Da Venezia a Capo Nord / 2007
Da Venezia a Capo Nord / 2007
TAPPA 01 sabato 16 giugno 2007 Venezia – Trento km 158 media 24,0
Ouverture
Ore 20.00, ostello di Trento, 8 uomini a torso nudo distesi sulle brande si concedono il giusto riposo dopo 158 chilometri. E distesi, si sa, si pensa e si ripensa meglio: è tempo di consuntivi.
Giornata indimenticabile oggi, straordinaria e difficile come tutte le “prime”. Ricca di aspettative e nello stesso tempo quasi frenetica per i molti impegni in calendario da rispettare, le tensioni che si sciolgono, con i cavalli finalmente liberi di andarsene a briglia sciolta dopo tanto mordere il freno. Una giornata quindi sicuramente esaltante e contraddittoria nei sentimenti di chi la vive in prima persona: c’è l’adrenalinica eccitazione di mettersi in moto, di diventare nomadi, di farsi viaggio lungo le strade d’Europa, ma nel contempo è presente il sottile dispiacere di lasciare a casa i propri affetti con la consapevolezza di non poter condividere con chi si ama le emozioni che ci aspettano in questo lungo viaggio. C’è l’incognita di affrontare nuove esperienze, di visitare luoghi sconosciuti, un pizzico di timore per le numerose insidie che si celano dietro un viaggio così lungo in bicicletta. Non dimentichiamo infatti che sulle due ruote ogni oggetto può trasformarsi in una trappola, anche una macchina posteggiata non è per niente innocua se il guidatore apre d’improvviso la portiera senza guardasi attorno. E chi se lo vuole scordare? Tutti “in campana”, fin dal primo giorno.
Giornata indimenticabile, si diceva, ma anche infinita, che inizia all’alba e finisce quasi al tramonto di questa lunga giornata di giugno. E come a ogni prima che si rispetti c’era un parterre de roi nei vari appuntamenti che hanno scandito la giornata.
La sagoma inconfondibile della basilica di San Marco ha fatto da scenario alle 8 e mezza del mattino al primo e al più sentito momento, quello della simbolica partenza di fronte al monumento che più rappresenta noi veneziani, il luogo da dove si diparte quel cordone ombelicale che ci lega visceralmente a questa città che è nostra madre ma che a volte possiamo sentire anche come matrigna, col suo carico fin troppo opprimente di problemi, di difficoltà: e Piazza San Marco ne è certamente il simbolo, splendida e magniloquente, col suo carico di turisti che la sta quasi soffocando, e con lei tutta la città. E ce la siamo goduta tutta questo nostro salotto, noi e i nostri cari che ci hanno voluto accompagnare e salutare alla partenza. Assieme all’assessore e amica Mara Rumiz, sempre presente ai nostri appuntamenti, in rappresentanza dell’Amministrazione comunale, vediamo alcune facce amiche che hanno voluto esser presenti, come le altre volte che abbiamo organizzato qualche pazzo viaggio in bicicletta in giro per il mondo. Un modo per condividere, seppur parzialmente e solo per qualche istante, le nostre fatiche e i nostri sogni.
Foto di rito, fotogrammi che resteranno nel nostro album di famiglia, con la segreta speranza di poter sentire con le proprie orecchie: “Guarda quella volta che il nonno è partito per andare a Capo Nord”.
Poi, prendiamo le bici e le imbarchiamo in un mototopo che ci concede una breve ma suggestiva crociera per il bacino di San Marco, il Canal Grande e quindi raggiungiamo in breve Piazzale Roma, il terminal automobilistico cittadino da dove iniziamo a calcolare la nostra montagna di pedalate. Ne serviranno a migliaia, a milioni per coprire i 4000 chilometri previsti e a ogni giro di pedale un’idea, un pensiero, un flash farà capolino nella nostra mente: ce ne sarà da raccontare!
Ecco che finalmente cominciamo a pedalare lungo il Ponte della Libertà, poi passiamo davanti al Parco di San Giuliano, dove regna un’atmosfera surreale: centinaia di ragazzi escono dalle tende con le facce ancora sottosopra per grave incidente di ieri sera che ha sconvolto la città, la tromba d’aria che si è abbattuta proprio durante il Concerto dell’Heineken Fest causando feriti e distruzione. Silenzio composto da parte di tutti, certamente un’immensa delusione dato l’annullamento dei concerti tanto attesi ma anche, probabilmente, la consapevolezza di averla scappata bella.
Eccoci a Piazza Ferretto: fermi tutti, un altro appuntamento sempre con i rappresentanti dell’Amministrazione comunale nella città di terraferma, Mestre. E’ previsto il saluto dell’assessore alla sport Sandro Simionato, che tanto ha creduto nel nostro progetto, e invece abbiamo una piacevolissima sorpresa: mezza giunta comunale con Simionato, l’Assessore ai Trasporti Mingardi, quello alle politiche sociali Murer e soprattutto lui, la prima barba cittadina, il nostro sindaco Massimo Cacciari. Appassionato ciclista, non ha voluto perdere l’occasione per un breve ma sentito saluto di buonagurio. Gli stringiamo le mani veramente felici che abbia voluto farci questa sorpresa. Altro saluto di Simionato e sentito il ringraziamento del Doge della Confraternita del baccalà mantecato, l’architetto Giovanni Caprioglio, con tanto di tabarro (pesantissimo, complimenti a lui) e medaglione al collo di appartenenza alla confraternita. La bella barba bianca che gli incornicia il simpatico volto fa da contraltare a quella del sindaco. Belle parole, un pizzico di commozione e la promessa, da parte del sindaco, che a settembre al Centro Candiani faremo una serata di presentazione del nostro viaggio. Perfetto: non mancheremo. A noi piace raccontare le nostre emozioni e condividerle con gli altri: pane per i nostri denti.
Ma ora veramente dobbiamo pedalare e ci dirigiamo verso Sandrigo accompagnati da altri 7 o 8 soci del Pedale che hanno deciso di venire con noi simbolicamente fino all’appuntamento con la Venerabile confraternita del baccalà alla Vicentina: ci hanno accompagnato Marco e Alessandro Angiolin, a scortare il proprio padre Franco, Rino Martin, Massimo Nottari con il nostro team manager Giancarlo Chiarato, Alessio Zambianchi, il vicepresidente Franco Puppato, Alessandro Bison, Mauro Gambato, Gilberto Costa. Un grazie di cuore a tutti loro, ci hanno fatto un enorme piacere. E assieme a loro si è unito, sempre a Mestre, Jacopo Selleroni, appassionato ciclista e responsabile del settore bici della Decathlon Marghera che ha creduto nel nostro progetto e ci ha dato una grossa mano dal punto di vista tecnico.
Bella pedalata di 74 chilometri fino a Sandrigo, dove con puntualità svizzera arriviamo all’appuntamento delle 13.00 a Villa Mocenigo in località Lupia dove la Pro Loco di Sandrigo ha offerto a noi tutti ciclisti (nel frattempo si sono aggiunti 5 amici padovani e bassanesi di Alberto, compagni dei suoi viaggi in Cina e a Gerusalemme) un’ottima mangiata di baccalà. Straordinaria l’accoglienza, organizzata dall’avvocato Benettazzo della Venerabile Confraternita del baccalà alla Vicentina. Buon vino di Breganze (che abbiamo avuto il piacere di avere in omaggio per il viaggio verso il profondo Nord da parte del Presidente della cantina di Breganze). Il vino scalda gli animi e scioglie le voci, un dedica dell’inno di Venezia fa commuovere i presenti: «‘Sti veneziani però, riescono a toccare le corde giuste…». Arrivano anche 10 ciclisti amici di Orgiano, località in provincia di Vicenza, con cui abbiamo un rapporto di fraterna amicizia e di gemellaggio. Un saluto caloroso anche con loro.
Poi alle 14.30 leviamo le ancore, mancano ancora 80 chilometri per raggiungere Trento con una bella salita, lungo la Val d’Astico, fino ai 1113 metri di Carbonare. Restiamo soli, noi sette, finalmente ci rendiamo conto di quello che stiamo per intraprendere, possiamo concentrarci sull’asfalto e soprattutto sui panorami che passeranno davanti ai nostri occhi.
Schio, Tiene, Chiuppano, pedaliamo nell’alto vicentino e ci prendiamo due belle battezzate di scrosci d’acqua, piacevoli e caldi: in pratica non ci bagniamo neppure. Caspita, se questo è l’inizio, chissà quanta ne prenderemo in Norvegia! Vedremo…
La salita è affrontata con tranquillità, sono duri soli i primi due chilometri (all’8 per cento), poi è abbastanza pedalabile, piacevole, restiamo sorpresi dalla nostra tenuta fisica: con il carico di emozioni e tensioni di oggi temevamo di patirla molto di più. Invece è andata bene. La discesa è straordinariamente morbida, belle curve godute da tutti noi e soprattutto dal discesista Franco. Foratura, pericolosa perché avvenuta in discesa ma senza conseguenze, di Alberto, poi si riprende e alle 19.30 entriamo in Trento. L’Ostello è ospitale e piacevole: è iniziata la nostra cavalcata. I ciclisti, ancora a petto nudo e in pieno relax, vi salutano
Punto tecnico
Tappa abbastanza lunga su strade trafficate nella prima parte ma poi, nel padovano e nel vicentino, più piacevoli e secondarie. Buono l’asfalto, un paio di acquazzoni ci hanno rinfrescato ma in pratica non hanno neppure bagnato troppo l’asfalto, con sollievo delle nostre maglie. La salita da Lastebasse a Carbonare, una decina di chilometri, non troppo impegnativa e piacevole, solo lo strappo iniziale dei primi due chilometri si è fatto sentire. Arrivo in quota a m. 1113. Foratura in discesa di Alberto. Cambio veloce e via.
Venezia-Trento Km percorsi 158, media oraria 24,0.
TAPPA 02 domenica 17 giugno 2007 Trento- Malles Venosta km 159 Media kmh 23,5
Il paradiso dei ciclisti
“Se vuoi patire le pene dell’inferno vieni a Trento d’estate e a Feltre d’inverno”, questo detto popolare è risuonato nella testa di molti di noi questa notte quando ci siamo girati nella graticola del nostro materasso, comodo ma surriscaldato. Del resto noi ciclisti masochisti, avremmo potuto mai dormire a Feltre d’estate? Certo che no, direbbe il nostro compagno di avventura Filiberto.
Una Trento impigrita in una soleggiata domenica mattina ci vede dirigerci, alle 9:30 di mattina - dopo aver inutilmente tentato di inviare via mail da un albergo del centro il diario e le foto del primo giorno di viaggio – verso la pista ciclabile dell’Adige e capiamo subito che oggi sarà una giornata assai particolare dal punto di vista ciclistico: il vero paradiso della bici.
Ci troviamo infatti a pedalare su questo magnifico nastro d’asfalto adagiato sulle rive del fiume, immerso nel verde, quasi sempre a debita distanza dall’autostrada e dalla statale del Brennero. Un popolo di ciclisti assieme a noi, famiglie con bambini, anziani, moltissime donne, viaggiatori con bagagli, perlopiù tedeschi, pattinatori, camminatori, ciclisti in allenamento. Magnifico, tutt’altra cosa che pedalare su pericolose statali, tra i fumi dello smog e gli specchietti retrovisori che ti sfiorano troppo spesso! Ma godiamo troppo presto: gli imprevisti sono in agguato: una pattuglia della polizia ci ferma e ci fa tornare indietro: la zona è interdetta poiché stanno disinnescando un vecchio ordigno bellico.
“Bomba o non bomba, arriveremo a Roma” si sente intonare in gruppo una vecchia canzone di Venditti. Finito l’idillio, fioccano le parolacce, anche perché non c’era nessun cartello indicatore. Per un ciclista una “allungatoia”, anche di solo 10 chilometri, è una vera maledizione: chi si suda metro dopo metro non ha certo voglia di regalare la propria fatica per niente. Pazienza, ci immettiamo sulla statale e poi, al paese di Salorno rientriamo sulla ciclabile e finalmente ci godiamo per svariati chilometri le distese di meleti, frammiste a vigne, tipiche della Valle dell’Adige. L’andatura è sufficientemente sostenuta, sui 30 km all’ora, anche se la giornata di domenica fa sì che la pista sia zeppa di escursionisti e quando ci si incrocia bisogna stare molto attenti, dato che la sede stradale sarà al massimo due metri. Il nostro trenino neroverde procede di buon passo verso Bolzano e abbiamo il piacere di essere accompagnati e guidati, fino all’incrocio con la pista ciclabile verso Merano, da due ciclisti locali, bolzanini per modi di dire dato i loro nomi, Carmelo e Salvatore, due simpatici e gentilissimi sottufficiali dell’esercito di stanza nel capoluogo altoatesino che ci scortano fino alla successiva ciclabile. Questo percorso veramente straordinario è consigliato a tutti, soprattutto alle famiglie e altrettanto consigliata la precisissima guida “Ciclopista del sole” di Claudio Pedroni, Ediciclo editrice, che ci ha accompagnato in precedenti escursioni.
La ciclabile Bolzano-Merano è altrettanto bella, con minor traffico ciclistico: un lieve venticello a poppa ha contribuito a renderla ancor più piacevole. E’ straordinario per noi vedere come la cultura della bicicletta, dello spostamento lento anche tra paesi o città limitrofe abbia qui preso piede: del resto se l’Amministrazione provvede alle infrastrutture le persone sono ben pronte a recepire gli stimoli. Speriamo che anche nel nostro Veneto si faccia qualcosa in questa direzione.
A Lana, nei pressi di Merano, la statale finisce improvvisamente ma contestualmente troviamo un altro ciclista che ci guida fino all’imbocco della Val Venosta facendoci fare il percorso migliore. Questa dell’aiuto tra compagni è una caratteristica dei ciclisti e sta caratterizzando la nostra tappa odierna: adesso è la volta di Eros, un ragazzo che abita a Merano ed è di lingua italiana. Ci racconta del suo vivere in Alto Adige, del figlio che frequenta la scuola tedesca, dell’integrazione tra le due etnie che c’è ma non proprio del tutto, insomma della vita di tutti i giorni, esaltante ma difficile, un po’ come ovunque. Ascoltandolo parlare pensiamo a quanto sia bello e complicato vivere nella nostra Venezia e un po’ ci consoliamo.
A Naturno, dopo una bella salita per entrare in Val Venosta e dopo la ricomparsa di una scorrevole pista ciclabile, ci concediamo la prima pantagruelica pastasciutta, consumata dopo 115 chilometri e ormai alle 14.40. Due etti di pasta danno il senso del nostro bisogno di carboidrati.
Mancano una quarantina di chilometri e ripartiamo per percorrerli ben satolli e anche eccitati per aver stappato le prime due bottiglie di vino regalatoci ieri dalle cantine di Breganze. Ottimo.
L’ultima parte della tappa è all’insegna del pomo: infatti la ciclabile diventa una stradina sempre più stretta che si insinua in una distesa di meleti a perdita d’occhio. E tra un pomo e l’altro, succede il fattaccio: in un labirinto di stradine, complice un’interruzione della ciclabile e una strana deviazione... ci perdiamo. Torniamo indietro, cerchiamo a naso la direzione giusta, il nostro cartografo Piero decide di sua volontà di andare avanti e… si perde tra i pomi. Sarà motivo di dileggio per i prossimi giorni, proprio lui, l’esperto di strade, di punti cardinali, di salite. Eppure. Decidiamo di fare quindi gli ultimi chilometri lungo la statale perché la ciclabile non è molto ben segnalata ma l’impatto, dopo oltre 100 chilometri di idillio ciclistico, è abbastanza choccante.
Giungiamo a Malles Venosta, dopo un paio di strappi maligni, alle ore 18.30.
Il punto tecnico
Tappa come si diceva straordinaria, quasi integralmente su pista ciclabile, con traffico abbastanza sostenuto essendo domenica. Salita di tre chilometri per giungere in Val Venosta, abbastanza impegnativa, poi qualche strappo verso la fine e a Malles.
Trento-Malles Venosta km 159, media oraria kmh 23,5 Totale complessivo 317
TAPPA 03 Lunedì 18 giugno 2007 Malles Venosta – Fussen km 164 Media kmh 22,4
Una pedalata nella storia
Dal centro di Malles Venosta, che domina dall’alto la suggestiva cittadina medievale di Glorenza, visitata ieri notte, ci inoltriamo alle 8.40 verso il passo Resia. La mattina alle 7.00, appena alzati, pioveva e il cielo era plumbeo, ma in un’ora e mezza il tempo è cambiato del tutto, volgendo al bello. Accettiamo di buon grado questo segno benaugurante e attacchiamo la salita con ottimo umore. Umore che migliora mano a mano che si sale: infatti scopriamo in breve che quella che stiamo affrontando è sicuramente per ognuno di noi la più bella salita della nostra vita. Infatti è tutta su pista ciclabile, cioè una stradina di un paio di metri al massimo che si inerpica tra i prati, in mezzo ai fiori, con il cinguettio degli uccelli come colonna sonora. Improvvisamente, come per magia, è scomparsa la statale, le macchine, i rumori: sembra di essere dentro la macchina del tempo, non si vede alcun intervento dell’uomo, siamo soli nella natura incontaminata e con la mole svettante di un’imponente Abbazia, quella di Monte Maria a Burgusio. Ci sentiamo d’improvviso catapultati al tempo dei romani e stiamo risalendo il più difficile valico delle Alpi per andare dall’Adriatico nelle terre del Danubio. Infatti la strada che stiamo percorrendo è proprio la Via Claudia Augusta, che partiva da Altino e, scavalcando il Passo Resia, giungeva ad Augusta, nostra sede di tappa di domani.
Fatta costruire negli anni 40 dopo Cristo, è stato un importante crocevia di commerci, di idee, di scambi culturali mettendo in comunicazione due aree così importanti dell’Europa in epoca antica, l’area mediterranea (e più propriamente adriatica), con quella danubiana, dell’Europa centrale. Oggetto di una riscoperta in questi ultimi anni come percorso storico (al pari della via francigena o del Cammino di Santiago di Compostela) anche grazie ai generosissimi aiuti della Comunità Europea si sta sviluppando un movimento incredibile attorno a questo tema. E la Claudia Augusta sarà il leit-motiv della giornata e anche della prossima tappa: ristoranti e alberghi portano insegne romane, soprattutto recentissimi monumenti ne esaltano il ricordo. Statue di legionari romani, spesso e volentieri di pessimo gusto, ci guardano sfilare per questa via, la Claudia Augusta Altinate.
E noi, memori del percorso classico della annuale gita sociale di chiusura dell’anno, che vede come meta proprio l’antico centro di Altino, salutiamo partecipi.
Tornando alla salita da sogno, ci godiamo ad andatura blanda, tutti assieme, le verde distese dei prati del passo: il sole ormai ha decisamente squarciato la coltre di nubi, l’aria è tersa anche se non c’è un alito di vento (e questo per noi è un bene perché il vento quando c’è per qualche strano maleficio è quasi sempre nemico del ciclista). La totale assenza di vento la notiamo osservando una pala eolica che sbuca dal verde (unico esempio, a dire il vero, di intervento dell’uomo) che è straordinariamente immobile. Siamo soli su questa stradina che negli ultimi 22 chilometri ha ospitato, oltre a noi, solo due trattori; quindi all’altezza dell’abitato di Resia vediamo spuntare l’inconfondibile punta del vecchio campanile sommerso dal lago artificiale creato qualche decennio fa. Foto di rito.
