante e al solito vento amico che rende la vita molto più facile, ecco un'ulteriore bellezza scenografica, lo straordinario tempio di Kom Ombo. Arrivarci via strada come facciamo noi è incredibile perché, oltrepassata la città - che ospita molti nubiani, dispersi a causa della formazione del lago Nasser – si oltrepassano dei villaggi poverissimi dove la gente vive apparentemente tra gli stenti e infine giungi davanti a un tempio di rara bellezza, che stride in maniera evidente con la realtà attuale. Rapporto tra passato e presente: uno snodo cruciale per tutti gl storici. Noi qui in Egitto ci siamo spesso trovati straniti di fronte al contrasto tra una civiltà tanto alta, nel passato remoto, e una apparentemente così basica nel presente. Incredibile.
Ma torniamo al nostro tempio, relativamente recente, del periodo tolemaico, quindi a cavallo tra periodo greco e romano. E' ben diverso da quelli di Dendera o di Abydos, più monumentali con fronte compatto e massiccio, qui le colonne sono più slanciate con capitelli aerei e la presenza assai invasiva del Dio Sobek (il dio coccodrillo) e il Dio Haroeri (dalla testa di falco), rispettivamente il male e il bene, i due dei cui era dedicato il tempio (altra parrticolarità la doppia venerazione). Il dio coccodrillo ci fa simpatia, ci ricorda la numerosissima presenza di questi animali nel fiume, ora però sono scomparsi anche se all'interno del tempio, in alcune stanze, ce n'è anche un paio di esemplari mummificati.
La vista delle rovine, su una collinetta sovrastante il Nilo e incombente sullo stesso, è straordinaria e la visita di questo sito archeologico ci resterà sicuramente impressa, anche per i particolari rilievi visibili, raffiguranti tra l'altro numerosi strumenti chirurgici, alcune scene di parto e pure un dettagliato calendario con le tre stagioni egizie.
Ragazzi, bisogna menare i pedali e dopo alcune foto di rito presso un branco di dromedari al pascolo poco oltre il villaggio, lasciamo Kom Ombo e i suoi zuccherifici per volare nuovamente (e ridaje 'sto vento a favore, sicuramente nel tappone di dopodomani, di 280 chilometri, quando ci servirebbe, soffierà dall'altra parte, ne siamo sicuri) verso Assuan. E alle 11.40 giungiamo nella nostra sede di tappa. Dopo il pranzo allestito da Ramon abbiamo un appuntamento istituzionale con la Egypt Air, che vuole rendere omaggio al nostro sforzo e al nostro impegno nei confronti dei bambini sofferenti, e siamo ricevuti dal direttore responsabile della sede di Assuan che ci dedica parole che quasi ci confondono. Ma fanno bene al cuore.
Quindi ci godiamo, da veri turisti senza bicicletta, una veleggiata in feluca sulle acque del Nilo, finalmente così vicino, a portata di mano. Spaparanzati sotto questa bella vela bianca dimentichiamo le fatiche, le sofferenze di qualcuno di noi, il mal di pancia e ci lasciamo trasportare dai flutti gustandoci il volo regale di qualche garzetta, uccello dal portamento regale che in tutti questi giorni ha accompagnato il nostro precedere e che per noi può rappresentare in forma di animale, assieme all'asinello, questo viaggio. Anche a noi piace dispiegare le ali e librarsi, sognare, volare, pedalare.
Domani altra giornata di visita alla bella Assuan e poi... ultra-tappone, l'ultima fatica, fino ad abu Simbel. Lì veramente il nostro viaggio a pedali si concluderà. Domenica.
Note tecniche
I 110 chilometri che ci separano da Edfu a Assuan sono piacevolissimi, grazie anche al traffico ridotto del venerdì. Bambini ci salutano come eroi, come campioni, a volte corrono dai campi fin sul ciglio della strada per “battere cinque” o solo per gridare da più vicino “hallo, hallo”. Asfalto scorrevole, vento a favore (c'è di che vergognarsi).
Edfu-Assuan km 111, partenza ore 6.15, arrivo ore 11.25, tempo effettivo h. 3.43, media kmh. 29,9.
16 giorno
Sabato 14 novembre 2009
Giorno di sosta e visite ad Assuan.