Eccoci quindi giungere alla prima frontiera, momento abbastanza importante e solenne perché conduce noi viaggiatori fuori dal nostro paese, il primo passo di quello che sarà un viaggio attraverso popoli e culture. Siamo in Austria e, dopo soli 10 chilometri, … eccoci giungere in Svizzera. Ma come, direte!? Non dovevate passare per la Svizzera! Certo che no, direbbe sempre Filiberto, ma la nuvoletta fantozziana del ciclista sfigato si è abbattuta su di noi sotto forma di deviazione, ovviamente una “allungatoia”. E il paradosso è che la strada austriaca verso Landeck è interrotta a causa di… una corsa ciclistica, pur importante come il Tour de Suisse, la più conosciuta corsa a tappe elvetica. Solita litania di improperi, e poco ci consolerà sapere, il giorno successivo, che la tappa se l’è almeno aggiudicata un italiano, il neoprofessionista Alessandro Proni.
Fatto sta che ci sciroppiamo una lunga deviazione per l’appunto in terra elvetica, evito di riportare i commenti sul Tour, la Svizzera e su Guglielmo Tell. Però, come ben si sa, non tutti i mali vengono per nuocere e così l’escursione è una bellissima planata sull’Engadina, in una fresca vallata, un fiume spumeggiante al nostro fianco e vette aguzze che ci sovrastano. Bellissimo. Quindi, passando senza sostare neppure per un istante alla frontiera, torniamo in Austria e puntiamo verso Landeck. Prima di giungere in questo centro abitato viviamo uno dei momenti più intensi della giornata: pedalando in una stradina ciclabile incantata, ci fermiamo a fotografare dei particolarissimi covoni di fieno e dal casolare esce una signora che ci invita a cogliere le ciliege restate sui rami dei loro alberi. Non l’hanno detto a dei sordi: il presidente Franco, novello Speedy Gonzales, appoggia lì per lì la bici sulla staccionata e si catapulta in cima alla scala, colto quasi da una crisi mistica, e comincia a distribuire a tutti le squisite ciliegie. Momento indimenticabile.
Un po’ meno felice, ma non certo per colpa del nostro direttore tecnico che ha dovuto fare di necessità virtù, la posizione per la sosta pastasciutta, l’unico spiazzo a fianco della statale su cui stiamo pedalando, proprio prima dell’imbocco di una lunga galleria. Menù del giorno: tagliatelle alla matriciana, divorate di gran gusto alle 13.45. Complice la deviazione di strada ne manca ancora molta e dobbiamo macinarla per forza nel pomeriggio: mi sa tanto che i forzati della pedivella arriveranno anche quest’oggi a pomeriggio inoltrato, più verso sera… Dopo Imst la salita del Fernpass ci accoglie con i suoi dieci chilometri al 5%, quasi una passeggiata per noi camosci (?) delle dolomiti e soprattutto ci offre una bella e ampia discesa. Ma anche qui qualcosa ci impedisce il pieno godimento, una “discesa interrupta”: giunti all’apice dell’orgasmo ciclistico, a 60 kmh all’ora, dobbiamo inchiodare, fermarci e uscire dalla strada, ora interdetta alle biciclette. Qui in Austria molte strade statali improvvisamente presentano dei segnali di divieto al transito delle biciclette e bisogna immettersi in secondarie. Comunque i restanti chilometri li percorriamo di buona lena, approfittando anche di alcuni bei falsopiani che ci fanno ritrovare il ritmo giusto e ci permettono di mettere fieno in cascina. Da Reutte alla nostra sede di tappa, Fussen, la stradina si insinua in una vallata dal verde brillante e una vivace pedalata ci consente di giungere a destinazione tutto sommato prima del previsto, alle 18:30, dopo aver percorso 164 chilometri e superato due passi. Ora ci godiamo il bel centro storico di Fussen, attraversato dal fiume Lech, cittadina nota in tutta Europa perché ospita a 5 km il castello fiabesco di Ludwig II di Baviera che attira un milione e mezzo di visitatori all’anno, con gran presenza di giapponesi. Ma ne parleremo domani.
Il punto tecnico
La salita del Passo Resia si è rivelata splendida, su ciclabile con asfalto ottimo. Poi, deviazione in Svizzera per interruzione della strada in Austria, passaggio in Engadina con una discesa abbastanza sostenuta, quindi ritorno in Austria e percorsi su statale, anche se bisogna prestare attenzione perché spesso il passaggio è vietato alle bici, quindi si va su stradine secondarie che passano per il centro di piccoli paesi.
Quindi ecco il Fernpass, salita non difficile di 10 chilometri, bella discesa. Alla fine la tappa comunque risulta abbastanza impegnativa, anche per i saliscendi finali da affrontare a buon passo se si vuole macinare i chilometri.
Malles Venosta – Fussen km 164, media oraria kmh 22,4 Totale complessivo 481 km
TAPPA 04 Martedì 19 giugno 2007 Fussen – Langweid am Lech km 165 Media kmh 22,8
La strada romantica
Il boccale di birra più buono del mondo. E’ una costante per noi ciclisti, ogni sera dopo tanti chilometri affermiamo con la certezza e l’insolenza di chi non ammette repliche che quella di questa sera è la birra più buona del mondo. Quindi anche quella bavarese di Langweid: per forza, la stanchezza è un esaltatore di sapidità, esaspera i sentimenti (attenti alle discussioni troppo accese…) e mette in fibrillazione le papille.
Ce la siamo ben goduto questo boccale, conquistato goccia dopo goccia, pedalata dopo pedalata. E pensare che questa mattina abbiamo detto: tappa breve, arrivo ad Augsburg al massimo alle 15 e poi visita alla città. E come non poteva interessarci la vecchia Augusta, con le sue ricche strade, i suoi monumenti, il Fuggerei, il più antico esempio di edilizia sociale del mondo, un vero e proprio quartiere di 67 case con 147 appartamenti destinati ai poveri e agli indigenti costruito a spese dei più famosi banchieri del mondo rinascimentale?
Ebbene, come spesso succede, le cose cambiano improvvisamente e quando meno te lo aspetti. Una tappa facile e di soli 108 chilometri si è trasformata in un tappone di oltre 160. Infatti oggi ci siamo scontrati pesantemente col sistema stradale tedesco, che prevede sì moltissime piste ciclabili ma nel contempo interdice molte strade statali (trasformate in superstrade) alle biciclette, senza troppi preavvisi. Capita quindi spessissimo di perdersi, almeno a noi è successo così, di allungare il tragitto, insomma di smoccolare continuamente. E oggi sono state moltissime le richieste di aiuto ai passanti lungo la strada: non riuscendo a capire quale fosse il percorso coretto per giungere alla successiva cittadina prevista. Morale: il nostro andamento è stato zigzagante, la nostra andatura per forza di cosa blanda, con soste per raccapezzarci, per chiedere, per tornare indietro. Insomma, una vera e propria pena. L’inizio è stato ottimo, con la disneyana e improbabile mole del castello di Neuschwanstein a fare da sfondo alle nostre prime foto; e lì si è consumato l’incontro con i primi veneziani del viaggio, una giovane famiglia di Campo Santa Margherita in gita lungo la Romantische Strasse. Un in bocca al lupo e la promessa di seguire il nostro viaggio via internet. E noi via internet li salutiamo adesso.
Per arrivare al famigerato castello, solo 5 chilometri, ci perdiamo ma poi ci inoltriamo in una bellissima campagna bavarese con dolci colline e una serie di suggestivi laghetti alla base di una catena montuosa che separa per l’appunto la Germania dall’Austria. E’ affascinante il procedere, osservare il lavoro dei campi, molti contadini sono alle prese con la segagione dell’erba, profumi di buono ci inebriano. Siamo nella patria delle fragole, anzi dei fragoloni e spesso lungo le strade incontriamo dei banchetti rossi, fatti a forma di fragolone, che vendono i piccoli frutti. Oggi, come si diceva, è giornata difficile e con il pulmino perdiamo spesso contatto ed ogni volta che ci diamo appuntamento ci troviamo su strade diverse: se dobbiamo essere tutti sulla provinciale 16, ci rendiamo conto di trovarci in effetti sulla 17, quando invece pensiamo di essere sulla statale 2 ci ritroviamo sulla 16… e questo per colpa delle continue deviazioni su ciclabile che facciamo. Non ci facciamo demoralizzare e decidiamo di saltare la sosta pastasciutta per mangiare un po’ di frutta, per l’appunto anche i fragoloni assieme a pesche e le immancabili banane, il frutto tipico del ciclista (e guai a chi pensa male) e per recuperare il tempo perduto. Ma altre deviazioni ci aspettano all’altezza di Landsberg, bella cittadina medievale sulla Via Claudia. A proposito di vie e di strade, oltre alla via Claudia Augusta, di cui troviamo spesso segnalazioni, oggi è il turno della Romantische Strasse, il suggestivo itinerario che si snoda dalle montagne dell'Algovia (sud) alle colline della Franconia (nord), da Fussen a Wurzburg, delineato nel 1950 con l'intento di unire le diverse realtà paesaggistiche, rinsaldando le radici degli abitanti di queste zone e facendo riscoprire la bellezza della loro storia dopo il tracollo morale prodotto dalla seconda guerra mondiale. È diventato un vero e proprio business che vede scaricare migliaia di turisti in torpedone lungo le strade della Baviera e tra i più assatanati consumatori di questo turismo alla mordi e fuggi non potevano non esserci i giapponesi. Spesso notiamo infatti indicazioni turistiche in ideogrammi, come pure i menù! Pazzesco.
La nostra meta, Augsburg, sembra continuare ad allontanarsi e disperiamo ormai di vederla quando finalmente, alle ore 17, ci riempiamo gli occhi con la Maximilian Strasse, la strada che ospita il municipio. Ma gli stessi occhi dobbiamo anche tenerli inchiodati al terreno perché un orribile pavé mette a rischio continuamente il nostro equilibrio. Aggiungendoci un pizzico di difficoltà nello schivare le moltissime rotaie del tram ed ecco servito il menù più indigesto per l’escursionista su due ruote. Ma non è certo questo il motivo che ci spinge a oltrepassare Augusta e proseguire: infatti se tanto ci dà tanto anche domani avremo il nostro bel da fare per arrivare a Norimberga ma lì, dopo i previsti 140 chilometri, abbiamo degli appuntamenti improrogabili con la stampa locale e con i rappresentanti del Comune alle ore 16. Non possiamo mancare e fare brutta figura, quindi decidiamo di portarci avanti.
E la nostra scelta è felice perché uscire da Augusta non è stato per niente facile anche se abbiamo trovato due belle cicliste locali che molto gentilmente ci hanno dato le indicazioni corrette e inviato sulla buona strada, anche se i nostri maligni pensieri ci portavano su tutt’altra, soprattutto nei confronti della bionda Wanda.
Ed è così che la tappa più breve si trasforma, con un colpo di bacchetta magica e con migliaia di giri di pedivella, in quella più lunga. Siamo qui che ci godiamo la birra fresca in un paesino abbastanza anonimo lungo il Lech, che tra pochi chilometri si getterà sul Danubio.
Il morale è comunque alto, specialmente dopo il boccale, nessun problema anche se la gambe e le braccia risentono dell’esposizione continua ai raggi del sole, risolto anche il problema alle scarpe di Franco: tra togliere la suoletta e amputare l’alluce abbiamo scelto la soluzione più semplice. Anche se avremmo avuto con noi l’infermiere Piero.
Il punto tecnico
Strade ottime dal punto di vista del fondo, ma di difficile interpretazione per la direzione: ci perdiamo spesso. Seconda foratura di Alberto e prima di Piero.
Fussen – Langweid am Lech km 165, media kmh 22,8 totale complessivo km 646
TAPPA 05 Mercoledì 20 giugno 2007 Langweid am Lech-Norimberga km 160 Media kmh 24,6
Verso Norimberga
Dopo una notte in un alberghetto spartano, con una anziana padrona che metteva in conto tutto, dal pane all’acqua all’uso del garage per la bicicletta, la partenza avviene alle 7.30 per essere puntuali all’appuntamento di Norimberga, in piazza del municipio alle 16.00. Data l’esperienza della tappa tedesca precedente e le enormi difficoltà di orientamento tra ciclabili, statali, autostrade e superstrade, decidiamo di prenderci per tempo. I veneziani non vogliono fare brutta figura! Partiamo e… siamo subito fermi: la strada per Norimberga è interdetta alle bici e pare non ce ne siano altre. Porca miseria, qualche difficoltà, Alberto prova a chiedere col suo stentato tedesco a destra e a manca e alla fine ci indirizzano sulla pista ciclabile lungo il fiume Lech. Alle 8 del mattino ci troviamo quindi a pedalare in mezzo al bosco, nell’umido vaporoso della strada sterrata a fianco del fiume, tra i sassi e qualche traccia d’erba. In pochi minuti la nostra tappa di avvicinamento a Norimberga si trasforma in una cronometro d’altri tempi, ognuno resta distante una cinquantina di metri dal proprio compagno, per lasciarlo libero di scegliere la traiettoria migliore tra una buca e un sasso e per evitare, in caso di caduta, di franargli addosso. Ciclismo epico, anche se qualcuno tra noi (un nome tra tutti, Piero) non particolarmente abituato ai percorsi di cross-country con bici da corsa è molto preoccupato per le possibili conseguenze (forature, guasti meccanici, cadute). Invece, carpe diem, affrontiamo questa novità con il gusto dell’imprevisto quotidiano, dell’adattabilità necessaria in questo tipo di spedizioni. E il fiume ci ripaga del tutto con scorci indimenticabili, le acque calme e scure ci accompagnano silenziose mentre il gruppo passa in muta ma composta pedalata. Sì, questa mattina viviamo la dimensione del silenzio, sia per la concentrazione necessaria ad evitare imprevisti sullo sterrato, sia per il bisogno evidente di estraniarsi dalla dimensione del gruppo e passare a quella dell’individuo, che poi è il vero protagonista di questo tipo di viaggi.
Si punta decisi verso Donauworth, cittadina importante per la sua strategica posizione sul Danubio e comincia da qui, finalmente su strada asfaltata, una cavalcata piacevole e veloce, ad una media costante di 35/38 chilometri all’ora anche per recuperare il tempo perduto. Passiamo quindi per Ellingen, capitale dell’Ordine Teutonico con un imponente castello del XIII secolo (ma rifatto nel XVIII) che era la residenza del Gran Maestro dell’Ordine, poi avviene l’imprevista (ma fortemente temuta dati i precedenti) allungatola. Dalla strada statale 2 una deviazione riporta per la splendida campagna bavarese, ricca, ubertosa, ma estremamente dispersiva. Infatti questo scherzo ci costa 18 chilometri in più e così facendo passiamo per le notevoli cittadine di Hilpostein e di Roth, con tipiche le case a graticcio. C’è grande fermento perché tra tre giorni c’è l’evento sportivo più atteso di Roth, un triathlon lungo (tipo Iron man, per capirci) internazionale che attira atleti da tutta Europa. E il nostro pensiero non può non andare al nostro socio di ferro, il muranese Daniele Bullo, che ci segue con costanza via internet, che parteciperà anche lui a questa difficilissima competizione. In bocca al lupo a lui e un caro saluto ai suoi due fidi “gregari” Stefano e Michele. Tutto questo ce lo spiega un’altra nostra guida di oggi, il ciclista Jurgen, ovviamente anche lui triatleta, che ci toglie dagli impicci accompagnandoci nella giungla di ciclabili e di percorsi alternativi.
Alle 13.45, dopo aver percorso 125 chilometri, effettuiamo una breve sosta ma non abbiamo il tempo per la pastasciutta: un po’ di soppressa, qualche frutto, una fetta di dolce e poi via, che non dobbiamo arrivare in ritardo all’appuntamento.
A Schwabach facciamo in tempo ad ammirare il monumento al battiloro e il nostro pensiero va subito, con orgoglio, ad un altro nostro socio speciale, Marino, cognato di Franco e nostro sponsor, che mantiene viva a Venezia la gloriosa professione dei battiloro, unico in tutta Italia a lavorare a mano l’oro fino a ridurlo a fogli e a libretti per gli artigiani (indoratori, vetrai etc…).
Siamo abbastanza sfiniti, procediamo in formazione per giungere velocemente a destinazione e Norimberga è raggiunta definitivamente alle 15.59, quando ci presentiamo con puntualità svizzera in piazza del Mercato, il luogo dell’appuntamento. Lì ci aspetta un fotografo, dei giornalisti, l’amica Karin del Comune di Norimberga, la responsabile della Società Dante Alighieri, altre persone e amici ciclisti della società Pedale Franconia. Foto di rito nella piazza, un sincero scambio di auguri e poi via, in albergo ospiti dall’amico Werner. Sono anni ormai che ci conosciamo, che le nostre due società sono gemellate e che si rinnovano questi gesti di cortesia, sia quando qualcuno di loro viene a Venezia che quando qualcuno di noi va a Norimberga.
Nel segno dell’amicizia rinnovata si conclude la giornata. Domani, giorno di riposo con incontri ufficiali con il console italiano e col rappresentante del sindaco.
Il punto tecnico
Continuano le difficoltà di comprensione. La primissima parte del percorso è su sterrata, l’unica strada che abbiamo individuato che porti a Donauworth accessibile alle biciclette. Non difficile ma sempre un po’ rischiosa per delle biciclette da corsa. Quindi il percorso è leggermente vallonato, su e giù per le colline ma l’abbiamo affondato di buon passo.
Langweid am Lech - Norimberga km 160, Media kmh 24,6, totale complessivo km 806
Giovedì 21 giugno
Sosta a Norimberga
E chi si dimenticherà mai l’ospitalità sincera e calorosa di Werner e della sua famiglia? E non tanto per le stanze ampie, spaziose, lussuose che facevano a pugni con quelle del precedente alloggio a Langweid am Lech, in questo lussuoso hotel Ramada, e neppure per la cena raffinata nel bel ristorante dell’albergo. Sicuramente per la fraterna e disinteressata amicizia che ci ha dispensato: lui, con la sua discreta presenza e le parole sempre ben soppesate, ci ha fatto sentire a casa nostra nella sua città. Ed è stato un prezioso regalo, un’attenzione di cui tutti i viaggiatori avrebbero bisogno e che apprezzano moltissimo nei casi in cui si concretizza. E l’aiuto, nel caso del viaggiatore ciclista, è molto più frequente e spesso determinante. Come in questo caso. D’altronde l’amicizia che lega il Pedale Veneziano con il Pedale Franconia e con la città di Norimberga è ormai consolidata ed oggi se ne sono viste le conseguenze: giornata di incontri ufficiali, scambi di doni, pranzi, cene, all’insegna però della spontaneità e della freschezza.
Gli appuntamenti sono cominciati alle 12.00 in piazza del Mercato, sotto la suggestiva fontana che ormai funge da nostro faro in questi due giorni: è un tripudio di personaggi, di elettori, eroi pagani, Mosè, i profeti, i padri della Chiesa e gli Evangelisti. Sarà forse per la presenza del nostro Marco veneziano ma qui ci sentiamo proprio a nostro agio.
Con la nostra Karin ci rechiamo a pranzo in un ristorante con il Console d’Italia dr. Massimo Darchini, il Capo dell’Ufficio delle Relazioni Internazionali del Comune dr. Schurgers e un dirigente dell’Ufficio dello sport. Il menù è un bel piatto di wurstel di Norimberga, che qui deve essere una pietanza protetta, allo stile dello Slow food. Scambiamo le impressioni con i nostri ospiti in un bel giardino e completiamo il nostro pranzo giusto in tempo: si abbatte sulla città un violento acquazzone estivo che ci fa tirare un sospiro di sollievo di non essere lungo la strada.
Dopo il pranzo si torna in albergo ma alle 18.00 eccoci di nuovo davanti alla nostra bella fontana e poi ci rechiamo dal rappresentante del sindaco, dr. Frommer, che ci ospita nel suo ufficio e ci ringrazia per il nostro passaggio e per il fatto di essere latori della bella lettera del nostro Sindaco che ci indica come ambasciatori di Venezia.