BOOM. La bordata è partita, c'era da aspettarselo prima o poi ma quando è arrivata ha colpito duro. E' uscita ieri sera dalla bocca di un venditore del mercato di Assuan, un omino dal volto asimmetrico che fa anche la guida turistica che, guardando le nostre divise ci dice in italiano: “Belzoni? Ladrone”. Ecco qui, non è certo una novità o una sorpresa, ma in questi giorni in cui abbiamo vissuto una specie di progressiva esaltazione nei confronti del Titano di Padova, vedendo i territori in cui ha operato e immaginando le condizioni in cui ha operato, abbiamo rimosso completamente questo aspetto della sua personalità..
“Belzoni ladrone”ci rimbomba nelle orecchie e capiamo che questo appellativo sembra una personale ritorsione nei confronti dell'asportazione dell'obelisco del tempio di Filae, che tante grane ha causato al nostro in vita e che si trova proprio qui ad Assuan.
Certo, potrei dire che Belzoni non è stato certo l'unico, che tutti i primi archeologi hanno avuto questo fama, suffragata dai fatti, di predoni e di predatori al fine di far riempire le bacheche di un museo della propria nazione e far felice un re, un presidente, un pubblico. Che sarebbe poi quello che si dice adesso il vero “utilizzatore finale”. E che tutti - inglesi, francesi, tedeschi - non erano stati da meno, da Napoleone a Carter, da Champillon a Drovetti per arrivare a Schlieman.
Eppure quel “Belzoni ladrone” stona, ci dispiace, ci fa stare un po' male. D'altronde la storia è fatta di culture vincenti e perdenti, che si impadronivano delle precedenti, di spoliazioni, di furti, di ornamenti con le vestigia dei vinti. E noi veneziani ne sappiamo certo qualcosa: mi riaffiorano alla mente alcune strofe (un po' storpiate) della canzone di Alberto d'Amico “Ariva i barbari a cavalo”: Statue, marmi, colone e ori / xe roba robada ai greghi e ai mori / le ciama beleze ma mi go paura / par un toco de marmo i ne manda in guera / Luisa che ladro che xe Marco Polo / scampa che i mongoli... ne core drio”. Della serie la storia si ripete. Quindi, in questi giorni, non toccateci Belzoni.
Oggi giornata di visita ad Assuan, con perlustrazione della grande diga e soprattutto il bel tempio di Filae, dedicato a Iside, che sarebbe stato sommerso dal lago Nasser se non fosse stato spostato e ricostruito su un'altra isoletta. L'ambientazione è spettacolare, uno dei templi meglio conservati, da raggiungere solo via mare grazie a dei taxi-acquatici, dei traghettini a motore che rendono tutto molto pittoresco.
Siamo ai piedi della prima cateratta, che costituiva il primo ostacolo nella navigazione sul Nilo.
Oggi poi, dopo due ore di visita al tempio arroccato sull'acqua, altro viaggio in vaporetto (almeno così mi sembra) per una escursione verso le cateratte (dove osserviamo cicogne, aironi e altri uccelli coloratissimi) in direzione di un villaggio nubiano.
Impressionante risalire la corrente a tratti anche molto impetuosa, con gorghi e passaggi difficili vicini alle rocce. Nel complesso una bella escursione, stimolante. Manca solo la visione di un coccodrillo a pelo delle acque del Nilo, ma ne vedremo un paio, in cattività, proprio nel villaggio nubiano.
Qui ad Assuan infatti c'è una grande attenzione per questa cultura, che è stata seriamente messa in crisi in questi ultimi anni: i poveri nubiani infatti sono quelli che hanno pagato il dazio più alto alla costruzione del lago di Nasser, che ha letteralmente spazzato tutti i villaggi. Così sono stati costretti a spostarsi a valle della diga stessa, tra Assuan e Kom Ombo, subendo uno sradicamento sociale e culturale decisivo. Si distinguon subito i nubiani, per il colore più scuro della carnagione, i lineamenti più marcatamente africani, il naso camuso, i capelli ricci. E sono anch belli, in alcuni casi imponenti e regali.
Oggi quindi si finisce la giornata con un ulteriore passaggio al mercato e poi la visione di una partita di calcio sentitissima, Egitto-Algeria, decisiva per la qualificazione ai mondiali del 2010 in Sudafrica. Qui tutta la nazio e è in fibrillazione, fin dal mattino girano automobili impavesate coi colori nazionali, nero, bianco e rosso.