Alla sera bella cena con tutti gli amici ciclisti in un ristorante sulle mura della città: siamo una trentina di persone e in un clima cordiale si parla di viaggi in essere, di viaggi futuri e del prossimo incontro che, stabiliamo proprio oggi, sarà nel 2009 e costituirà un triangolo con Nizza Venezia e Norimberga, per l’appunto città amiche e gemellate: ci incontreremo alla Madonna del Giallo, il tempio del ciclismo europeo, e sul Lago di Como. Andata. Il patto è siglato davanti a grossi boccali di birra e davanti a tante facce amiche: Max e Anna, Pia, Giorgio, Werner.
Grazie cari amici, per la vostra ospitalità, ma noi, ora, dopo gli ozi di Capua, dobbiamo riprendere la nostra pedalata.
TAPPA 06 Venerdì 22 giugno 2007 Norimberga - Neusiss km 197 Media kmh 26,3
Sulle strade dell’Est
Anche quest’oggi le nostre amiche statue della fontana ci hanno visto di mattina sfilare sotto di loro all’ennesimo appuntamento, questa volta per la partenza. Lasciamo definitivamente Norimberga alle 8.30 ancora circondati da persone e da affetto: c’è ancora l’immancabile Karin che ci accompagna in bici per i primi 10 chilometri, poi il responsabile dello Sport del Comune di Norimberga, il caro George, quindi il giovane Jurgen, cui è stato affidato il compito dal Pedale Francone di accompagnarci fino a Bamberga. E così farà, sempre davanti con le sue due gambe che sembrano due potenti bielle e ci fanno ricordare il modellino della prima locomotiva, Adler, costruita in Germania proprio qui a Norimberga che ci è stata donata ieri dal rappresentante del sindaco. Jurgen, silenzioso e generoso, ci guida sulle stradine della campagna francona, che noi non avremmo mai trovato da soli, e ci fa procedere su dolci colline, su e giù, a ottima andatura verso Erlangen, cittadina nei pressi della quale troveremo due altre cicliste, la bella Karin e una sua amica, che verranno pure loro verso Bamberga.
È quasi commovente questo circolo virtuoso che si è creato, questa staffetta tra amici che ci vogliono scortare, nel miglior dei modi verso nord. Notiamo infatti che quando riveliamo la meta del nostro viaggio, Capo Nord, appare sul volto di tutti un misto di stupore e di invidia, il desiderio di essere con noi. Strano destino quello di questo luogo, dal nome e dall’aura magici, Capo Nord, dall’effetto magnetico: è un vero e proprio luogo dello spirito, incarna uno di quelle località mitiche come Samarcanda, Capo Horn, Timbuctù, che tutti hanno letto da bambini o di cui hanno sentito parlare ma restano quasi inafferrabili. Crea comunque attorno a noi un’atmosfera di eroismo, quasi fossimo degli esploratori che si affidano ad un mezzo tanto fragile come la bici. E comunque noi si prosegue verso l’Alta Franconia, uno dei sette distretti governativi in cui è diviso lo Stato libero di Baviera e la bella Bamberg.
Subito dopo Bamberg anche Gunther ci saluta (qualche chilometro prima ci avevano già lasciato le due cicliste) e ci affida alle sapienti mani di Horst, massiccio ciclista di una certa età, cioè ahimè la nostra. E Horst ci conduce verso Coburg, altra cittadina importante dell’Alta Franconia, lungo un bel percorso ciclabile, che senza di lui non avremmo ancora una volta mai trovato. Stiamo puntando sempre verso Nord ma questa volta decisamente stiamo anche per entrare in una dimensione diversa: le terre della ex DDR, la Germania dell’Est. Ed eccoci qui, in questa vera terra incognita per noi: la Germania che noi conosciamo, con le sue città, con i suoi distretti, le sue località assai conosciute, fa ora spazio a nomi di città e paesi anche importanti ma con cui non abbiamo alcuna familiarità, del tipo Shul, Eisfeld, Ilmenau.
Si può in qualche modo dire che è come se il nostro viaggio cominciasse ora, verso luoghi sconosciuti e tutti da scoprire. E le terre dell’ex Germania dell’Est ci accolgono sotto la pioggia battente, che ci accompagna negli ultimi 70 chilometri, una pioggia non sempre battente ma fastidiosa, che ci costringe ad indossare la mantellina e a infangarci tutti.
Dopo Schleusingen penetriamo in una fitta foresta ed affrontiamo in dolce salita, per niente impegnativa, l’asperità massima della giornata, che ci godiamo nonostante il tempo non sia certo dei più propizi. E ancor di più ci gustiamo l’ampia discesa verso Ilmenau, nostra sede di tappa. Siamo bagnati ma abbastanza felici, abbiamo percorso ben 185 chilometri nella nostra tappa di avvicinamento verso Kiel: a Norimberga infatti eravamo un po’ preoccupati per la distanza che ci separava dal luogo di imbarco per il traghetto di Goteborg. Infatti abbiamo dovuto, in sede di organizzazione, ridurre le tappe da 5 a 4 perché nel giorno d’arrivo a Kiel da noi prestabilito il traghetto era già tutto prenotato, ma 4 tappe per 700 chilometri non sono uno scherzo e questo crea un po’ di apprensione nel gruppo. Quindi, nonostante la pioggia, quando il nostro Franco Gusso dall’alto del pulmino ci avvisa che a Ilmenau non ha trovato da dormire, tutti noi in fondo siamo felici e decidiamo di andare avanti un altro po’. E così ci inoltriamo lungo stradine secondarie nella campagna decisamente meno opulenta di quella vista nei giorni precedenti. C’è qualcosa nell’aria che ci fa comprendere di essere in una zona del paese un po’ meno sviluppata, come se pedalando fossimo andati a ritroso nel tempo di un paio di decenni. Accanto a casette decorose si notano strutture più massicce e soprattutto nel passaggio a Ilmenau un quartiere popolare stile paesi dell’est si staglia inquietante sulla campagna.
Gli ultimi chilometri sono veramente piacevoli, su stradine belle e poco trafficate, il morale è altissimo: evidentemente la giornata di riposo ha fatto bene a tutti e ora, dopo il rodaggio delle prime cinque giornate, siamo evidentemente tutti in palla.
La notizia di avere raggiunto quota mille è stata accolta con un grande applauso. Ne dovranno seguire altri tre, anche se qualcuno teme che, continuando con deviazioni e allungatoie, si possa addirittura farne altri quattro. Cercheremo di smentirlo.
Il punto tecnico
Grazie agli amici franconi percorriamo strade secondarie, un ampio tratto di ciclabile, su asfalto ottimo. Qualche ondulazione; l’amico Horst che ci accompagna oltre Coburg è vittima di una foratura.
Norimberga - Neusiss km 197, Media kmh 26,3 totale complessivo km 1003
TAPPA 07 Sabato 23 giugno 2007 Neusiss – Halbertstadt km 182 Media kmh 25,1
Tutto quanto fa spettacolo: la nostra truppa, ovunque vada non passa di certo inosservata. Sicuramente per l’imbarazzante ostinazione di parlare con chiunque in italiano – se non in veneziano – escluso Alberto che cerca di tradurre sia in tedesco che in inglese. Certamente quando Dino, nelle zimmer o nelle pensioni dove dormiamo, chiede di poter lavare il pentolone che utilizziamo a pranzo per la pastasciutta: nella cucina tutti si affacciano per vedere l’operazione, spesso condita dai frizzi e lazzi del nostro cuoco, autista e direttore tecnico Franco Gusso. Poi quando Mario dirige le operazioni di costruzione, al lato della strada, di un riparo di fortuna ottimo per poter cucinare il pranzo anche sotto la pioggia: alla faccia dei boy-scout. Lo spettacolo continua anche quando il nostro direttore tecnico ci riprende attentamente con ardite inquadrature da regista affermato (qualcuno ha fatto il nome di Tinto Brass…) ma con il tappo sull’obiettivo. Quando cantiamo a squarciagola “Pope oe” lungo le salite e in mezzo alle foreste del Magdeburgo.
Questo è il nostro gruppo e l’allegria sta prendendo piede, di pari passo alla condizione atletica: quando la gamba gira si fa minor fatica e di conseguenza il morale è alto. Lo sapevamo già fin dall’inizio: i primi giorni sarebbero stati duri ma poi, col dovuto allenamento, ritmi come i nostri sono assolutamente sostenibili da chiunque, anche se la media delle prime tappe è di rilievo, attorno ai 168 chilometri.
Comunque, passando alla tappa odierna, oggi vagabondiamo per una Germania che non ci aspettavamo di certo, una carta geografica a noi sconosciuta e tutta da scoprire, con nomi mai giunti alle nostre orecchie. La mattina ad esempio, appena partiti, alle 7.45, affrontiamo una zona dai nomi affascinanti ed evocativi come Martinroda e Grafenroda, col suffisso che ha subito attirato la simpatia di noi ciclisti ma che sta a significare non tanto la ruota ma il lavoro dei boscaioli. E in effetti i primi 30 chilometri fino Ohrdruf sono una affascinante pedalata in foreste verdissime, con traffico quasi inesistente. Unico inconveniente: la pioggia che ci perseguita fin dal primo metro, una pioggia fresca, quasi fredda, che però non è molto fastidiosa, soprattutto se pensiamo ai nostri cari che se stanno sotto la canicola veneziana. Con la mantellina addosso e sotto gli ampi spruzzi delle ruote dei compagni che ci precedono riusciamo comunque a gustarci il tragitto in questa zona montuosa, anche se non troppo impegnativa dal punto di vista altimetrico. Si vedono moltissimi cavalli, qualche mucca, delle capre, addirittura abbiamo la fortuna di incrociare un capriolo.
Giungiamo quindi a Gotha e procediamo sempre verso nord, in questo primo sabato d’estate che tanto estivo non pare. La campagna è lavorata a grano, abbiamo l’impressione di essere proprio nel granaio della Germania con queste distese infinite e morbide di messi, ma molto meno morbide, seppure sembrano altrettanto infinite, sono le salite e gli strappi che costellano il nostro viatico. Comincia la nostra personale via crucis per le strade della Germania: “Nein” aveva affermato ieri l’amico ciclista Horst quando gli avevamo sottoposto l’itinerario della tappa successiva ma la sua proposta alternativa era troppo lunga. E lì era scattato l’orgoglio del ciclista: “Non ci faremo mica impressionare da due salitine, vero!?” ripensando a tutti i passi messi in carniere da ognuno di noi, Mortirolo, Stelvio Gavia, tutte le Dolomiti, i passi mitici delle Alpi Francesi. Al grido di “Pope oe” avevamo preso la decisione di attraversare quella macchia di verde intenso della carta geografica.
E ora ci siamo proprio in mezzo, su e giù, in compagnia di decine e decine di pale eoliche che sfruttano la caratteristica di questa regione, il molto vento. Sembrano tanti musi di aereo pronti al decollo e passarci sotto è abbastanza impressionante per il rumore continuo e sordo che producono. Arrivato in cima di uno strappo particolarmente duro provo la netta sensazione che quello sia il suono prodotto dalla ghigliottina. Del resto la bici provoca strani effetti chimici, la fatica deforma le immagini e i pensieri, è come una droga e anche il nostro corpo si sta assuefacendo, come quando la sera a letto proviamo la gradevole sensazione di abbandonare le gambe distese sotto la morbida trapunta (tiè, alla faccia di voi che state soffrendo il caldo) e si ha le impressione che vivano di vita loro questi due arti tanto sottoposti a stress, quasi che si stiano staccando dal corpo. Sensazione comunque per niente sgradevole.
E le modifiche avvengono anche nei ritmi e nelle abitudini: Dino ad esempio, che dorme sempre con Alberto (che ovviamente sarei io) è costretto a dormire con i tappi perché il suo compagno di stanza russa e parla di notte, caratteristica del tutto nuova e sconosciuta precedentemente. Anche i nostri volti stanno lentamente assumendo dei cambiamenti: abbronzati con colore tendente al cuoio, cominciano ad affilarsi e a presentare dei segni, tipo rughe, un po’ più marcati. Ma non preoccupatevi, siamo più belli…
Il toboga tedesco sembra non finire più, il cielo ci offre squarci di un azzurro ceruleo che fanno capolino tra cirri pannosi e bianchi, ma stiamo appropinquandoci alla sosta pranzo, al km 120, quando si scatena un altro scroscio, giusto in tempo per bagnarci prima della pasta. Ma i nostri intrepidi eroi non si arrendono e grazie alla direzione di Mario in quattro e quattr’otto costruiscono attorno al pulmino, con l’aiuto degli alberi vicini, un riparo stupendo, una capanna dello zio Tom, da far invidia alle giovani marmotte. Chef Gusso ci scodella una eccezionale pasta alla matriciana con un guanciale di maiale che aveva acquistato all’uopo in un negozietto lungo la strada: chi meglio di noi? Sotto l’ennesimo acquazzone ci rimettiamo in cammino: mancano soli sessanta chilometri alla meta ma Horst ci aveva parlato di un fantomatico passo sui 1000 metri e partiamo con la giusta reverenza nei confronti della salita che ci aspetta. Ma quanta soddisfazione nello scoprire che si era sbagliato e che la salita c’è ma è veramente pedalabile, in mezzo al verde. E se piove… chi se ne frega. Discesa su asfalto bagnato ma sempre piacevole e quindi in poco tempo arriviamo a Blankenburg e quindi alla nostra meta, Halberstadt, città dalle molte chiese con caratteristico doppio campanile, un duomo imponente e un aspetto di città rispettabile ed antica. Però, non c’è nessuno nelle strade e la periferia è popolata da casermoni spettrali. L’impressione che stiamo vivendo in questi ultimi due giorni è nettamente quella di trovarsi in un paese dell’est, tipo Polonia per capirci, la Germania che conosciamo non la rivediamo oggi riflessa nei nostri occhi.
Ma questa città in compenso è assai gradevole, soprattutto nella sua parte antica, con case dagli enormi travi in legno; abbiamo qualche difficoltà nel trovare l’alloggio ma l’albergo in cui ci ritroviamo ha una sua notevole dignità e un aura antica e rispettabile.
Con la tappa di oggi, altri 185 chilometri, abbiamo messo altro importante fieno in cascina per l’avvicinamento a Kiel, il nostro vero unico problema nel senso che avendo il biglietto prenotato non possiamo mancare all’appuntamento. Oggi abbiamo la certezza che saremo puntuali: tra ieri e oggi abbiamo fatto 380 km, nei prossimi due giorni ne mancano 280. Come formichine stiamo risparmiando e portandoci avanti.
Il punto tecnico
All’inizio la stradina è magnifica in mezzo a rigogliose foreste, poi il percorso si fa vallonato, ma il traffico è sempre più che sopportabile. Pioggia frequente, per più di100 chilometri corriamo con mantelline e bracciali.
Neusiss – Halbertstadt km 182, Media kmh 25,1 totale complessivo km 1185
TAPPA 08 Domenica 24 giugno 2007 Halbertstadt-Bienenbuttel km 182 Media kmh 28,1
Tra i mulini a vento
Alle 8.15 usciamo da Halbertstadt: se ieri pomeriggio ci era apparsa deserta, se ieri sera nella passeggiata post-prandiale era svuotata e solo con qualche punk che passeggiava per le vie lastricate della zona vecchia, questa domenica mattina è assolutamente e drammaticamente una città fantasma, imbalsamata.
La stradina in compenso è assai bella e piacevole: d’altronde c’è da dire che in questi ultimi giorni la situazione stradale è assai migliorata, non abbiamo più patito le deviazioni improvvise, le temibili allungatoie che ci facevano andare in tensione e in agitazione. Adesso va tutto bene, si può pedalare con tranquillità su ogni tipo di strada. E quella di adesso si insinua nella campagna tedesca e ci fa passare per tranquilli paesini in cui l’attività principale è certamente l’agricoltura. Questi ultimi due giorni stiamo vivendo la dimensione agricola della parte orientale della Germania, con nuclei e piccoli centri abitati che hanno un tocco di retrò. Sembra non esserci qui la frenesia della vita moderna che abbiamo notato in città come Norimberga, il tenore è certamente diverso ma a parte un paio di vecchie Trabant, non ci sono particolari segni del passato regime e della situazione economica da esso derivante.
La stradina di oggi si inoltra per campi e campi, siamo per molti chilometri da soli, contiamo, ahinoi, solo molti animali morti al suolo schiacciati dai pochi automezzi: moltissimi ricci, addirittura un notevole esemplare di barbagianni. Poi, vicino alla cittadina di Helmstedt, passiamo attraverso una foresta di pale eoliche, una quantità quasi imbarazzante che ci fa pensare che certamente è utile e giusto sfruttare l’energia alternativa offerta dalla natura, ma anche che il panorama è un bene da difendere con altrettanta forza e sfido chiunque a dimostrare che il paesaggio non venga deturpato da questi giganteschi pali, circa una quarantina di metri, e da questi bracci meccanici altrettanto invasivi.
Oggi non abbiamo problemi col tempo, è mosso ma non promette pioggia, la temperatura è attorno ai 20 gradi e quindi è l’ideale per macinare chilometri. Il terreno non è impegnativo, qualche leggero falsopiano in salita cui però corrisponde anche la discesa: in poche parole facciamo strada e ancor più velocemente saremmo arrivati alla sosta pranzo se l’autista Franco non ci avesse convinto di seguire l’ennesima deviazione per lavori stradali. Noi di solito non ci facciamo intimidire dai cartelli e continuiamo, tanto magari a piedi ma superiamo sempre l’ostacolo. Questa volta ci lasciamo convincere di seguire il pulmino e… mal ce ne incoglie: 10 chilometri in più che rinfacceremo nei prossimi giorni, di continuo, al povero Franco Gusso. Ma si sa, se non ci divertissimo così rischieremmo davvero di arrabbiarci. Invece tra noi gli scherzi e le battute fioccano di continuo: il fatto che nessuno se la prenda è segno non solo dell’amicizia e della consuetudine tra di noi, ma anche del fatto che non siamo per niente stanchi. Almeno fino ad adesso.
La sosta pranzo di questa domenica mattina si consuma in un paesino agricolo, seduti su una ospitale panchina. “Pasta al tonno” ha annunciato con importanza il nostro chef ed è stata un’ottima scelta. Siamo tutti grati al nostro Franco che ci segue con cura e attenzione (a parte i 9 chilometri di stamattina che saranno sicuramente il prossimo tormentone) che sdrammatizza tutto e che soprattutto ci serve degli ottimi pasti senza i quali non potremmo concludere la tappa (normalmente ci lasciamo una sessantina di chilometri per il pomeriggio) con la stessa tenuta e freschezza. Quello della sosta pranzo è in effetti uno dei momenti topici della giornata, dove ci si rilassa, si sciolgono i muscoli un po’ imbastiti dal primo centinaio di chilometri, ci si stende un attimo e si fa il pieno di benzina, cioè di carboidrati.
Il pomeriggio si annuncia un po’ noioso con lunghissimi rettilinei, spesso controvento e in leggera salita che non ci fanno gustare le pur belle foreste che attraversiamo. I piccoli paesi che osserviamo sono molto simili tra di loro, con chiese e campanili in mattoni rossi e punta aguzza in rame che fa ricordare a qualcuno di noi il Molino Stucky: potenza della nostalgia che deforma le immagini viste e le fanno diventare simili a oggetti o volti a noi familiari.
La campagna continua a imperversare, osserviamo moltissimi cavalli che pascolano e poche mucche, se si escludono quelle due portate a spasso sulla strada con un trattore e un’ampia gabbia che le costringeva a correre, seppure modestamente, dietro la macchina. Mai visto prima. I lunghi e abbastanza monotoni rettilinei continuano ad imperversare e ci portano in direzione di Lunenburg, ma noi ci fermiamo prima, per la prima volta ad un ora decente, alle 17.00 a Bienenbuttel, dove troviamo alloggio in una accogliente pensione; il figlio dei gestori ci mette a disposizione il suo computer per effettuare l’aggiornamento in rete e spedire foto e diari a Marco Angiolin, vero e proprio nono uomo della squadra, che ci aiuta da casa a risolvere i piccoli problemi, sia dal punto di vista tecnico informatico che dal punto di vista logistico-bancario. Un grazie di cuore anche a lui: non ce l’avremmo di certo fatta da soli, anche perché abbiamo trovato una realtà leggermente diversa da quella che ci aspettavamo, con difficoltà di trovare facilmente luoghi dove collegarsi via internet.
Poi c’è da trovare anche il tempo per scrivere queste poche righe, lavarsi i vestiti, farsi una corroborante doccia, ogni tanto pulire le biciclette sporcate dalla pioggia… Come si può capire da fare ce n’è e oggi questa sosta è stata eccellente sotto questo punto di vista: alle 18 il bel prato all’inglese si è popolato di sette persone a petto nudo che pulivano catene incrostate di fango, che strizzavano magliette, che mettevano a posto il furgone, che pulivano il pentolone.
L’estensore di queste note, invece, ha trovato il proprio ritmo, costretto dagli eventi e dagli impegni: alla mattina, alle 5 e mezza o alle 6, quando l’intensa luce estiva penetra nelle stanze prive di oscuri, fino all’ora di colazione (7 o 7 e mezza) si mette al computer e cerca di scrivere. Anche questa è una nuova esperienza.
La serata si conclude con una scenetta alla Raffaella Carrà, tipo Carramba che sorpresa: infatti ci rechiamo dopo cena in questo paesino deserto presso la gelateria di Fabrizio e lì familiarizziamo subito con i proprietari, Fabrizio e Laura, con il figlio Gianni, tutti non a caso di Longarone. Quando apprendono della nostra ambiziosa meta non solo vogliono che siamo loro ospiti ma ci dicono che se lo sapevano prima ci invitavano a casa loro e ci preparavano pasta e polenta!
Molti abbracci, qualche foto e qualche lacrima di commozione quando intoniamo a squarciagola, davanti alla vetrina della gelateria, l’Inno di San Marco. È incredibile ma nessuno si è affacciato in questa cittadina letargica. Fabrizio ci parla della sua scelta, 27 anni fa, di vivere 8 mesi all’anno in Germania (siamo da poco rientarti in quella che era la Repubblica federale). Si trova bene ma torna sempre volentieri i 4 mesi invernali nel suo Veneto, nel nostro Veneto. Questa sera con noi ne ha ritrovato un pezzetto ed è stato, siamo stati, tutti contenti. Un salutone anche alla piccola Elena, la loro secondogenita.
Il punto tecnico
Stradine poco frequentate, piacevoli da correrci, leggermente ondulate, asfalto buono. Tempo anche, pedaliamo senza giacca a vento.
Halbertstadt-Bienenbuttel km 182, Media kmh 28,1, totale complessivo 1367
TAPPA 09 Lunedì 25 giugno 2007 Bienenbuttel-Kiel km 175 Media kmh 26,0
Addio europa continentale
“Macchinista macchinista del vapore, daghe ogio agli stantuffi, de Germania semo stufi e in Svezia volemo andar”: oggi l’eccitazione è tangibile, pedalando intoniamo a squarciagola questa canzone, stiamo percependo l’importanza del momento. Il viaggio sta entrando in un momento centrale dato che questa mattina ci sveglieremo in Scandinavia, per l’esattezza a Goteborg, Svezia. E ora siamo distesi nelle cuccette del traghetto Stena Germanica, dopo una corroborante doccia, due cuccette per gli otto veneziani. Anche oggi la tappa è stata più lunga del previsto, 175 chilometri e inizialmente pensavamo dovessero essere 140 al massimo. Stanno venendo fuori delle medie giornaliere veramente importanti e impreviste, sull’ordine dei 170,5 km.
Anche la mattinata di oggi comincia sotto auspici non proprio ottimali dal punto di vista atmosferico: dopo una luculliana colazione ci infiliamo la mantellina e corriamo sotto nuvoloni carichi di pioggia che non si decide ancora a venir giù. Scegliamo strade secondarie, potendolo fare, e queste ci regalano paesaggi d’altri tempi, ancora boschi immensi, seppur quasi a livello del mare. Si susseguono case di legno e alcune con tetto di paglia, allevamenti di suini dall’inconfondibile afrore, giardini ben tenuti: il ricordo che manterremo vivo di questi giorni in giro per le strade della Germania minore è quello di un posto che sembra a misura d’uomo, privo di stress e degli eccessi dell’occidente troppo industrializzato.
Ancora pale eoliche irrompono in scena e si continua verso Kiel finché la statale 404 non diventa, ahimè, una superstrada e siamo costretti ad inventarci dei percorsi alternativi, non evidenziati da segnaletica, che colleghino le varie città.
Ritorniamo un po’ ai primi giorni di Germania, con continui andamenti non lineari, che producevano e producono tutt’oggi dei notevoli allungamenti. Almeno le strade però ci conducono ancora nella campagna e nel silenzio del nostro procedere si sento solo uno strano scricchiolio provenire dalla bicicletta di Paolo.
In bici è effettivamente fastidioso sentire cigolii vari provenire dai movimenti meccanici del mezzo e quello di Paolo è diventato un’ulteriore aggiunta ai numerosi rumori che già da solo lui emette: respiri pesanti, sbuffi vari, rumorose inspirazioni, fragorose soffiate di naso. Insomma, ti accorgi immediatamente se lo hai a ruota, e questo è un bene soprattutto in salita, dato che non ti può sorprendere con un attacco a sorpresa.
Alla sosta pranzo, il menù di oggi offre tagliatelle con pomodorini freschi e basilico, mentre alcuni di noi si affannano attorno al capezzale del malato, la sua Pinarello, per una prima diagnosi: c’è chi parla di movimento centrale, chi di sfere, chi azzarda altre ipotesi. Cambiamo la ruota, togliamo una borraccia, oliamo la catena, stringiamo bene con la chiave i rapporti. Niente, il malato continua a tossire. Alla ripresa, sempre con l’orologio alla mano perché il traghetto parte alle 19.00 e dobbiamo essere almeno un’ora prima per l’imbarco, continuano i rumori, anzi, se possibile si accentuano. Altra sosta, esaminiamo meglio il malato e scopriamo una ferita mortale: la tubazione in alluminio è nettamente incrinata un po’ sopra il movimento centrale. Morale, la bici può collassare e schiantarsi da un momento per l’altro. La situazione è grave e sarebbe quasi drammatica se non ci fosse stata un’organizzazione adeguata: ci siamo portati dietro un “muletto”, la vecchia bici di Piero, per ogni evenienza. Questa è l’occasione. Paolo, leggermente sotto choc, o quantomeno molto dispiaciuto per la repentina dipartita della sua giovane bici (aveva solo 5 anni, anche se gli ha fatto fare almeno 50.000 chilometri) monta sulla vecchia bici di Piero e continua il viaggio verso Nord.
Adesso ci siamo giocati anche questo atout, non possiamo più rompere alcun altro mezzo.
Giungiamo a Kiel, città olimpica della Germania dove si sono disputate le regate di vela delle Olimpiadi, che sono le 17.20, l’imbarco è veloce e siamo già partiti alla volta della Scandinavia. Incredibile quanto sia facile attraversare per lungo tutta l’Europa: in solo 9 giorni di bici puoi essere dall’altra parte del continente. Potenza di questo piccolo e fragile mezzo.
Da oggi andremo alla scoperta del Nord.
Aspettateci, stiamo arrivando.
Il punto tecnico
I primi 60 km sono su strade poco frequentate, divertenti; poi ritorna il problema delle strade inibite alle bici, le statali diventano superstrade e allora cominciano i problemi.
Paolo schianta la propria bicicletta, a dire il vero non è colpa sua, ed è costretto a cambiare il mezzo meccanico. Come se non bastasse, all’arrivo fora. Siamo a quota 4 (2 Alberto, 1 Piero, 1 Paolo).
Bienenbuttel-Kiel km 175, media kmh 26,0, totale complessivo 1542
TAPPA 10 martedì 26 giugno 2007 Kiel-Uddevalla km 115 Media kmh 22,2
Svezia
Cuccette agitate questa notte, il caldo soffocante ha reso difficile il riposo e solo nelle prime ore del mattino i respiri hanno preso una cadenza regolare, almeno fin quando alle 6.15 è suonata una sveglietta inopportuna. La costa svedese ci accoglie con un abbraccio grigio e freddo, ma non (ancora) piovoso. La Scandinavia mostra il suo aspetto più crudo, ma è anche per questo che siamo qui, per immergerci nelle realtà più vere. Alle 9.00, puntuali come gli svizzeri, approdiamo al molo di Goteborg e in quel preciso momento comincia a piovere. Prima qualche schizzo, poi seriamente. Non mollerà più per tutto il giorno, ma noi questo non lo potevamo ancora sapere. Nei magazzini del porto ci fermiamo un quarto d’ora per cambiarci, vestirci da bicicletta, riparare la ruota posteriore di Mario, che evidentemente ieri sera aveva forato. E siamo a quota cinque. In palio, per chi alla fine vincerà la gara dei buchi, c’è il piacere di offrire da bere a tutti. In vantaggio c’è al momento Alberto, ma si fa sempre in tempo ad entrare in gara e a superare tutti. Goteborg ci appare con alcune torri di mattoni ma più che altro osserviamo con attenzione i cartelli perché anche qui è drammatico trovare la strada per Oslo praticabile alle biciclette. Chiediamo informazioni di continuo, ai distributori, lungo la strada, ai conducenti di automobili fermate all’uopo lungo la strada. La gentilezza degli svedesi è squisita, ma non basta per farci trovare il percorso: incocciamo sempre nella 45, interdetta alle bici. E giù maledizioni. E giù acqua.
Gli occhiali si appannano, le punte delle dita delle mani e dei piedi tendono a staccarsi, anche perché la pioggia è sì bagnata ma è anche parecchio fredda, almeno per i nostri standard estivi: stiamo pedalando quando un display mostra crudamente i 13 gradi della temperatura esterna. Cavoli! Corriamo con due mantelline, una sopra l’altra e molti indossano sotto anche il giubbino in wind-stopper e nessuno di loro accusa caldo. Guarda che difficoltà per trovare la strada! Ci mandano a destra, poi un altro ci consiglia di andare a sinistra, ma abbiamo l’impressione che nessuno delle persone cui abbiamo domandato abbia esperienza di lunghi spostamenti da una città all’altra. Passano quasi due ore, siamo fradici, innervositi, letteralmente ghiacciati (i denti battono e le mani tremano senza ritegno) finché una simpatica benzinaia ci consiglia di prendere una stradina e un ponte ciclabile e ci troviamo improvvisamente nella direzione giusta.
Nelle nostre richieste di aiuto fermiamo parecchie persone e ci accorgiamo quindi che gli svedesi non sono tutti biondi e con gli occhi azzurri: certamente non ha queste caratteristiche il curdo che effettua lavori stradali per il comune di Goteborg e neppure il kossovaro a bordo di una potente Volvo che ci incoraggia. E poi diciamo tanto dell’Italia: in effetti la Svezia ha moltissima immigrazione, soprattutto per quanto riguarda i rifugiati politici, ed è di fatto un paese multietnico, a dispetto del nostro immaginario da vichinghi.
Tanto freddo, tanta acqua, il cielo è basso, sembra pesare sulle nostre teste e pare voglia schiacciarci, e quasi quasi ci sta riuscendo. Nel bel paesino di Kungalv, con una dignitosissima fortezza antica, mangiamo al volo dal pulmino alcuni frutti e un po’ di cioccolata, ma anche solo questi 10 minuti ci ghiacciano addosso i vestiti. Riprendere è dura, siamo indecisi sul da farsi.
Maledetta giornata, maledetta bicicletta, maledetta passione per le due ruote, che ci porta ad essere qui sotto la gelida pioggia svedese. Cero che comunque ha un che di magico il fatto di essere qui, giunti con le proprie forze, noi motore di noi stessi, in sole dieci tappe dall’Adriatico al Mar del Nord! Solo 11 giorni fa pedalavamo lungo il Ponte della Libertà, oggi siamo in Svezia. Questi pensieri, tra uno schizzo e un altro, ci fanno rinsavire e nello stesso moltiplicano le nostre forze: ci mettiamo a testa bassa, a 35 all’ora, il metodo migliore per scaldarsi, e ci mettiamo pure a cantare a squarciagola come dei bambini. Benedetta bicicletta che ci regala ancora, a noi uomini fatti e con molti nonni tra noi, la bellezza di portare a spasso il bimbo che c’è in noi.
Noi, nella seconda parte della tappa, ci siamo quasi divertiti a pedalare tra gli spruzzi delle ruote sollevati dal ciclista davanti, con i denti che scricchiolano per la polvere e i sassetti che penetrano nella bocca. Siamo forse matti? Domanda assolutamente lecita e destinata a restare senza risposta.
Nel frattempo abbandoniamo definitivamente la 45 e ci immettiamo, pur sempre sotto gli scrosci, su una strada minore, molto meno trafficata, la 167, molto più divertente, che si inerpica su alcune collinette attraversando delle fradice foreste svedesi. Con gli strappi almeno ci si scalda in salita, ci si raffredda in discesa ma almeno ci si diverte. Questo è il caso del bicchiere mezzo pieno.
Giungiamo a Uddevalla, adagiata in un’ampia insenatura del mare, e cerchiamo, con qualche difficoltà, un campeggio. Trovatolo, occupiamo due bungalows e ci scaldiamo con una doccia calda, che però riescono a fare solo i primi quattro: per i restanti acqua fredda, che non è certo il massimo dopo tanta fatica. Pazienza. La sera Chef Gusso si scatena e ci prepara un’ottima minestra di patate, acquistate in un sacco da quindici chili in Germania. Pure kartoffeln. Ottime, come prima cena svedese. Poi frittata e wurstel di secondo. Ne avevamo bisogno. E speriamo che domani la giornata sia migliore, anche se andiamo a letto sotto la pioggia battente. Ma bisogna essere ottimisti. Buonanotte.
Il punto tecnico
Altri grossi problemi nell’attraversamento di Goteborg e nel trovare la strada verso Oslo. Perdiamo circa due ore, sotto la pioggia e solo per un colpo di fortuna e una “soffiata” ci troviamo ad attraversare un ponte ciclabile e siamo sulla strada corretta.
Di mattina, all’uscita dal traghetto, Mario trova la sua bicicletta a terra, foratura alla ruota anteriore.
Kiel-Uddevalla km 115, media kmh 22,2 , totale complessivo 1657
TAPPA 11 mercoledì 27 giugno 2007 Uddevalla-Oslo km 238 Media kmh 25,2
Tappone per Oslo
Ottimisti? Ci svegliamo alle 6 sotto la pioggia me per gli esteti del bicchiere mezzo pieno vediamo che il cielo non è chiuso come ieri. Nei nostri bungalow organizziamo una ricca e casereccia colazione e alle sette e mezza, come da accordi, dopo avere caricato il pulmino (ci vuole almeno una ventina di minuti), partiamo vestiti da palombari. L’asfalto è bagnato ma la pioggia è molto meno insistente. Cerchiamo la via d’uscita per Udevalla in direzione Oslo e… non la troviamo. In mezzo a tante circonvallazioni crediamo di essere sulla strada giusta ma ci troviamo che stiamo puntando verso sud-ovest. Non ci voleva proprio: tra andata e ritorno allunghiamo di altri 8 chilometri. Proprio oggi che l’obiettivo, assai ambizioso, è di mantenere il programma e di arrivare lo stesso ad Oslo, come previsto, nonostante che la tappa di ieri sia stata accorciata per cause di forma maggiore di una settantina di chilometri: morale, sulla carta i chilometri sono circa 230 e se piovesse a dirotto sarebbe quasi impossibile. Dopo esser tornati al punto di partenza ci fermiamo all’imbocco per l’unica strada per Oslo, ovviamente un’autostrada. Frenetiche consultazioni e poi decidiamo, o la va o la spacca, altro modo non c’è per immetterci nella giusta direzione e imbocchiamo l’autostrada. Pedaliamo lungo la corsia di emergenza per una decina di chilometri finché non troviamo la prima uscita (c’è il tempo comunque per una foratura di Filiberto) e quindi anche la stradina che ci porta verso i paesini che costellano il nostro percorso verso la Norvegia.
Nel frattempo il tempo sta volgendo al meno brutto, non piove più e l’asfalto presenta addirittura qualche ombra di asciutto. Ci togliamo uno strato della cipolla che abbiamo indossato di mattina e ci inoltriamo in questa piacevole stradina. Cominciamo solo ora a goderci la Svezia e non certo per colpa nostra ma gli stradoni ampi e diritti e il tempo inclemente al limite dell’indecenza non ci avevano fatto apprezzare più di tanto la campagna svedese. Ora invece questa stradina ci porta tra i campi e le dolci ondulazioni e cominciamo ad apprezzare la situazione.
Continuano i piccoli incidenti tecnici: cambio di copertone della bici (il muletto) di Paolo. Ora siamo più rilassati, chiediamo informazioni ad un fabbro che, in perfetto inglese come tutti qui (uella scandinava è proprio una civiltà superiore!), ci guarda increduli quando gli diciamo che vogliamo arrivare ad Oslo per questa sera e ci saluta al grido di Forza Italia. Comincia da parte nostra una breve spiegazione in inglese di ciò che pensiamo dell’ex Presidente del Consiglio.
Continuiamo tra le ondulazioni, anche accentuate e a volte impegnative e puntiamo al confine con la Norvegia che oltrepassiamo senza alcuna soddisfazione in quanto non riusciamo a fare una foto significativa del passaggio per noi basilare: l’ingresso nella nazione che ci accoglierà nei prossimi 20 giorni. Ce ne accorgiamo solo dal cambio di segnaletica stradale e poi anche, lentamente, dal cambio del paesaggio. Appaiono ora sempre più frequenti isolate case in legno, molte di color rosso scuro, con i fiori sui balconi e le tendini alle finestre a rendere ancora più idilliaco il paesaggio. Distese infinite di giallo rendono il contrasto ancora più evidente, aggiungendoci il cielo tempestoso, con nuvolosi in movimento che lasciano però scoperti squarci di azzurro sempre più intenso vien fuori una tavolozza di colori veramente intensa.
Una delle caratteristiche è quella delle case isolate nella campagna e lungo la strada d’asfalto, al bivio con le stradine secondarie che portano alle varie abitazioni, appaiono delle caratteristiche cassette della posta, a volta ingentilite da un vaso di fiori. Sembra di essere in un Far West nordico. Boschi sempre più folti, appaiono le prime betulle frammiste a distese di pini. Fragole, mirtilli, frutti di bosco vari, profumi intensi, coltivazioni di piselli e, ogni tanto rumori di motoseghe provenienti dal bosco profondo, a ricordare l’antica ma sempre presente professione del taglialegna.
Ormai il cielo punta verso il bello, nonostante le nuvole in movimento: quello che ci ha salvato oggi è stato il vento che ha mosso il cielo ed ha impedito il ripetersi della situazione di ieri, con la plumbea coltre immota sopra di no a scaricare acqua.
Continuano i saliscendi ma, attratti dal paesaggio bucolico e piacevolissimo, quasi non ce ne accorgiamo. Dopo 115 chilometri sosta per la pasta e, dopo aver allestito il campo, dobbiamo in fretta e furia allestire la capanna dello Zio Tom attorno al furgone a causa di un improvviso scoscio. Benedetto questo tempo, oggi: sarà l’unica pioggia, venuta nell’unico momento che non dava fastidio. Se ci avesse colto 10 minuti prima, lungo la strada, ci saremmo infradiciati e non avremmo più mangiato volentieri quella pasta all’olio che ci siamo divorati con piacere sotto il tendone.