La nostra guida Adel ci dice che se l'Egitto riuscirà a qualificarsi questa notte succederà il finimondo e le stade brulicheranno di persone acclamantii. In caso di sconfitta, invece, sarà il silenzio più amaro. Sinceramente non sappiamo cosa sperare: tiferemmo sicuramente per la nazioe che ci sta ospitando da oltre due settimane, ma nello stesso tempo vorremmo dormire qualche ora, dato che la sveglia sarà alle 4.30 del mattino. Per tutta la giornata abbiamo esorcizzato il problema tappa di domani, l'ultimissima: semplicemente non ne abbiamo parlato. Cercheremo di trovare le energie fisiche e nervose (i questi casi si pedala più con la testa che con le gambe) per superare anche quest'ultimo ostacolo.
Secondo me, dopo le eserienze di questi giorni, ce la faremo. 280 km di deserto con sole 11 ore di luce. Domani leggerete.
Ciao a tutti e augurateci buona fortuna. Ne avremo bisogno.
17 giorno
Domenica 15 novembre 2009
Ultima tappa, tanto attesa.
Avete presente la faccia di un bambino a cui è stato appena rotto o rubato il giocattolo preferito? Vira tra l'attonito, l'incazzato, l'incredulo e l'imbestialito. Così, o forse anche peggio, è la nostra di questa mattina, quella dell'ultimissima tappa, della conclusione ciclistica del viaggio.
Cosa è successo?
E' accaduto che, come con gli scorpioni, anche nella nostra avventura, il veleno sta nella coda e questa notte, quando distesi nei nostri letti già stavamo fantasticando sogni di gloria, di fatiche superate agevolmente, di deserti domati, pregustandoci la dolcezza dell'arrivo romantico, alle 2.30 è suonato il telefono in camera. Convinti che fosse la sveglia (prefissata alle 4.30) e risposto un generico “Yes, tank you” uguale a tante altre levatacce, dopo qualche secondo ci siamo acccorti che all'altro capo del telefono si trova Franca che ci avverte che il programma è cambiato, che anche lei è stata appena svegliata nel cuore della notte, e che la polizia ci ha negato il permesso di transito per recarci in bicicletta da Assuan a Abu Simbel. Ufrficialmente per problemi di sicurezza. In effetti su questa strada, assolutamete desertica, ci si muove a convogli, due al giorno in andata e due al ritorno, ma ci era stato garantita un'eccezione per la nostra spedizione. A Marsa Alam e la sua strada militare c'era andata bene e tutto era filato liscio, almeno fino all'arrivo a Berenice, anch'esso vietato, qui no.
E noi ci rimettiamo la tappa, ci rimettiamo l'arrivo.
Ci casca il mondo addosso, mugugni, bestemmie ma in realtà c'è poco da dire o da fare, specialmente alle due di mattina svegliati di soprassalto e con po' po' di notizia-bomba. Non ci resta che girarci dall'altra parte con la magrissima consolazione, almeno, di poter dormiire 3 ore in più, in quanto la partenza in pullman è prevista qualche ora dopo, col convoglio delle 11 assiame a tutti gli altri automezzi turistici.
Finiti i sogni di gloria, ci rimmergiamo malavoglia (ma immediatamente) nel sonno profondo, questa volta neppure messo a repentaglio dal casino infernale che si è scatenato per tutta la notte ad Assuan come in tutto l'Egitto nelle strade dopo il gol, segnato al quinto minuto di recupero del secondo tempo, nella partita contro l'Algeria che ha portato le due nazionali a disputare un'ulteriore spareggio, mercoledì prossimo, in Sudan. Questa volta ci ha salvato la strategica ubicazione del nostro albergo, sorto in mezzo al Nilo, nell'Isola Elefantina, così spesso citata dal Belzoni.
La ricchissima sala delle colazioni ci vede arrivare con delle facce più riposate, anche se un po' rabbuiate ma devo dire la verità che temevo peggio. Lo spirito dell'Insallah, del vedremo, dello speriamo che..., sta lentamente instillandosi in noi e così la prendiamo, non dico con filosofia, ma almeno con un certo aplomb.I vari “va fartelo metare” e affini non sono arrivati a galla.
Certo che la delusione resta, ma cerchiamo di non farci condizionare troppo e di vivere e ripensare agli aspetti positivi del viaggio. In attesa della partenza del convoglio ci sono ancora tante cose da fare, tra cui quella di aiutare Aladino a parcheggiare definitivamente la sua moto, che lo ha accompagnato per oltre 2200 chilometri di strada. Gli dà un'ultima carezza morbida al serbatoio, un bacio al manubrio e così abbandona anche lui la sua compagna di strada, che lo ha fatto certamente penare più di quache volta (tre batterie consumate durante il percorso), irritazioni alle cosce dovute al gran caldo, ma che gli ha anche regalato dei momenti di spensieratezza e di gioia pura che noi ciclisti comprendiamo benissimo. Pare che una lacrima furtiva gli abbia bagnato la visiera quando ha chiuso definitivamente la serranda del box dove l'ha lasciata per sempre.