Ma non c’è molto tempo da perdere: se vogliamo giungere a Oslo, dove domani ci aspetta come da programma una bella sosta e l’appuntamento con l’ambasciatore, dovremo percorrere altri 130 chilometri.
E la strada è tutta su e giù, un percorso vallonato direbbero i belgi, percorso “magna e bevi” diciamo noi, con strappi impegnativi e discese mozzafiato che terminano su un’altra salita. La strada in compenso è assai poco frequentata da macchine e ce la gustiamo tutta. Ancora campi di fragole, le gambe girano e maciniamo implacabilmente chilometri su chilometri. Se ieri è stato un inferno oggi è un paradiso: bisogna dire che siamo stati bravi a non farci prendere dallo sconforto, anche questa mattina, e ad insistere nel nostro progetto. Lentamente, senza strafare ma anche con qualche bella tirata per fare strada, ci avviciniamo alla meta. Riceviamo una telefonata: è l’ennesima del nostro vicepresidente, Franco Puppato, rinomato sarto del centro storico, che ci segue a distanza e con grande passione. D’altronde lui, con Alessandro, suo figlio e nostro socio, una ventina di anni fa ha pedalato lungo il percorso da Oslo a Capo Nord in bici ed evidentemente quelle terre gli hanno lasciato il segno dentro, gli hanno toccato il cuore. Quasi ogni giorno ci telefona per sapere come stiamo, per informarsi sull’andamento del gruppo e ci trasmette la sua energia positiva.
Non facciamo in tempo a mettere giù il telefono e riceviamo un’altra telefonata: è Werner il nostro gentile ospite di Norimberga, che ci ringrazia continuamente per il fatto di essere stati da lui. È incredibile, siamo quasi imbarazzati davanti a tanta dimostrazione di amicizia disinteressata: siamo noi ad essere debitori nei suoi confronti per l’ospitalità ricevuta nei due giorni di Norimberga e invece è lui a ringraziare noi. Il suo sincero interesse al nostro viaggio ci commuove e ci fa capire come questa amicizia sia stata ulteriormente cementata con questo passaggio. Alla prossima. Grazie ancora Werner.
All’improvviso, dopo una discesina, si staglia sul cielo grigio un’enorme chiesa bianca, tutta in legno, con torrette e campanili, che ci lascia a bocca aperta.
Dopo 180 chilometri di corsa ci immettiamo nella E18 verso Oslo, una specie di superstrada, non interdetta alle bici che con interminabili falsopiani, spesso in discesa e con vento a favore, ci fa volare verso Oslo. E se le ricorderà per anni Piero le tirate di Paolo, che continua ad aumentare la cadenza di pedalate nonostante le sue (di Piero) richieste di rallentare. Comunque stiamo per giungere, alla fine di una lunghissima cavalcata che all’inizio della giornata pareva un’utopia, nella capitale norvegese, dove arriviamo alle 19.45 dopo oltre 12 ore di strada, e con questo percorso impegnativo. Siamo stati bravi e abbiamo nello stesso tempo acquisito la consapevolezza di potercela fare: non credo ci saranno tante altre tappe più dure di questa. Nella speranza di non essere smentito.
Il punto tecnico
Sempre problemi nell’uscita delle città perché non riusciamo ad evitare l’autostrada, che sembra essere l’unica direttrice che porta ad Oslo: ma correndo nella corsia di emergenza si corre tra i cocci di vetro e questi causano la foratura di Filiberto. Comunque alla prima uscita troviamo la stradina secondaria che ci condurrà fino ad Oslo. Percorso molto bello, vallonato, l’asfalto risente della morsa del ghiaccio e della neve e presenta alcune crepe.
Uddevalla-Oslo km 238, Media kmh 25,2, totale complessivo 1895
Giovedì 28 giugno 2007 Sosta a Oslo
Giornata di visita alla capitale e di appuntamenti istituzionali. Dormiamo saporitamente senza sveglie particolari, colazione in una caffetteria in centro, all’italiana, con un cappuccino decente e un croissant. Alle 11 ci rechiamo nella residenza dell’ambasciatore italiano a Oslo, la dott, ssa Rosa Anna Coniglio Papalia, che ci riceve assieme al suo staff. È un incontro veramente cordiale, destiamo stupore col nostro viaggio di cui tutti vogliono sapere i particolari. Discutiamo di Querini, del baccalà, della Norvegia, delle Lofoten. Consegniamo all’ambasciatore il gagliardetto del Pedale e un bel bicchiere di Murano che estraiamo solennemente dalla scatola… rotto, spezzato all’altezza del gambo. Restiamo delusi mentre l’ambasciatore se la ride di tanta preoccupazione. Notiamo che sono tutti sinceramente colpiti dal nostro gruppo, eterogeneo, rumoroso, caciaroso. Il nostro direttore tecnico si intrattiene amabilmente con tutte le giovani signore, soprattutto quelle norvegesi, innalziamo il nostro stendardo neroverde, facciamo delle foto con il nostro striscione, cantiamo l’inno di San Marco, insomma quello odierno è sicuramente un ricevimento dove gli ospiti non rispettano un rigido protocollo in questi ambienti eleganti e quasi austeri. L’ambasciatore è molto cordiale tanto che si dichiara disponibile a essere con noi a Veroi, durante il gemellaggio culturale con Venezia che si terrà il 10 luglio. Lo ringraziamo dando in ricordo del nostro passaggio la nostra T-shirt, che daremo pure alla dott. Mariani, dell’ufficio stampa, che è stata l’artefice in questi giorni della nostra accoglienza ad Oslo.
All’incontro in ambasciata partecipa pure Morten Kerr, un bel volto cordiale di puro norvegese, in pantaloni corti e maglietta a righe bianche e blu, quasi da gondoliere, che è un rappresentante della Syklistenes Landsforening, club che promuove la diffusione del cicloescursionismo. È venuto per portarci alcune carte e consigli per il nostro viaggio. C’è anche spazio in ambasciata per un brindisi, nel frattempo è iniziato un buon rinfresco, al nostro Dino che proprio oggi giunge ad un fatidico bivio della vita: 50 anni. Compierli ad Oslo, festeggiandoli in ambasciata, durante la spedizione in bicicletta a Capo Nord credo sia sicuramente un’occasione unica che si ricorderà, per forza, per tutta la vita. Tanti auguri di cuore, vecchia roccia, indomabile ciclista: portaci in cima all’Europa!
La dott. Mariani nel frattempo è riuscita, dopo giorni di lavorio ai fianchi, a strappare un appuntamento all’impegnatissimo sindaco di Oslo, che andiamo a trovare alle 13.15 per consegnargli la lettera di Cacciari e i nostri doni. Prima di recarci nel suo ufficio passiamo per l’imponente salone che ospita la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace. Immagine molto forte.
Ed eccoci dal sindaco, un uomo anziano ma vitale, ha da poco compiuto 75 anni, che ci accoglie con piacere, riceve lettera, targa del Comune di Venezia, il nostro piatto di Murano (che esporrà nella bacheca ufficiale del Comune) e ricambia con un libro su Oslo per Cacciari e otto libretti per noi. Cerimonia un po’ sbrigativa ma simpatica, avvenuta alla presenza anche del vice ambasciatore, il Primo Segretario dott. Roberto Frangione, oltre che a quella dell’onnipresente dott. ssa Mariani.
Quindi l’amico Morten, anche lui presente, si apparta con Alberto e Piero per una consultazione sulle carte geografiche e la strada di domani.
Conclusa questa parte un po’ frenetica della giornata, ci concediamo una visita turistica al Museo delle Navi Vichinghe, situato nella penisola di Bygdoy che raggiungiamo grazie ad un caratteristico traghetto che ci fa sentire a casa nostra.
Quindi pomeriggio di relax, caldo tanto che siamo vestiti in pantaloncini corti e maglietta, ma nel giro di un paio d’ore riusciamo anche a bagnarci per la pioggia. Questo è il Nord, ragazzi. Prendere o lasciare. E noi prendiamo, perbacco.
Domani nostra intenzione è quella di raggiungere Lillehammer, città olimpica. Dopo Kiel, è già la seconda città dai cinque cerchi che tocchiamo. La serata la passiamo con Reiulf, amico di Alberto, che ha studiato architettura a Venezia: ora è un affermato architetto a Oslo e rivederlo è stato un bel momento di commozione.
TAPPA 12 venerdì 29 giugno 2007 Oslo-Lillehammer km 173 Media kmh 24,0
Calma olimpica
Se ieri eravamo in maniche corte e in pantaloncini, questa mattina ci svegliamo con un cielo grigio scuro e una temperatura di 12 gradi. Incredibile quanto velocemente cambi questo tempo! Pazienza, ci vestiamo da inverno e siamo pronti per muoverci alle 8.15, quando passiamo sotto l’ambasciata per salutare definitivamente tutti. Alle 9.00 infine fermiamo un taxi e lo seguiamo per farci indirizzare sulla strada giusta per Lillehammer: infatti anche l’uscita da Oslo presenta un po’ di difficoltà tra strada vietate alle bici, percorsi solo ciclabili e autostrade. Attraversiamo questa capitale che sembra a misura d’uomo, tranquilla, poco trafficata, con case sostanzialmente poco sviluppate in altezza: insomma ci siamo trovati bene e ci sentiamo quasi a casa, se così possono dire dei veneziani di una città di terraferma. Attraversiamo Oslo abbastanza facilmente e ci immettiamo sulla strada numero 4, che ci porterà in direzione di Lillehammer. Dopo un po’ troviamo un primo ampio e lungo tunnel, vietato alle bici, ma decidiamo di fare i furbi e lo attraversiamo, rassicurati anche dalla presenza del furgone che ci segue e ci protegge. Due chilometri e mezzo di adrenalina pura, tra il rombo dei motori, le luci dell’impianto di illuminazione, gli occhi puntati al suolo per non toccarsi con i compagni e siamo usciti dal tunnel carichi di tensione: non è che il primo assaggio di ciò che ci aspetta nei prossimi giorni, dato che qui in Norvegia ci sono moltissimi tunnel anche lunghi e quindi spesso vietati alle biciclette. La strada che va verso Gjovik è abbastanza trafficata e ci regala, si fa per dire, anche una salita abbastanza impegnativa, affrontata proprio prima di pranzo. Ottima pasta al tonno e pomodoro, corroborante e rinfrancante: il freddo è pungente, sono al massimo 10 gradi ed è abbastanza difficili per noi credere che sia il 29 giugno. Se tanto ci dà tanto, chissà cosa succederà quando ci troveremo 2000 km più a nord!? Meglio non pensarci e vivere alla giornata.
A proposito di giornata, oggi grandi tirate dei due santi del giorno, Pietro e Paolo, che si alternano generosamente in testa al gruppo per festeggiare la loro festività. Buon onomastico quindi a Piasentini e Marin!
Il tempo minaccia continuamente pioggia, promette freddo (e lo mantiene) ma resta asciutto e col passare dei chilometri la nostra meta si fa più vicina e realistica. Vogliamo assolutamente passeggiare questa sera per le vie del centro di Lillehammer, per vedere con i nostri occhi quei luoghi che hanno visto una delle più importanti medaglie d’oro olimpiche, la staffetta maschile 4x10, con Fauner che ammutolì una nazione intera grazie ad uno sprint al fulmicotone su un gigante del fondo come Bjorn Dahlie. E la città olimpica è annunciata dal lunghissimo lago Mjosa, che costeggiamo per una quarantina di chilometri e che ci regala degli scorci notevoli e delle inquadrature suggestive. Ora finalmente la strada si separa dalla statale e possiamo goderci la vera Norvegia: foreste, prati immensi, ancora rumore di seghe in azione, fiori coloratissimi sul ciglio della strada. Insomma, un bellissimo momento, aperitivo di ciò che vedremo nei prossimi giorni. E cominciano ad apparire copiosi, lungo il ciglio della strada, segnali di allerta per pecore e soprattutto per alci. È certamente questo segnale che ci fa sentire in Norvegia: chissà l’emozione che proveremo quando vedremo il primo esemplare! C’è in palio un bonus da meno tre forature – nella nostra gara per chi paga da bere – per chi lo avvisterà per primo, un po’ come il marinaio di Cristoforo Colombo che ha avvistato la terra. E anche questa per noi è una piccola e personale scoperta del nuovo mondo, che ci porta ogni momento della giornata ad osservare cose diverse e affascinanti. Tra le cose che più ci colpiscono sono certamente queste casette in legno, isolate, spesso di un colore rosso lacca con finiture bianche che ingentiliscono il paesaggio. Nei centri più grossi notiamo anche la presenza di casette a schiera, incredibilmente anche loro tutte in legno. D’altronde non c’è certo carenza di questa materia prima da queste parti! Gli ultimi trenta chilometri, su strada secondaria e a fianco al lago, sono certamente indimenticabili, con dolci su e giù e una vista favolosa sulle montagne, ma noi le chiameremo colline, che hanno ospitato i giochi olimpici del 1994. Cerchiamo di individuare le varie piste da sci e per noi il panorama è abbastanza strano poiché troviamo di tutto fuorché vette aguzze e prati inclinati che nella nostra esperienza costituiscono la base per questo tipo di competizioni. Non possiamo dimenticar che siamo a circa 200 metri di altezza: tutto si può dire tranne che l’ambiente sia alpino, e ancor meno dolomitico.
Dopo 173 chilometri, ormai è un vizio, arriviamo nel campeggio di Liellehammer che ci ospita in 2 bungalow che ci deludono assai: il rapporto qualità prezzo è quasi scandaloso, dato che paghiamo mezzo milione delle vecchie lire per dormire in appartamenti assai poco puliti, senza biancheria e con tre soli letti invece dei quattro previsti. Pazienza, ci adattiamo, ma sentiamo odore di fregatura: a tutto c’è un limite. Da buoni veneziani fiutiamo che qui le Olimpiadi hanno portato anche il peggio del turismo, quello delle fregature mordi-e-fuggi. al Ma il malumore latente è allontanato del tutto dal nostro cuoco che ci ha preparato una vellutata pasta e fagioli che ci sembra, dopo tanta fatica, assolutamente strepitosa; a stretto giro seguono due frittate preparate dallo specialista di uova Filiberto. Quindi, con il sole ancora alto e alle 10.45 di sera, inforchiamo la bici e ci rechiamo al centro della cittadina e ci godiamo una passeggiata per il centro, grazioso e ben curato, una specie di Cortina del Nord. Evidentissime le tracce delle Olimpiadi che hanno fatto la fortuna di questo luogo, che vive ancora della gloria e della fama mondiale acquisita in quel periodo: noi stessi probabilmente non ci troveremmo qua.
Foto di rito sotto i cerchi olimpici, anche se certamente non ci sentiamo all’altezza degli atleti che hanno posato prima di noi, ma le nostra personale olimpiade la stiamo cercando nelle strade d’Europa, alla scoperta di stimoli e sollecitazioni. Questa certamente è una delle tante.
Torniamo con la luce alle 11.45 di notte e ci sorprendiamo aver ancora la voglia di pedalare, pur vestiti in borghese: vuol dire che le gambe girano e la voglia è ancora tanta. Bene.
Il punto tecnico
Da Oslo evitiamo la E6, che ci ospiterà invece nei prossimi giorni, perché è interdetta alle bici e seguiamo la 4, che presenta anch’essa alcuni momenti di difficoltà, due tunnel.
Cambio del copertone di Mario e foratura sempre di Mario.
Oslo-Lillehammer km 173, media km 24,0, totale complessivo 2068
TAPPA 13 sabato 30 giugno 2007 Lillehammer-Folidal km 168 Media kmh 21,6
TRA LE MONTAGNE NORVEGESI
Oggi è il terzo sabato che siamo in viaggio e lo festeggiamo con una giornata intensa, faticosa ma indimenticabile. Scegliamo di non immetterci sulla strada diretta per Trondheim, la mitica E6 che comunque ci accompagnerà fino a Capo Nord, ma che qui al sud, in ogni dove esiste un sud nel mondo, è ancora un po’ troppo trafficata. Optiamo quindi per una stradina secondaria ricca di saliscendi, ovviamente, che ci conduce per mano attraverso uno scenario da favola, con vista dall’alto sull’ampio fiume emissario del lago di Lillehammer. Il tempo oggi è abbastanza buono, non siamo più vestiti da inverno e il cielo fa addirittura vedere qualche squarcio di azzurro. Bene, pensiamo positivo e continuiamo ad ansimare lungo i saliscendi della strada n 154, colore vivace delle case isolate, dei fiori, dei campi, del cielo, una tavolozza che ci lascia incantati. La strada è secondaria e si capisce che l’asfalto non subisce una manutenzione continua; spesso infatti troviamo alcuni smottamenti e addirittura per qualche chilometro corriamo su sterrato, con grosso rischio forature. E infatti avviene così per Paolo, che giunge alla sua seconda foratura. Ci si avvia verso il congiungimento con la E6 che avviene a Favang: per 8 chilometri percorriamo quella che sarà la nostra compagna di viaggio verso il Nord fino a Ringebu, dove facciamo una scelta azzardata e cioè di scegliere una stradina secondaria, la 27, che si inerpica per un vero e proprio passo. Sono 750 metri di dislivello in 12 chilometri e la fatica c’è. Saliamo in mezzo a un panorama alpino, con foreste di abeti, qualche strappo anche duro e si arriva ai 1140 metri dove troviamo il nostro mezzo d’appoggio con lo Chef impegnato a scodellarci una ottima pasta al pomodoro fresco. Il nostro accampamento desta la curiosità degli unici abitanti di questa spianata, molte pecore che ci si avvicinano. Ma che la salita sia finita è una pura illusione e dopo pranzo, quando rimontiamo in sella, attraversiamo questo altopiano che cambia improvvisamente aspetto e diventa da alta montagna, quasi lunare, senza vegetazione, solo muschi e licheni in abbondanza, chiazze di colore giallino chiaro o verde scuro che si susseguono, e lasciano spazio a dei bassi baranci. A poca distanza da noi appaiono dei piccoli nevai, il cielo è cangiante, la strada si insinua sotto morbide montagne, appaiono anche lagetti e qualche rifugio col tipico tetto in erba. In pochi minuti ci siamo sentiti proiettare nella Norvegia più classica con muschi, licheni, laghi, neve, case colorate e con il prato sopra il tetto: mancano solo, al momento, le alci e saremmo già a posto.
Continuando a pedalare sentiamo i fischi delle marmotte, siamo cioè in un ambiente di alta montagna nostra ma a soli 1200 metri. Aspettiamo sempre la discesa che non arriva e un po’ ne restiamo delusi e in effetti, dopo qualche bella planata, ci assestiamo a quota 900 metri e cominciamo ad attraversare, su una stradina appartata e assai poco trafficata, il magnifico ambiente naturale del Parco Nazionale di Rondane, considerata in Norvegia la più bella zona alpina per le escursioni a piedi, che si stende attorno al massiccio di Rondane, con picchi sopra i 2000 metri. Ci godiamo la pedalata in silenzio, tra torrenti incontaminati, continui laghetti, un verde intenso e un silenzio rotto solo dal passaggio di poche automobili. Siamo certi che questa sia al momento la tappa più bella, più vera, forse anche più dura per le difficoltà altimetriche ma ne sta valendo proprio la pena.
Le immagini che stiamo immagazzinando sono veramente uniche, qui la natura domina incontrastata ed è un bellissimo spettacolo, che immortaliamo in numerose foto, anche con i nostri striscioni, per ricordare a tutti che siamo arrivati fin qui. Anche questa mattina ci siamo lanciati, a Lillehammer, nel effettuare fotografie in pieno centro con il nostro striscione proprio accanto ai cerchi olimpici, per immortalare il passaggio in questa città famosa per lo sport.
Il cielo è continuamente cangiante, l’azzurro appare e scompare di continuo, riusciamo a prenderci anche una nuvoletta di Fantozzi che ci bagna, in discesa, per soli 800 metri e poi la strada torna asciutta. A proposito di strada, continua ad essere un falsopiano, ora in discesa ma sempre più spesso in salita, ma almeno, rispetto i continui su e giù di tutta la giornata, si riesce a sviluppare una velocità decente. Tendenzialmente pedaliamo in silenzio, non tanto per la fatica ma per il piacere di goderci questo panorama.
A Folldall, città di minatori e il cui simbolo è un enorme piccone (a noi tutti fa venire in mente in qualche modo il paesino friulano di Cave di Predil), si abbatte un altro nuvolone di Fantozzi, col cielo azzurro in fondo ma con uno scroscio veramente intenso. Ci ripariamo sotto l’edificio del comune e riprendiamo quando la pioggia è meno fitta: mancano solo 11 chilometri al campeggio di Dalholen, sufficienti comunque a bagnarci e anche per una foratura di Dino.
Ma questo tempo assai cangiante ci regala anche un meraviglioso arcobaleno. Questa è la Norvegia, se questo è il suo biglietto ci sarà veramente da divertirsi e da godere.
Il punto tecnico
Evitiamo anche oggi la E6, ma le strade alternative ci presentano il conto con continui saliscendi per i primi 60 chilometri e con salita impegnativa al km 75 fino al km 90. Panorami splendidi con asfalto abbastanza malridotto, buche e scanalature: bisogna stare attenti
Forature di Paolo e di Dino.
Lillehammer-Folidal km 168, media kmh 21,6, totale complessivo km 2236
TAPPA 14 domenica 1 luglio 2007 Folldal (Dalholen)- Trondheim km 177 Media kmh 26,2
ARRIVIAMO IN RIVA AL MARE
Primo giorno di luglio, che comincia presto, molto presto: alle 7.30 tutti in sella, puntuali come stabilito. Oggi è domenica e pedalando nei panorami da cartolina norvegesi ci viene improvvisamente un flash: ecco cosa c’è di strano, di indefinito, in questi giorni. Non ci sono chiese, campanili, o quantomeno ce ne sono pochissimi. In confronto con le nostre terre, contrassegnate di continuo da simboli religiosi, croci, capitelli, madonne, chiese, campanili, campane, qui non c’è nulla di tutto ciò. Solo adesso notiamo l’assenza ed è notevole: chissà se dipende da questo, cioè da questo laicismo diffuso, questa atmosfera distesa e cordiale. Personalmente penso proprio di sì, dato che la religione avvicina e aiuta molto ma le persone che condividono lo stesso credo, mentre tende ad allontanare gli altri e a creare differenze. Ma comunque lasciamo perdere, questo solo per riportare uno dei tanti pensieri stimolati dal potente volano della pedivella, che mette in movimento la testa.
Ma torniamo al viaggio, anzi a noi, e parliamo di noi. Dopo 13 tappe, questa è la quattordicesima, la situazione fisica è ottima. Tutti noi siamo in forma, la gamba gira, ormai fare 180 chilometri ci sembra uno scherzo, abbiamo reagito perfettamente anche alla tappa di ieri, che presumibilmente dovrebbe essere stata una delle più dure in assoluto. I muscoli stanno bene, quindi, e il culo vi chiederete? Il culo abbastanza, solo Alberto accusa un paio di brufoli gemelli paralleli spuntati dove non batte mai il sole, che però non gli impediscono di sentirsi in grande forma.
Anche Piero, che per carattere è timoroso e aveva una gran paura di non farcela, è entrato in uno stato di ottima forma e gli gira la gamba che è un piacere. Dato che per carattere è un po’ brontolone e borbotta di continuo, spesso si sente dal gruppo partire il grido di battaglia “Ridi Piero” e scoppia l’ilarità generale.
Come fa ad essere facile e banale una tappa di 177 chilometri? Chiedetelo a noi e vi risponderemo che siamo in forma. Tappa strepitosa quella di Trondheim, effettivamente facile perché in gran parte in discesa, anche se comincia in salita di mattina presto, lungo una stradina assolutamente deserta che si incunea solo tra muschi e licheni; una salita però assai pedalabile che lentamente ci conduce ai 1050 metri del passo di giornata. Salita morbida, moltissime casette con il solito prato sul tetto (!) neve tutto attorno, siamo soli e pedaliamo di buona lena occupando tutta la sede stradale; ci taglia la strada perfino una veloce volpe dalla folta coda. Sembra quasi una manifestazione di Critical Mass tra le renne e i fiordi: ma qui non si da fastidio a nessuno e il traffico automobilistico proprio non ce n’è. Tanto è vero che la stessa situazione la ritroviamo quando ci congiungiamo alla E6, che non lasceremo più fino a Trondheim: zero macchine, sede stradale non particolarmente ampia che si infila in una gola stretta, all’ombra. Sembra un vero e proprio canyon, con tanto di stazioncine in legno della linea ferroviaria. Proprio per questo c’è un’atmosfera da Far West, ma è un po’ da tutti questi giorni che proviamo questa sensazioni, sarà per la terra selvaggia, da conquista. Planiamo in discesa e ci godiamo questo panorama in cui possono apparire da un momento per l’altro indiani e cow-boy ma invece compare improvvisamente un accampamento lappone, per turisti, con tanto di renne tenute al guinzaglio. Proviamo un che di sgradevole in questa svendita delle tradizioni e dell’orgoglio di un popolo tanto fiero, ma in effetti l’accampamento ci riporta alla sensazione provata prima, quella cioè dei Sioux e dei Cheyennes.
Piomba proprio al nostro fianco una spettacolare cascata vaporosa, le cui nebulizzazioni bagnano l’asfalto. È ancora molto presto in questa domenica mattina e non possiamo non canticchiare, anche questa volta, “Passeggiando in bicicletta accanto a te, pedalare senza fretta la domenica mattina” e non può mancare un pensiero alle nostre mogli…
Divoriamo chilometri su chilometri grazie a questa bella discesa, del resto Trondheim – nostra sede di tappa – si trova sul mare, e alle 11.00 ci troviamo col contachilometri già a quota 75. Bene, benissimo, tappa facile, veloce e incantevole. Nel frattempo il panorama è cambiato e la valle si è spalancata, ora è ampia e ospitale, con coltivazioni a perdita d’occhio, mentre le pecore sono state sostituite dalle mucche e dai cavalli. Si procede sempre in leggera discesa a fianco di torrenti trasparenti, compaiono ogni tanto dei laghetti e sovente troviamo gente parcheggiata al bordo della strada che sosta e si gode il panorama. La mattina, nei pressi del passo, abbiamo visto anche molti camper in mezzo ai prati, circondato solo dai licheni, che avevano evidentemente passato la notte lì all’aperto.
In effetti qui in Norvegia è ammesso il campeggio libero e crediamo sia proprio il modo migliore per godersi questo paese e la sua natura selvaggia. Grande nazione la Norvegia, dove per l’appunto esiste una antica legge che si chiama “allemannsretten” (il diritto di ogni uomo) secondo la quale ognuno è libero di campeggiare su un qualsiasi terreno non coltivato per un periodo non superiore ai 2 giorni, purché si tenga ad almeno 150 metri da ogni casa e rifugio e ovviamente non lasci tracce e rifiuti, rispettando quindi la natura. Grandi i norvegesi, altro che i nostri argini dei fiumi dove i contadini impediscono il passaggio, dove i privati si sono impossessati di terreni demaniali, dove è impossibile vagabondare a piedi o in mountain-bike!
Ma grandi i norvegesi sono anche perché mettono a disposizione dei viaggiatori strutture attrezzate lungo la strada, bellissime aree di sosta dove ci si può rilassare. E il nostro autista e chef si impossessa di una di queste e oggi pranziamo seduti su comode panche, appoggiati su un bel tavolo di legno e ci gustiamo quest’aglio e olio (con poco peperoncino per la gioia di qualcuno di noi, un po’ sofisticato - e non facciamo nomi, vero presidente?).
Mancano solo quaranta chilometri e ce li facciamo come digestivo, anche se qualche strappo in salita ci sta sul gozzo, dato che in prossimità di Trondheim le indicazioni ciclabili ci mandano fuori dalla E6 per la presenza di alcuni tunnel. A sei chilometri dall’arrivo si abbatte su di noi la quotidiana nuvola di Fantozzi, il cielo viene squarciato da una saetta rumorosissima e rischiamo di infradiciarci proprio alla fine. Ma questa volta siamo fortunati, attendiamo qualche minuto e il cielo oceanico si cangia ed arriviamo al campeggio di Trondheim ancora asciutti dopo 177 chilometri: e sono solo le 4 del pomeriggio. C’è tempo per una visita alla bella città che è considerata la porta del Nord, ed è stata l’antica capitale della Norvegia mentre è ancor oggi la terza città per numero di abitanti dopo Oslo e Bergen. Troviamo un centro tranquillissimo, ospitale con una spettacolare chiesa medievale che custodisce il corpo del re Olav il Santo, la persona che nel XI secolo ha fatto transitare il popolo norvegese dal paganesimo il cristianesimo.
E domani, passeremo per la porta verso Nord e in sole quattro tappe raggiungeremo il Circolo Polare Artico.
Il punto tecnico
Si giunge fino a Hjerkinn lungo una stradina secondaria, bellissima, senza traffico. Quindi ci si ricongiunge con la E6, comunque poco trafficata. Splendida strada, in discesa, con qualche sconnessione. Ben due forature di Dino, che passa in testa alla classifica.
Folldal (Dalholen)- Trondheim km 177, media kmh 26,2, totale complessivo km 2413
TAPPA 15 lunedì 2 luglio 2007 Trondheim -Folling km 164 Media kmh 23,2
APRIAMO LA PORTA DEL NORD
È proprio vero che non ci si può mai rilassare: convinti che ormai tutto sia a posto, dato che la tappa di ieri è stata bella e poco impegnativa, oggi, quando meno ce lo aspettavamo, è arrivata una tappa difficile. Più che faticosa, direi complicata, con imprevisti, deviazioni, un po’ di vento contrario. Insomma siamo partiti già in effetti un po’ troppo tranquilli, alle 8 e 30 della mattina, un’ora più tardi rispetto la tappa di ieri, tanto per capirsi. Poi abbiamo cercato un paio di distributori con elettrauto per risolvere un piccolo problema che sta accusando il furgone da un paio di giorni: il tergicristalli non funziona, salta continuamente il fusibile nonostante i nostri interventi. Certo che è il colmo, dopo 2500 chilometri noi non abbiamo accusato alcun problema consistente mentre il furgone ha dimostrato qualche acciacco. Anzi no, non ci stupiamo, sappiamo che la macchina del nostro corpo è molto meno delicata delle automobili: le nostre ginocchia sono perfettamente oliate, non scricchiola quasi niente, solo il collo ogni tanto da qualche fastidio per la posizione in sella.
E sì che dal punto di vista meteorologico la giornata è perfetta, con clima mediterraneo, siamo tutti vestiti in maniche corte, il sole è una carezza calda sul corpo: ne avevamo proprio bisogno, anche se al momento, tirando le somme, siamo stati decisamente fortunati come tempo. Solo una giornata pessima, il resto… nuvole di Fantozzi.
Torniamo alle difficoltà mattutine: ci complichiamo la vita scegliendo un percorso alternativo al percorso lungo la E6, vietata alla bici ma con un percorso ciclabile riservato, fino a Trondheim: col cartografo individuiamo sulla cartina una stretta strada che dovrebbe aggirare la città e sbucare una ventina di chilometri oltre. Tentiamo l’azzardo e scopriamo subito che questa è un toboga, con salite e discese a singhiozzo, ininterrotte, in un panorama da sogno ma sempre caratterizzato dal sudore. Laghi, laghetti, corsi d’acqua, foreste rigogliose in cui s’insinua la stradina che, a un certo punto, diventa addirittura sterrata. Corriamo per chilometri e chilometri da soli su questo fondo battuto buono ma un po’ insidioso per la presenza di ghiaino. Morale: bisogna stare molto attenti, sempre sul chi vive. Ogni tanto si superano dei pericolosissimi scolatoi in ferro per far scorrere l’acqua che sono molto larghi: pensiamo con orrore a cosa potrebbe succedere se a tutta velocità dovesse infilarsi un cerchione. Alta tensione.
Per bella è bella, per dura è dura, per corta... non è assolutamente corta, anzi entra a buon diritto nel novero delle “allungatoie”, che per di più ci ha addentato i muscoli addensando acido lattico: niente di peggio che cominciare la mattina così. Per di più, in questo scenario da favola, ci perdiamo un paio di volte e quando alla fine ritroviamo la E6, lungo il mare i chilometri fatti in più sono una decina ma soprattutto la fatica è stata molta. Ne valeva la pena? Diciamo di sì, ma questa risposta affermativa è data a freddo, a mente lucida: se ci aveste rivolto questa domanda a metà di uno strappo micidiale, la risposta sarebbe certamente stata irriferibile.
Che strane che sono queste giornate passate sempre alla luce: e quando le giornate sono limpide come quella di oggi la luce è ancor più intensa e traslucida. Anche ieri abbiamo cenato all’aperto in campeggio e siamo stati all’aperto a ridere e scherzare fino alle 11.30 sotto una luce veramente intensa, con balenii dl sole all’orizzonte. Alle due di notte qualcuno di noi si è alzato per andare al bagno e si è trovato avvolto in una luce intensa e calda. Morale: 24 ore di luce al giorno. Dovremo abituarci ma la stanchezza fa addormentare anche chi normalmente ha problemi a chiudere gli occhi con il chiaro.
Tornando al nostro percorso, la E6 è abbastanza trafficata, segue la costa che ci offre dei panorami su fiordi e isole, o penisole (non si capisce bene) e procede anch’essa a strappi, con salite e discese. Dopo la sosta pranzo (chef Gusso trova ancora una volta una bella piazzola di sosta e ci prepara una buona pasta coi pomodorini freschi) la strada è più amica dei ciclisti, con lunghi rettilinei anche in discesa e, soprattutto alla fine, a favore di vento. Oltrepassiamo il centro antico di Steinkjer, già menzionata nelle saghe medievali, da dove si dipartono due strade per il nord: l’affascinante strada costiera, la Kystrik-sveien e la Strada Artica, E6, che percorreremo noi. Dopo 14 chilometri, a Folling, ci fermiamo nel piccolo campeggio in riva al lago, dove molte e immense roulotte sono popolate da improbabili zingari che parlano perfettamente il norvegese. La nostra casetta in legno è ospitale anche se spartana, senza bagno né acqua ed allestiamo un’ottima cena all’aperto seduti sulle panche del campeggio. Giornata dura, ma, alla fine, chi è più felice di noi?
Il punto tecnico
Percorso durissimo all’inizio, i primi 40 chilometri, con saliscendi strappamuscoli e lunghi tratti sterrati, poi raggiungiamo la E6 e anche questa è assai ondulata e, soprattutto nei primi chilometri, molto trafficata. Novità della giornata: nessuna foratura.
Trondheim -Folling km 164, Media kmh 23,2, totale complessivo km 2577
TAPPA 16 martedì 3 luglio 2007 Folling-Majavatn km 170 Media kmh 24,0
QUANDO I CICLISTI VORREBBERO LA CODA
Se ieri è stata una giornata difficile, per il gusto dell’alternanza o per la par condicio, per fortuna oggi la tappa è più che buona, a dispetto della lunghezza e dei continui saliscendi.
“È la mattina che si riempie la manina”: tenendo ben presente il proverbio preferito dal caro Tonino, il cognato scledense di Alberto, partiamo presto, alle 7.30 e non poteva esserci scelta migliore. Ci gustiamo le ondulazioni ben asfaltate che ci portano lungo un magnifico lago che ci accompagna per i primi 35 chilometri. È un paese che trasuda l’acqua, questa Norvegia, e noi ce ne stiamo proprio rendendo conto, tra laghi, laghetti, fiordi, fiumi, torrenti, cascate e nevai. In tutti i modi e tutte le forme, manca ancora solo il ghiaccio, acqua ovunque. Ci spostiamo assorti a guardarci attorno, ognuno pedala con i propri pensieri e le proprie immagini, passano davanti alle nostre pupille pini, rive del lago, verde intenso. Il traffico è del tutto scomparso, siamo i padroni della strada, tanto che uno scoiattolo ci passa davanti con una ghianda in mano; ci guarda distratto poi continua indifferente per la sua strada. Anche Mario ormai è rilassato in quanto ieri abbiamo anche risolto il piccolo problema con il pulmino: proprio Mario e Dino, il perito elettricista del gruppo, hanno smontato il motorino, ingrassato i fili, asciugato il tutto, messo il nastro isolante nuovo e… il tergicristalli ha ripreso a funzionare. È la dimostrazione che ognuno nel gruppo ha un compito specifico, chi prepara il caffé, chi lava le pentola, che prepara il pranzo e la cena, chi si occupa del furgone. A questo proposito, esclusi l’onnipresente Mario con la sua magnifica capanna dello zio Tom in caso di pioggia o di vento e il solerte Franco Gusso, una menzione particolare la merita proprio Dino, che grazie all’avvicinamento nelle terre delle saghe nordiche sta cambiando il nome in “Odino”, con leggera inflessione buranella. In effetti la sua silenziosa generosità sta colpendo tutti, poiché si fa in quattro sia per preparare la pasta, sia per lavare le pentole, che per qualsiasi problema elettrico, che per scaricare le foto, per oliare le catene delle biciclette, che per risolvere i problemi elettrici. Ovviamente oltre a pedalare e il tutto in maniera veloce, senza tanti fronzoli né proteste. Dice di fare e fa, uomo di poche parole e tanti fatti; è proprio un ragazzo d’oro.
Continuiamo in silenzio a goderci le fresche acque norvegesi, con i laghi su cui si specchiano le pendici verdissime delle montagne che li circondano. Oggi il percorso è assolutamente panoramico, affascinante, pedaliamo in una zona che è un vero parco naturale. Per chilometri e chilometri non troviamo paesi o tracce d’uomo, a parte la E6 e le poche macchine. C’è da dire che ogni tanto incrociamo dei camion giganteschi che arrancano su questa stretta via e ci passano molto vicino, quasi troppo. Mano a mano che procediamo verso Nord troviamo sempre più gente che ci saluta, che ci strombazza, capendo che ormai la meta di questo gruppo di ciclisti non può essere che Capo Nord. Moltissime sono le roulotte che ci superano, quasi tutte di locali e molti camper, ma al momento pochissimi italiani. Credo che cominceranno a popolare questa regione solo tra qualche settimana, cioè nel periodo tra luglio e agosto, quello delle ferie comandate.
Nel pomeriggio siamo perseguitati da enormi tafani che ci attaccano durante le soste ma che ci seguono anche in bicicletta, alla nostra stessa velocità. Ci sentiamo accerchiati e qualcuno tra noi rimpiange la mancanza della coda delle mucche, utilissima in questi casi. Temiamo la presenza al Nord delle temutissime e numerosissime zanzare.
Giornata di emozioni: il primo alce è stata avvistata da Mario che ha gridato gioioso “Alce” e si trova quindi, grazie al bonus di tre forature, a -1, cioè ultimo e davanti perfino al presidente Franco, l’unico a non aver ancora forato. A proposito, preoccupati dalle molte forature e dal numero limitato di camere d’aria di riserva, ieri ne abbiamo comprate altre quattro, pagate a peso d’oro come tutto qui in Norvegia, e da quel momento non abbiamo più forato. Come rito scaramantico ha funzionato benissimo, speriamo che continui così.