Prima della partenza c'è anche tempo per una visita alla cava di granito rosa da dove sono stati estratti numerosissimi blocchi per la costruzione dei famosi monumenti dell'antico Egitto e dove ancora campeggia la forma di un obelisco incompiuto, finito per tre quarti ma poi rottosi durante la lavorazione. E' interessantissimo soprattutto perché si possono osservare le varie fasi delle tecniche di costruzione e di erezione dello stesso.
Partiti (in pullman) attraversiamo un deserto pietroso ancora più aspro di quello che ci ha accompagnato verso Marsa Alam, sicuramente più piatto, con qualche saliscendi che avrebbe messo un po' a prova le nostre gambe senza però impedirci, ne siamo sicuri, di arrivare. Ma è meglio non parlarne più, altrimeni ci facciamo il fegato grosso e basta. E' andata così, amen.
Vorrà dire che almeno ci tireremo su il morale con in templi di Abu Simbel e con le quattro spettacolari e colossali statue di Ramses II, liberate dalla sabbia ovviamente dal Belzoni. In effetti così è stato, la visita dei due spettacolari templi di Rames II e quello dedicato alla dea Hator in onore della regina Nefertari ci lasciao di stucco. Sicuramente quello di Ramsesse II, alto ben 33 metri e con le tre colossali statue all'ingresso e altre gigantesche all'interno, è quello che ci colpisce di più. Questa sorta di gigantismo, l'amore per il clolossale, l'esagerato, è forse l'aspetto più peculiare dell'arte faraonica.
Con l'animo decisamente più rasserenato rientriamo in albergo e ci rendiamo finalmnte conto che il nostro viaggio si è ultimato: abbiamo toccato il luogo più a sud. Certamente il contentino di concederci di pedalare gli ultimi 15 chilometri, dal blocco di polizia fino al centro non può ovviamente averci indorato la pillola, ma almeno abbiamo effettuato l'entrata in città e la fine simbolica del viaggio dall'alto della sella. Sono stati 1273 chilometri intensi, entusiasmanti, a volte contraddittori, che ci hanno portato a esplorare e a conoscere un po' meglio un paese così affascinante e stimolante.
Da domani ci avvicineremo al Cairo, che raggiungeremo in due giorni di autobus, poi ultimo giorno di visita nella capitale e infine, giovedì, il rientro a casa. Conoscendoci, immagino già che saranno i giorni più duri e difficili: un ciclista senza bicicletta è come un pesce fuor d'acqua.
Comunque se è vero che spessissimo, in questi viaggi, l'ultima tappa lascia l'amaro in bocca, a volte per l'eccesso di aspettative, a volte perché sancisce la fine di una parentesi dalla vita normale, anche questa volta non si è sfuggiti dalla regola. Sicuramente i prossimi giorni porteranno riequilibrio nelle nostre emozioni.
18 giorno
Lunedì 16 novembre 2009
Riposo, trasferimento o defatigamento? Chiamatela come volete ma quella di oggi è una giornata assai particolare, dove sicuramente non ci si riposa, dove certamente ci si trasferisce, dove si fa anche un po' di fatica. Fatica a stare seduti per ore avvolti in un sedile del pullman, croce e delizia per questi due giorni, mezzo che ci fa risalire a ritroso il paese, dal sud a nord. Oggi dal deserto di Abu Simbel fino alle bellezze di Luxor, domani fin nella capitale egiziana. A proposito di Abu Simbel, ieri sera ci siamo concessi la visione dello spettacolo “Suoni e luci” nel tempio cittadino. Sarà anche uno spettacolo, evidentemente, per turisti ma la suggestione è stata notevolissima, sia per l'ambientazione dei due grandi templi in riva al grande fiume, ora diventato Lago Nasser, sia per la magia dei colori e delle musiche che evocavano, diffuse nell'aria e proiettate sulla roccia, l'idea del tempo e il rumore del vento. Elementi caratterizzanti dell'epoca faraonica, che ci hanno fatto riflettere e ci hanno ammaliato, facendoci trasportare per oltre mezz'ora in un tourbillon di mistero e di fascino. Insomma, 15 euro spesi bene, livello elevato, da utilizzare per valorizzare anche i nostri moumenti italiani.