Continuando con le emozioni, passiamo sotto l’arco che segna l’ingresso nella regione del Nordland, foto di rito e anche questo passaggio è stato fatto. Altra emozione intensa è stato sederci accanto ad un corso d’acqua tumultuoso, con tanto di cascate e gorghi: mancano solo i salmoni e li orsi che cercano di acchiapparli.
Ci beviamo quindi anche questi 170 chilometri rispettando perfettamente la media chilometrica e ci avviciniamo sempre di più a quell’appuntamento che costituisce il momento più importante del viaggio: l’incontro con gli amici di Sandrigo che il 6 maggio, sotto i nostri occhi, sono partiti a bordo del Mandrake II, una bella barca a vela, per rifare filologicamente il viaggio di Querini. Sono passati per Dubrovnik, Corfù, le Eolie, la Sardegna, hanno oltrepassato le colonne d’Ercole e sono passati per la Spagna, il Portogallo, Dublino e sabato si incontreranno con noi a Rost, l’isola delle Lofoten dove Querini ha fatto naufragio. Ci siamo dati l’appuntamento a due mesi di distanza e lo stiamo perfettamente rispettando: ci sentiamo ogni tanto per aggiornarci sulle nostre rispettive posizioni e ora le nostre due rotte stanno convergendo velocemente verso la meta. Il bello di tutto questo, che ci è piaciuto subito fin dall’inizio, è che i sandrighesi –Antonio Chemello e i suoi amici – vanno via mare e noi, i veneziani esperti di navigazione, andiamo in bici via terra. Il “mondo alla roversa”. Bello e significativo.
Arriviamo alle 17.15 a Majavatn, piccolo paese con un campeggio ancor più piccolo, spartano ma accogliente.
Troviamo il tempo e la voglia di fare un bagno nel laghetto vicino al campeggio: l’acqua è incredibilmente fredda e tutto attorno a noi le montagne sono coperte di neve. È incredibile, siamo a soli 250 metri di altezza e la neve è a pochi passi da noi. Del resto, aumentando la latitudine anche lo zero termico si trova a altezze sempre più basse. Con la nostra caciarosa simpatia prendiamo possesso di due bungalow, spostiamo le panche per cenare proprio davanti alle casette, cuciniamo la pasta e fagioli all’aperto, stappiamo un paio di bottiglie e ci facciamo un sacco di risate ai racconti di vita e di lavoro di un ispirato Mario, in ottima forma sia fisica che morale. Mario è un po’ l’anima della compagnia con la sua simpatica e generosa irruenza; questa sera è incontenibile e passeremo tutta la notte a sentirlo raccontare. Del resto, neppure ci accorgeremmo dell’arrivo della notte e di quella dell’alba. Qui è un unicum. Ma il nostro corpo ha pure bisogno di riposo e ci forziamo ad entrare nei nostri sacchi a pelo per riposarci ed essere pronti, domani mattina, per la prossima tappa. Altri 170 chilometri.
Il punto tecnico
Percorso panoramico, splendido, sempre su E6, poco trafficata e con manto stradale spesso liscio e nuovo.Tutto molto bello, ci sono piaciuti anche i molti saliscendi: quasi quasi non ci fanno più né caldo né freddo.
Folling-Majavatn km 170, Media kmh 24,0, totale complessivo km 2747
TAPPA 17 mercoledì 4 luglio 2007 Majavatn-Storforshei km 202 Media kmh 24,4
BIANCANEVE E I SETTE NANI
Questa mattina, pedalando col fresco delle 7,15, appena partiti dal campeggio con le sue casette minuscole in legno, abbiamo avuto un’illuminazione. Sarà stato per queste hytte, i bungalow norvegesi, sarà per il clima di cameratismo che si è creato in questi 19 giorni di convivenza, ma abbiamo capito finalmente chi siamo: i sette nani, ovviamente alla corte di Biancaneve Gusso, una Biancaneve un po’ abbondante ma simpaticissima. Ce lo immaginiamo con due belle trecce nere e un balconcino possente, il rossetto sulle labbra e un cestino di vimini, con un paio di bottiglie della sua cantina preferita, Luisa del Collio. E allora è stato un gioco a individuare Pisolo, il più dormiglione, Dotto, lo studiato della compagnia, Eolo, chi ci dà dentro di più con l’aerofagia dopo la pasta e fagioli dello Chef. Non metteremo in questa sede i nomi ma chi leggerà attentamente i nostri diari potrà dare un nome ad ognuno di noi: vedrete che coincideranno con i nostri.
La partenza di mattina presto, come ieri, è stata un’ottima idea: è effettivamente la migliore scansione della giornata poiché si arriva alla sosta delle 10/10.15 con già una sessantina di chilometri in carniere, a quella attorno alle 12 con circa 100 e alla pastasciutta con circa 120. Quindi dopo i carboidrati mancano solo una quarantina o cinquantina di chilometri, in teoria. Ecco parliamo di teoria, perché la prassi è tutt’altra cosa e ogni giorno percorriamo sempre più chilometri del previsto. Infatti alla fine della tappa odierna saranno ben 202, ma questo lo vedremo dopo.
Questa mattina si ripete la storia di ieri: strada bellissima, deserta, aria frizzante ma sostanzialmente giornata meravigliosa, cielo terso, clima mediterraneo. Insomma di tutto ci aspettavamo ma non un tempo così bello, al momento. Calma ragazzi, la regata è ancora lunga e facciamo ancora in tempo a prenderne tanta di acqua…
Comunque ci rendiamo perfettamente conto, oggi, che questo percorso verso Capo Nord è sostanzialmente in balia del tempo: se questo è favorevole, allora il percorso stesso diventa splendido ed entusiasmante, forse anche facile, se invece il tempo è inclemente allora tutto cambia e la strada può trasformarsi in un calvario. Ho parlato con amici che narravano di vento contrario che ti fa andare a passo d’uomo, di vento laterale che ti sbatte quasi a terra (a proposito, in questi giorni ci sono capitate un paio di folate di questo tipo), di pioggia fredda, insomma di epica pura del ciclismo d’altri tempi. Noi al momento nulla di tutto ciò, sì certo qualche difficoltà, i continui su e giù, ma il tempo, a parte la terribile tappa di Goteborg, è stato assai clemente con noi. Speriamo continui.
Corriamo tutta la mattina in uno scenario da favola, ai piedi di montagne innevate che neanche in marzo da noi: nel senso che non si può certo sciare ma i nevai sono sempre più estesi.
Poi acqua, ancora tanta acqua che non capisci sé sono laghi o fiordi: la cosa più strana è quando in questo paesaggio tipicamente da alta montagna in Italia (ma qui in Norvegia a soli 300 metri di altitudine) ogni tanto senti dall’alto lo stridore dei gabbiani: assolutamente incongruo, ma questo ci fa almeno capire che ci troviamo di fronte a un fiordo…
Oggi è la giornata del fieno e vediamo molti contadini raccoglierlo in balle perfettamente allineate, con dei movimenti e dei colori sui prati che ricordano le nostre vallate di montagna. E sempre la neve a brillare in alto, ma non troppo in alto, sarà a circa 200 metri di altitudine dal nostro punto di osservazione.
Il terreno è favorevole, con ampie discese e allora il trenino neroverde macina chilometri, perfettamente allineato, con le gambe come bielle di una locomotiva che spinge il rapportone e si invola verso la meta. Il segnale è dato solitamente da una voce in fondo al gruppo, solitamente il nostro Eolo, divoratore di fagioli, che grida “Vai col trenino neroverde” e allora ci si mette bene allineati impegnati in una tirata. Del resto con qualche chilometro a buona andatura controbilanciamo i lunghi tratti in cui siamo costretti a ondeggiare in equilibrio instabile a 10/11 all’ora nelle pendenze più significative.
Anche oggi la sosta pranzo avviene in un’area pic-nic ottimamente attrezzata: pasta corroborante, solita capanna dello Zio Tom per ripararci dal vento costruita in due minuti da Eolo, ops!, e poi di nuovo in sella.
In questi ultimi giorni Alberto ha lamentato, subito dopo la ripresa in bici, un senso di pesantezza nel senso che più di qualche volta gli si socchiudevano gli occhi con un intenso desiderio di pennichella: una spruzzata di acqua fredda in faccia o direttamente dentro il casco e il problema era risolto.
Ebbene, oggi non ce n’è stato bisogno dato che esattamente 500 metri dopo la sosta, dietro una curva, appare lei, uno spauracchio sempre temuto ma non assolutamente atteso quest’oggi, la GALLERIA. La scrivo in maiuscolo perché è un tunnel infinito, ben 8,6 chilometri. Ci guardiamo attorno, non ci sono stradine laterali o percorsi alternativi, c’è solo un piccolo marciapiede di una cinquantina di centimetri ma è troppo alto e quindi a rischio cadute. L’unico fatto positivo è che si trova in discesa. Breve consultazione e i novelli sette nani prendono la prima decisione forte, da uomini (più che altro non c’era alternativa): si va, tenendo alle spalle Biancaneve-Gusso e il suo furgone, alla faccia della coda che si formerà. D’altronde abbiamo notato che il traffico è molto scarso e non ci saranno troppi problemi. Entriamo nello stretto budello, illuminato, e subito sentiamo un’aria umida e ghiacciata che ci avvolge: sembra il tocco gelido della morte. Sensazione sgradevole, un rombo sordo di sottofondo, le luci abbaglianti delle macchine che vengono in salita e che sembrano mirarti, quindi ogni tanto l’assordante fragore degli aspiratori, il tutto in un clima ovattato, umido e rumoroso. Un vero e proprio incubo: mi ricorda il Castello degli Orrori delle giostre da bambino, manca solo lo scheletro che appare all’improvviso e il tocco sul volto delle ragnatele e siamo tornati bambini. Passano i minuti, sempre al buio sempre sotto, e taci che stiamo correndo a 40 all’ora, in discesa. Qualcuno tra noi ha le luci posteriori che segnalano la nostra presenza ma la vera sicurezza è il furgone che comunque pare non creare troppo disagio; infatti a causa dello scarso traffico ogni due o tre minuti un paio di macchine effettuano il sorpasso e ci superano. Quanto dura questo supplizio? Direi 14/15 minuti ma sembrano durare due ore: siamo un grumo di tensione e di adrenalina, altro che pennichella e sonnolenza! Quando da lontano appare un chiarore diffuso cominciamo a rilassarci e poco prima di proiettarci fuori la galleria rimbomba del grido di “Pope oe”.
Inizialmente, nel nostro programma di massima, la sosta doveva essere effettuata proprio fuori questa galleria, al km 140, ma la mattina abbiamo deciso di continuare e portarci più avanti, al paese di Mo-i-Rana dal nome leggermente buffo per noi italiani, quaranta chilometri più avanti e situata su uno spettacolare fiordo. Di pomeriggio soffriamo perfino il caldo, saranno una trentina di gradi abbondanti e li ringraziamo di cuore: infatti parlando con Jan, un simpatico e robusto ciclista che ci ha accompagnato fin dentro la cittadina di Mo-i-Rana, è emerso il fatto che un paio di settimane qui, la notte, erano sotto zero.
Jan ci accompagna gentilmente a un campeggio, smontiamo, guardiamo il contachilometri, 182, bene diciamo. Ci guardiamo attorno e vediamo spuntare le ciminiere di un acciaieria prospiciente al camping, poi i nostri occhi cadono su una spianata di sassi neri di fronte alle nostre casette. Decisione presa: si rimonta in sella e cerchiamo un camping più avanti. Di chilometri ce ne vorranno altri 20, anche piacevoli, a fianco di un fiume ed arriviamo all’accogliente Storli Camping, con le sue belle casette immerse nel verde e il gestore assai simpatico e ospitale (di sera finalmente ci farà collegare a casa sua con internet e potremo aggiornare con gli ultimi quattro giorni il nostro diario).
Anche oggi, per un motivo o per l’altro, abbiamo fatto 202 chilometri. Le Lofotoen sono vicine, domani passeremo il Circolo Polare Artico, peraltro con clima equatoriale. Altre emozioni attese, noi siamo qua.
Il punto tecnico
Bellissime ondulazioni, non difficili, asfalto mediamente buono, una galleria lunghissima e pericolosa, altre 5 inferiori al chilometro. Senza mezzo appoggio sarebbe difficilissimo superarle.
Majavatn-Storforshei km 202, Media kmh 24,4, totale complessivo km 2949
TAPPA 18 giovedì 5 luglio 2007 Storforshei-Fauske km 153 Media kmh 24,1
CIRCOLO POLARE ARTICO, latitudine 66°33’
Le foto alla reception del campeggio di Storli le vogliamo spedire all’amico nostro ospite, a ricordo della bella accoglienza in queste casette di Biancaneve e i sette nani.
Il cielo è ancora terso, l’aria frizzante ma calda, il clima continua a stupirci considerando che tra 50 km attraverseremo il Circolo Polare Artico. La tappa di oggi, proprio per smentire quanto scritto in precedenza, è più impegnativa delle altre, con salite più rognose, strappi più bastardi, con pendenze impegnative e importanti.
La strada ormai è tutta nostra, il traffico assolutamente poco intenso anche se i pochi camion sono sufficienti a farci venire le pelle d’oca date le dimensioni ridotte delle carreggiata e l’abitudine tutta nordica dei sorpassi all’ultimo momento: insomma, più di qualche volta quando sentiamo dietro di noi un rombo sordo e ansimante, chiudiamo gli occhi e speriamo bene. Sono truck giganteschi, da America del Nord, con rimorchi infiniti, spesso trasportano ruspe per lavori stradali. Certo che costruire questa strada, con condizioni estreme, con ponti, gallerie e sedi stradali a picco sui fiordi deve essere stato tutt’altro che facile. Infatti lungo il percorso ci sono molte lapidi che ricordano le migliaia di prigionieri di guerra dei tedeschi che sono stati costretti a lavorare alla costruzione di questa strada: vicino a Fauske c’è addirittura un museo che si chiama Museo della Strada del Sangue che ricorda il sacrificio di queste migliaia di persone (tra cui moltissimi slavi).
Comunque questa strada di sangue sta diventando la nostra strada del sudore, soprattutto durante l’ascesa di circa 400 metri di dislivello per arrivare al Circolo Polare Artico. E il passaggio in questo luogo virtuale è estremamente significativo per noi: sentiamo di avvicinarci piano ma inesorabilmente alla nostra meta. È comunque un luogo poco romantico, con un centro commerciale che dispensa souvenir ai moltissimi turisti che qui si fermano per una foto, le stesse che facciamo noi. Destiamo curiosità, ilarità e siamo spesso soggetto di foto dei molti arrivati fin qui. Troviamo anche due nostri motociclisti conterranei, marito e moglie, con cui facciamo amicizia. Ci dedichiamo alle fotografie con i vari striscioni degli sponsor, ad immortalare un passaggio simbolico ed estremamente significativo per il nostro viaggio.
Il panorama attorno a noi è assolutamente brullo, neve, muschi e licheni, passiamo attraverso una foresta di betulle che appaiono bruciate dal gelo: in effetti crediamo che qui il ghiaccio sia restato al suolo fino a maggio inoltrato o anche fino a giugno.
Alla conclusione di questa salita impegnativa, dopo lo scollinamento in corrispondenza del passaggio del circolo polare, la strada spiana per qualche chilometro e corre a fianco di una ferrovia dove ogni tanto passano dei treni merci con dei vagoncini lucidi e colorati che sembrano quelli del Lego. Continua il paesaggio brullo e desolato ma con un notevole fascino e poi comincia, finalmente, una bella picchiata che ci godiamo proiettandoci a 55/60 chilometri all’ora nonostante le rugosità dell’asfalto. Ma quando ci vuole ci vuole.
Ci dirigiamo quindi verso un bel fiordo su cui sorge la nostra sede di tappa di oggi, Fauske. Gli ultimi chilometri quindi sono su una costiera amalfitana nordica, col sole a scaldarci la pelle, un cielo azzurro, il mare blu cobalto, dei saliscendi malandrini tipici delle strade costiere. Ma quello che qui c’è in più, purtroppo, sono le gallerie (comunque sempre perfettamente illuminate) e ne troviamo quattro di cui una veramente lunga, oltre 2,5 km. La nostra fortuna al momento, è che tutte le gallerie percorse sono in discesa, anche abbastanza pendente. Qualche altro strappo che scatena la voglia, essendo ormai alla fine della giornata, dei più scalpitanti a fare bagarre, con il ciclista meno giovane, Mario, a prevalere su tutti.
La giornata si chiude quindi nel bel campeggio di Fauske, dove ci godiamo una bellissima casa in legno, nuovissima, con tanto di doccia e terrazza, letti comodi e ampio soggiorno. Oggi ci trattiamo da signori ma in qualche modo ce lo meritiamo: inoltre questo stare tutti assieme fa ancora più gruppo, è un momento di coesione importante. Sulla bellissima terrazza che si affaccia sulla foresta ci godiamo una italianissima pasta e fagioli, preparata dallo Chef che questa mattina, assai previdente, aveva messo a bagno i legumi. Poi tonno con patate e carote lesse. Insomma mangiamo come al solito benissimo. La serata si conclude in bellezza con un bel madrasso (le carte trevigiane hanno fatto anche loro 3000 chilometri come noi) che fa risuonare la foresta di betulle di imprecazioni in stretto veneziano. Non so prima di oggi quanti madrassi si siano giocati sopra il Circolo Polare Artico, anche alla faccia di Querini.
A mezzanotte il sole illumina ancora le facce dei giocatori, con Eolo scatenato ad intrattenere i compagni di gioco.
Gli altri si appropinquano alle belle stanze, per una volta ampie e spaziose rispetto le casette dei sette nani che abbiamo abitato nei precedenti giorni. Distendiamo i sacchi-lenzuolo o i sacchi a pelo che ci hanno sempre accompagnato in questi giorni scandinavi. A questo proposito non possiamo non ringraziare il nostro sponsor tecnico Decathlon di Marghera, che ci ha fornito questa attrezzatura utilizzata e anche molto altro equipaggiamento. E pensando a Decathlon e al caro Jacopo, il nostro pensiero va anche a tutte le facce delle persone che hanno creduto nel nostro modesto progetto e che quindi ci hanno aiutato a realizzarlo, dal Casinò di Venezia, al Comune nella figura dell’assessore Sandro Simionato coadiuvato da Gianfranco Della Valle (che ci seguono anche su internet), alla Provincia, alla Regione, l’ASM con il suo presidente Giorgio Nardo, l’Autorità Portuale di Venezia, l’Italsaver, la Canon Italia, Mario Berta battiloro con Marino e Sabrina, Pinarello, Iodonna di Piera e Ivana, Ormenese Costruzioni, la Cassa di Risparmio di Venezia, Biesse, Agv di Nicola Benatelli e infine Sara Sport. Grazie a tutti voi, stiamo godendo molto di questo viaggio, al ritorno ci impegneremo a raccontarvi la nostra esperienza e a farvi partecipi della pedalata.
Il punto tecnico
Strada oggi più impegnativa delle altre giornate, con saliscendi più impegnativi e una salitona che porta al Circolo Polare Artico. Altri strappi sulla costiera del fiordo di Fauste, due lunghe gallerie pericolose.
Storforshei-Fauske km 153, media kmh 24,1, totale complessivo km 3102
TAPPA 19 venerdì 6 luglio 2007 Fauske - Bodo km 75 Media kmh 24,0
VERSO LE LOFOTEN
Siamo sul battello che da Bodo ci porterà a Rost, sede dei festeggiamenti relativi al nostro viaggio sulle tracce di Quercini. Proprio lì, a Rost, si concluse il peregrinare del capitano da mar della Serenissima, e cominciò di conseguenza la lunga e affascinante storia del baccalà in Italia. Questa sera poseremo il piede nei luoghi dove quegli undici poveri marinai superstiti dal naufragio hanno trovato rifugio e salvezza. Pur cercando di evitare la retorica, siamo emozionati.