La partenza del convoglio delle nove non c coglie certo impreparati: vi sembrerà impossibile ma noi ciclisti ci siamo svegliati anche quest'oggi alle ore 6.30. In effetti volevamo sistemare l'affaire bicicletta e all'alba ( o quasi) sette uomini vestiti d'azzurro lavoravano alacremente nel cortile vicino alla reception, ognuno davanti al proprio cavallo d'acciaio, muniti di chiavi, brugole e plastica protettiva, per smontare la propria bicicletta Eclipse, fornitaci gentilmente in comodato d'uso dalla fabbrica. Come ieri Aladino, anche noi proviamo un po' di nostalgia a impacchettare e salutare definitivamente il nostro mezzo che ci ha permesso di gustarci l'Egitto: tuttto è andato bene, le bici si sono dimostrate all'altezza, non ci sono state rotture o incidenti particolari, solo qualche foratura e le normali registrazioni che ha effettuato di volta in volta il nostro Romeo, che ha utilizzato gli strumenti messi gentlmente a disposizione dal suo amico e meccanico Girotto. Grazie Adriano da parte di tutti noi. E ovviamente grazie soprattutto all'Eclipse.
Insacchettate nelle nere borse da viaggio (come non pensare per un momento, riflessione lo ammetto un po' lugubre, alle salme dei marines rimpatriate dai luoghi di guerra...) le nostre bici han finito di tribolare e conosceranno ora terreni un po' meno accidentati e asfalti più occidentali.
In compenso a tribolare ci pensiamo noi, costretti all'immobilità per molte ore, che facciamo passare chiacchierando, leggendo, cominciando a guardare le foto e i filmati per rivivere il viaggio.
Ma è ancora troppo presto, bisogna lasciar decantare, siamo ancora nel luogo del delitto, con molti stimoli ancora da accumulare.
Non meravigliatevi quindi della stringatezza dei nostri resoconti futuri, figlia di questi strane emozioni, di questa coda di un viaggio non ancora completato ma nello stesso tempo, nella nostra testa, già finito. Continuate pure a seguirci, a scriverci, a chiederci e darci stimoli. Approfittiamo dell'occasione per ringraziare voi tutti (ci sono stati più di 5000 contatti in questi 18/19 giorni) per averci accompagnato nel nostro viaggio.
Al ritorno avremo senz'altro occasione per condividere le nostre emozioni più da vicino attraverso chiacchierate, proiezioni e riflessioni, private o pubbliche.
Ne saremo ben felici.
19 giorno
Martedì 17 novembre 2009
Ridateci il tappone. Non per essere insistenti o ripetitivi, ma ci è mancato e lo sentiamo ancora. Specie oggi che ne stiamo affrontando un altro tipo di tappone, automobilistico, di oltre 800 chilometri da Luxor fino al Cairo. Abbiamo intrapreso un percorso differente rispetto a quello previsto in un primo momento e, partiti da Luxore doppiata Qena, abbiamo girato verso est e il Mar Rosso per attraversare un lungo tratto desertico e sbucare a Safaga, affacciata sul mare. Da qui puntiamo decisi verso Nord, su autostrada che taglia il deserto tenendo sempre sulla destra il turchese intenso del Mar R osso, impreziosito dai ricami bianchi delle onde sollevate dal forte vento che ci accompagna. La strada è abbastanza momotona, il paesaggio desolato nonostante il mare prezioso che ci accompagna. Qua la costa è assolutamente piatta e non ancora sfruttata turisticamente, se si eccettuta il grande centro di Hurghada, il luogo di villeggiatura più popolare di tutto l'Egitto. Due fasce colorate, turchese e blu cobalto, ci accompagnano per chilometri in questo pellegrinaggio verso Nord, che vedrà anche una sosta culturale al Monastero di San Paolo, costituito da una chiesa e da una fortezza, costruite intorno alla grotta nella quale l'eremita San Paolo, nativo di Alessandria, visse per 90 in mezzo al deserto. Questo monastero copto è uno dei più antichi di tutto l'Egitto e di tutta la cristianità.
La sosta è stata vermente piacevole e assai interessante, abbiamo visitato un'oasi di pace e serenità in un ambiente ostile e duro come le desolate alture desertiche che la circondano.
Ritorniamo in autobus, ci aspettano ancora 300 chilometri ad arrivare al Cairo, che siamo rinfrancati e rasserenati.
Giungiamo alle 19.45 al Cairo. Abbiamo certamente effettuato la giornata più dura in assoluto, 300 chilometri in bici sono niente, vi garantisco, rispetto alla fatica che abbiamo dovuto sostenere.
20 giorno
Mercoledì 18 novembre 2009
Siamo al Cairo e ci stiamo gustando l'ultimo giorno di Egitto andando a ritroso nel tempo, visitando cioè i siti archeologici tra i più antichi, cioè Saqqara con la sua famosissima piramide a gradoni, e la vecchia capitale Menfi, trasferita per simboleggiare l'unificazione del Basso e Alto Egitto. Troppo scarni ormai i nostri resoconti per rendere degno omaggio a queste importanti vestigia che incarnano il vero spirito dell'Antico Egitto, o almeno così crediamo, con questa monumentalità semplice ma imponente, con giganti di calcare come la statua coricata di Ramsesse II che lascia a bocca aperta per la grandiosità e bellezza, o la geometria ancora grezza e molto materica della piramide a gradoni di Saqqara, costruita 4500 anni fa, quando ancora nei nostri territori veneti gli abitanti si cimentavano, come massima arditezza tecnologica, nella costruzione di qualche punta di freccia (rubo il paragone a Ugo che, aggirandosi estasiato davanti a sfingi, geroglifici elaboratissimi, statue levigate, usa spesso – sconsolato – questo paragone).
Eccoci quindi tornati al Cairo, il capo e la coda del nostro viaggio, dove avevamo lasciato i bambini dell'ospedale 57357 che abbiamo cercato di aiutare e sostenere in questa nostra pedalata verso il sude dell'Egitto e il sud del Mondo, sempre assieme ai bambini italiani e di tutto il mondo malati di leucemia.
Ci siamo riusciti? Se per rispondere affermativamente bastasse l'accoglienza ricevuta in questi giorni così dala gente comune come dalle autorità diremmo proprio di sì, ma siamo certi che non basti. Certo, col nostro viaggio abbiamo mosso alcune sensazioni, alcun emozioni, a noi riuscire a farle germogliare e fruttare.
Questi giorni di entusiasmo e, anche, di sofferenza, di cultura e di solidarietà, di scoperte interiori e esteriori, di fatiche e di soddisfazioni ci hanno dato moltissimo. Speriamo anche di aver lasciato un qualche pur piccolo segno. Magari anche in voi che ci avete seguito nel sito, nei nipotini di Romeo, e anche nei piccoli lettori del blog di Aladino, che aggiornava continuamente alunni e genitori del 3 Circolo didattico del Bassanese mandando notizie, informazioni e foto del suo e nostro viaggio. Ebbene nei giorni scorsi ha voluto concentrare la sua attenzione sulla storia di Bepi, Romeo e Joani, una storia fatta di grinta, di capacità di reazione, di volontà e della loro personale lotta contro una malattia che poteva minare defnitivamente il fisico e il morale e da cui, nel giro di un paio di anni per i primi due e di soli sei mesi nel terzo caso, ne sono usciti appunto grazie alla loro “cattiveria agonistica” assolutamente indispensabile in momenti come questi. Aladino ha voluto quindi, attraverso le vicende personali dei nostri 3 compagni di viaggio, insegnare ai ragazzi la necessità di lottare e non di piangersi addosso, di reagire con determinazione e grinta, reagendo ai casi della vita con positiva ostinazione. E la risposta alle sue sollecitazioni sono stati molti messaggi e due lettere commoventi ed istruttive che abbiamo letto assieme in pullman. La lotta alla rassegnazione che è alla base della filosofia dell'AIL, che da 35 sta combattendo e lottando per dare speranza e vita ai bambini malati.
Il viaggio quindi è fatto anche di queste cose, di questi aspetti, di grandi e piccole storie che ognuno di noi custodisce. Che vengono a galla ed emergono magari nelle chiacchierate a cena, oppure pedalando fianco a fianco, o la notte prima di addormentarsi in camera. Tutti piccoli tasselli che compongono un gruppo.
Un gruppo che, come ieri, vi saluta e vi ringrazia, questa volta veramente in maniera definitiva.
Ringraziamo di cuore tutte le persone e le aziende che ci hanno sostenuto e aiutato ad affrontare questa impegnativa, sotto tutti i punti di vista, avventura.
Grazie di cuore.