La tappa di oggi è stata assai particolare, più che una tappa si tratta di una semi-tappa, soli 75 chilometri poiché volevamo arrivare presto a Bodo al fine di prenotare il passaggio in nave: se non ci fosse stato posto avremmo dovuto imbarcarci su quello di sabato mattina e saremmo arrivati fuori tempo massimo per la cerimonia prevista. Da qui la decisione di allungare leggermente le tappe precedenti per poi arrivare presto a Bodo.
Inoltre abbiamo un importantissimo appuntamento con gli amici del Mandrake, la barca a vela che sta giungendo ad ultimare la sua navigazione e a coronare il sogno del suo equipaggio. L’equipaggio di Antonio, Furio e amici è approdato ieri a sera a Bodo e salperà a mezzanotte per giungere attorno alle 11, giusto in tempo per la cerimonia ufficiale. E noi saremo lì con loro.
I pochi chilometri che ci separano dalle sede di tappa neppure li sentiamo stamattina, tanto siamo carichi e tanto la strada è bella e panoramica. Abbiamo abbandonato la E6 e ora ci troviamo sulla statale 80 che costeggia il mare, anzi un profondo e affascinante fiordo che ci accompagna per tutta la strada. Paesaggi di alta montagna a pochi metri dal mare, foreste di abeti e volo do gabbiani in accoppiata che ci lascia interdetti, tutt’intorno vette imbiancate e un cielo terso e l’aria calda, estiva, ma di un estate tutta italiana più che polare. Siamo ancora una volta meravigliati e, soprattutto, molto fortunati. Pedaliamo lentamente ma con il vento a favore ci sembra quasi di galleggiare e ci guardiamo attorno immersi come siamo in questo paesaggio tipico norvegese. Questa costiera è veramente tutta da godere ci sentiamo un gruppo di ciclisti durante la Milano-Sanremo, ripassano davanti ai nostri occhi le immagini viste tante volte in televisione di Arma di Taggia, del Passo del Turchino… ma qui siamo in zona artica e queste immagini non ce le aspettavamo.
In due ore e mezza concludiamo la tappa con enorme piacere e facilità: rispetto alle nostre medie precedenti questa è una formalità, più che di tappa potremmo di fatto parlare di riposo attivo.
E all’arrivo a Bodo, una volta messi in coda per il traghetto, ecco l’incontro sulla banchina del porto con l’equipaggio di Sandrigo. Un abbraccio cordiale e sentito suggella le fatiche di questi ultimi giorni, sublima le difficoltà organizzative che ci siamo confidati nei lunghi mesi invernali quando sembrava tutto ancora difficile da concretizzare. Un bravo di cuore ad Antonio e alla sua perseveranza, che ha creduto nel progetto anche quando non riusciva a “quagliare”. Tutto ciò, e anche molto di più, è sottointeso in questa muta e robusta stretta. Siamo qui, tutti insieme, sulle rive del mare artico, ognuno coi propri progetti in via di realizzazione, tutti contenti e per festeggiare, in anticipo rispetto il momento ufficiale di domani, stappiamo una bottiglia di vino. Ma domani sarà festa grande.
Questo viaggio in battello, durante il quale appaiono anche dei delfini nel blu profondo del mare, si sta concludendo e stiamo per entrare nella patria dello stoccafisso, del cui odore è impregnata la stiva della nave dove sono appoggiati i nostri mezzi. Tra un beccheggio e un altro riecheggiano le grida esasperate di un altro marasso polare. Sembra di essere nella motonave per Burano, con i pendolari impegnati in decine di partite, a volte anche in piedi e con le prese infilate nelle dita delle mani.
Nello spirito di Querini stiamo arrivando.
Il punto tecnico
Percorso splendido, sulla statale numero 80, senza salite ma sempre scenografico lungo un fiordo. Incredibilmente anche oggi nessuna foratura, e sono 4 giorni consecutivi.
Fauske - Bodo km 75, media kmh 24,0 totale complessivo km 3177
TAPPA 19a
Sabato 07 luglio 2007, Sosta
L’ISOLA DI QUERINI
Ieri sera, appena scesi dal traghetto che ci ha sbarcato a Rost, l’isola di Querini, ci siamo subito resi conto di essere in uno di quei luoghi unici al mondo, estremamente particolari. Una comunità piccola, di soli 600 abitanti, i cui interessi economici ruotano esclusivamente attorno ad un elemento, la pesca al merluzzo e la sua successiva lavorazione. Già qualche minuto prima dell’approdo abbiamo sentito folate impregnate del caratteristico odore, che qui è considerato ovviamente il più bell’aroma ma che comunque resta innegabilmente un intenso afrore. Poche case, abbastanza separate l’una dall’altra, una sola strada molto stretta che corre in mezzo all’acqua, una foresta incredibile di pali in legno, i “jeller”, che costituiscono gli essiccatoi utilizzati da gennaio a maggio inoltrato per mummificare il merluzzo e trasformarlo in stoccafisso. Ora sono stati da poco svuotati e si ergono deserti tra le secche e le “barene” create da una marea molto evidente; solo qualcuno presenta ancora qualche esemplare di baccalà, legati a coppie per la coda. Restiamo a bocca aperta davanti a questo spettacolo di mare, di legno, e tutt’attorno un numero incredibile di isolette e scogli, tutti disabitate, dai profili accentuati e vagamente antropomorfi. La roccia cristallina rifrange i raggi del sole, i versanti a piombo sul mare costituiscono motivo di stupore e oggetto di molte delle nostre foto. D’altronde queste montagne sono antichissime, anzi sono tra le più antiche al mondo risalendo a 3,5 miliardi di anni fa e custodiscono dei bellissimi fossili.
Insomma, alle 20.30, al nostro arrivo, penetriamo in un mondo magico, quasi da puffi, se non fossimo già in quello di Biancaneve e i sette nani.
Ma lasciamo la descrizione di questo ambiente alle parole di Pietro Querini che, mutatis mutandis, sono ancora per lo più appropriate anche a quasi cinquecento anni di distanza:
“Erano in detto scoglio abitato d'anime 120, e alla Pasqua 72 si communicorono come catolici fidelissimi e devoti. Non d'altro mantengono la lor vita che del pescare, peroché in quella estrema regione non vi nasce alcun frutto. Tre mesi dell'anno, cioè giugno, luglio e agosto, sempre è giorno né mai tramonta il sole, e ne' mesi oppositi sempre è quasi notte, e sempre hanno la luminaria della luna. Prendono fra l'anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l'una, ch'è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi; l'altra sono passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l'una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e spezie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d'Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e cosí sono buone. E poi nel mese di maggio si partono di quel scoglio con una sua grapparia grandetta, di botte 50, e cargato detto pesce conduconlo in una terra di Norvegia, per miglia oltra mille, chiamata Bergen, dove a quella muda di molte parti vengono navi di portata di botte 300 e 350, cariche di tutte le cose che nascono in Alemagna, Inghilterra, Scoccia e Prusia, dico necessarie al vivere e vestire. E quelli che conducono detto pesce (ch'innumerabil sono le grapparie) lo barattano in cose a lor necessarie, perché com'ho detto niente vi nasce dov'è la lor abitazione; né hanno né maneggiano moneta alcuna, sí che fatti i suoi baratti se ne tornano adrieto, sempre resalvandosi luoco da poter tor delle legne da brucciare per tutto l'anno e altri suoi bisogni.
Questi di detti scogli sono uomini purissimi e di bello aspetto, e cosí le donne sue, e tanta è la loro semplicità che non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo: e questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere medeme dove dormivano mariti e moglie e le loro figliuole alloggiavamo ancora noi, e nel conspetto nostro nudissime si spogliavano quando volevano andar in letto; e avendo per costume di stufarsi il giovedí, si spogliavano a casa e nudissime per il trar d'un balestro andavano a trovar la stufa, mescolandosi con gl'uomini.”
Non si preoccupino le nostre mogli, qui le ragazze e le signore hanno modificato i loro costumi rispetto alle loro antenate dei tempi del Querini, anche se di fatto è provato che gli abitanti di queste isole, proprio per l’intensa attività di quell’inverno 1432 degli undici marinai veneziani, hanno nel DNA parecchi geni mediterranei.
Comunque l’impressione che ricaviamo da queste prime immagini, al di là dei facili accostamenti con le realtà più vicine a noi di comunità chiuse di pescatori, da Burano a Pellestrina agli Alberoni, è quella di un fascino difficile da comunicare.
E troviamo pure il nostro angelo custode, il giovane Olaf, che è l’organizzatore dei festeggiamenti previsti, che ci trova una sistemazione alberghiera in un posto estremamente suggestivo, una specie di campeggio per pescatori di alto mare situato in uno scoglio isolato, popolato da un gruppo di espansivi pescatori svedesi in vacanza per una settimana di pesca d’altura, con i quali solidarizziamo con scambio di beni di prima necessità: pasta italiana, caffé, vino contro un enorme piatto di merluzzo fresco. Risultato: parità, 1 a 1.
Ma oggi è la giornata più intensa, più ricca di soddisfazioni. Olaf infatti, con il suo ottimo italiano appreso durante una sosta per lavoro a Milano di 2 anni, durante la quale ha fatto in tempo a trovarsi una fidanzata italiana, ci procura un passaggio in una barca di pescatori e con un gruppo di altre 15 imbarcazioni creiamo un corteo acqueo per accogliere il Mandrake II e scortarlo fino allo scoglio di Sandoy, l’isolotto dove il nobiluomo veneziano pose il piede.
Neanche a Valencia, a Luna Rossa, è stata riservata un’accoglienza così trionfale e noi, da veneziani e uomini di mare, siamo felici e commossi per i nostri amici vicentini.
Commozione che si accresce quando anche noi approdiamo presso l’isolotto: tra le alghe ci arrampichiamo e in quel momento i miei occhi cadono sulle numerose patelle aggrappate agli scogli, che per giorni sono state l’unico cibo per Querini e i suoi marinai. Un brivido corre lungo la schiena. Risaliti il piccolo colle, posiamo sotto la stele dedicata al nobiluomo veneziano e scattiamo numerose fotografie. Nel frattempo la gente scende dalle barche a frotte e raggiunge la sommità della cima, dove la banda del paese è pronta ad accoglierci. Organizzazione perfetta, tutta sulle spalle di Olaf e di Ermanno Tagliapietra, “Cancellier Grando” della Dogale confraternita del Baccalà Mantecato e grande importatore di stoccafisso.
Sì, perché in questo preciso momento ci raggiungono anche venti membri della confraternita veneziana, capitanati da doge e dogaressa Caprioglio, che ci salutano ed abbracciano. In questa sperduta isoletta disabitata delle Lofoten risuona oggi l’Inno di Mameli, cantato da una bravissima soprano locale, cui subito dopo fa eco l’inno norvegese cantato da tutti i presenti biondi e con gli occhi azzurri. Garriscono al vento bandiere italiane, di San Marco, di Rost e della Norvegia, un vento violentissimo che ci ha costretto a vestirci da pinguini abbandonando il nostro ormai consueto abbigliamento estivo. Vento teso da Nord, non promette niente di buono per noi che proprio a Nord dobbiamo andare! La cerimonia à intensa, sentita, sincera e si conclude con un banchetto sul prato a base di merluzzo fresco e di balena (!) affumicata: proviamo anche questa, un po’ salata ma assai interessante. E tra un boccone e l’altro troviamo anche il tempo di dedicare a Pietro Querini il nostro Inno di San Marco, sotto gli occhi divertiti e partecipi di Michele Vianello, il vicesindaco di Venezia.
Ci abbracciamo nuovamente con Antonio e con Furio, le due anime dell’equipaggio vicentino, che sentiamo particolarmente vicini a noi: comprendiamo la loro soddisfazione per aver raggiunto il proprio obiettivo ambizioso, circa 5000 miglia di mari difficili e a volte anche tempestosi. Colgo con la coda dell’occhio un abbraccio fraterno tra i due davanti alla stele queriniana, a sugello del raggiungimento della loro impresa. Siamo felici per loro, e anche per noi, per le emozioni ricevute oggi per aver calcato queste terre. Un altro momento basilare del nostro viaggio è scoccato, resta ancora il gemellaggio tra Venezia e l’isoletta di Veroy, che avverrà martedì 10, e quindi il nostro arrivo trionfale (si spera) a Capo Nord. Ma mancano ancora 1000 chilometri e 7 tappe non dobbiamo né vogliamo cantare vittoria troppo presto. Anzi, viviamo alla giornata e intanto ci godiamo quella straordinaria di oggi.
Giornata che si conclude con una grande festa al Querini Restaurant e Pub, dove viene organizzata una grande cena in onore dell’imbarcazione italiana e per festeggiare il ventennale della Venerabile Confraternita del Baccalà ala vicentina di Sandrigo, qui rappresentata da due suoi dirigenti. Abbiamo l’opportunità di mangiare ancora un’ottima balena, servita a mo’ di carpaccio e una buona quantità di onnipresente merluzzo. Oltre 100 le persone presenti, direi quasi tutto il paese esclusi anziani e bambini, poi la serata si conclude alla norvegese, con molti dei locali impegnati a bere birre e superalcolici al suono di un’orchestrina: all’1 e 30 noi ce ne andiamo via e torniamo ai nostri sacchi a pelo, mentre la festa impazza.
Domani ci sarà un’altra festa in nostro onore alle 15: continuano gli ozi di Capua. D’altronde abbiamo da rispettare questi impegni istituzionali e poi è anche un nostro piacere conoscere questa comunità, anche se troppe soste possono intorpidire le membra e fiaccare lo spirito: le nostre gambe già scalpitano pronte a menare i pedali, ma dobbiamo stringere il morso al nostro cavallo d’acciaio. C’è ancora da aspettare il gemellaggio di martedì.
Domenica 08 luglio, Sosta
UN TUFFO CARPIATO
Le isole Lofoten meritano indubbiamente una sosta approfondita: Rost è un arcipelago di 356 scogli, isolette, isolotti popolati da immense colonie di uccelli. È un paradiso per i naturalisti con decine e decine di specie di animali diversi, dalla pulcinella di mare, qui quasi un simbolo cittadino, all’aquila di mare, all’aquila di montagna, al gabbiano reale, la gazza marina, il cormorano e anche volpe, ermellino, capra selvatica e infine foca, balena e orca.
Il tocco in più lo danno le rorbuer, i capanni in legno utilizzati dai pescatori durante la loro intensissima battuta di pesca invernale, che richiama sull’isola più di 2000 persone impiegate quasi a ciclo continuo 20 ore al giorno per smaltire l’enorme lavoro; d’estate sono affittate ai turistiche sempre più numerosi si affacciano su questo piccolo paradiso, che ha ancora al momento poca capacità ricettiva. Guardiamo affascinati questi scogli ricoperti di flora tipica del mare e della montagna: foreste di betulle, poi conifere e sorbo selvatico.
Ormai in isola tutti ci riconoscono, siamo i Syclisten, o qualcosa del genere e noi rispondiamo con affetto, quasi quasi ci sentiamo importanti e famosi. Alla televisione scorrono le immagini della prima tappa, anzi del prologo del Tour de France, e i pescatori svedesi nostri compagni di alloggio ci chiedono se anche noi abbiamo fatto questo tipo di gare: niente di più distante da noi, che andiamo a zonzo per l’Europa col naso all’insù per goderci questi ambienti. Noi siamo giunti ormai alla vera essenza della Norvegia settentrionale e cerchiamo di tenere tutti i cinque sensi allertati per captare più sensazioni possibile.
Oggi siamo da soli, i veneziani ieri sera sono tornati in aereo a Bodo, e noi restiamo qui a vedere l’isola. Un nutrito gruppo, oggi è domenica, si reca in chiesa ad assistere alla messa cantata dalla simpaticissima soprano che si è esibita ieri sia nell’isolotto di Querini che durante la cena. Oggi dà il meglio di sé nella campata della piccola chiesetta parrocchiale che amplifica i suoi acuti di un’Ave Maria di Schubert da brividi.
Dino e Alberto si concentrano sui computer per salvare le numerosissime fotografie scattate in questi giorni, grazie anche al contributo della Canon che ci ha fornito due macchine digitali; altri si dedicano alla manutenzione della bicicletta.
Nel pomeriggio altra festa grande, di tutto il paese, più partecipata e popolare di quella di ieri sera, che era probabilmente un po’ più elitaria: oggi invece è più sagra, siamo tutti seduti su panche in un grande capannone addobbato con bandiere italiane e norvegesi.
Sfilano i bambini vestiti in costume, tipo recita scolastica, musica, suoni, ancora la nostra amica soprano che si esibisce in romanze e canzoni di Bocelli, premiazioni dell’equipaggio della barca, premiazioni per noi, assaggi di baccalà, tranci di balena fresca (la Norvegia è l’unico paese al mondo che ancora pesca questi cetacei, pur con rigidi protocolli e numero di esemplari limitato e prestabilito) dal vago sapore di fegato.
Ci commuove molto il regalo che riceviamo, una bella tazza personalizzata, che riporta gli estremi del nostro viaggio “Venezia-Caponord, sulle tracce di Pietro Querini” poi sosta a Rost e il nome e cognome di ognuno di noi. Sapremo in seguito che questi manufatti sono stati realizzati la notte prima da un artigiano dell’isola che pur di consegnare il regalo ha lavorato fino all’alba.
Restiamo nuovamente stupefatti e colpiti dall’amicizia e dalla solidarietà ricevuta in questi due giorni intensi di permanenza nell’isola, amicizia certamente consolidata dalla ventennale frequentazione con gli amici della Confraternita del Baccalà vicentino, ma che si è rinnovata e ispessita anche con noi.
Siamo in attesa di imbarcarci per Moskenes, partenza col traghetto alle 20.30 e inganniamo il tempo con un ulteriore saluto agli amici della barca: arriviamo in bici fino al loro molo per stappare in intimità una bottiglia tra noi, i due equipaggi.
Giungiamo al molo, appoggiamo le bici chi qua chi là, Paolo trova un sostegno proprio sulla riva del mare, si gira, sfiora involontariamente il manubrio e la sua bicicletta, anzi il suo muletto, spicca il volo. Con grazia e maestria compie un’evoluzione aerea e si infila con un tuffo carpiato tra banchina e Mandrake, senza sfiorare né l’una né l’altra. Il tutto tra gli occhi divertiti e allibiti dei presenti. “Paperissima” viene evocata più volte tra le risate ma anche la preoccupazione di noi ciclisti. Tutto pensavamo ma non di immergere con un rito sciamanico la bici nelle acque del mare che stiamo visitando. Paolo è visibilmente stupefatto e anche turbato: dopo aver rotto per strada il suo cavallo d’acciaio – pardon, d’alluminio – ora si trova col muletto annegato a una quindicina di metri di profondità, ancora visibile ma distante. Si organizza subito una pesca miracolosa: queste acque che vedono issare in barca milioni di esemplari di merluzzo non possono non restituire il nostro mezzo: con un’ancora tentiamo di arpionare la nostra balena a due ruote. Prova una volta, prova due, tocchiamo il manubrio che però non resta impigliato: passano 10, 20 minuti, Paolo è sempre più preoccupato e noi con lui: l’ennesimo colpo di àncora affonda definitivamente la bici che scompare ai nostri occhi. Silenzio in barca e sulla banchina. Ma non si desiste nei tentativi e dopo altri 10 minuti di sforzi alla cieca sentiamo tirare la lenza: la pesca miracolosa sta avvenendo e quando la ruota anteriore emerge dall’acqua si scioglie la tensione con un lungo applauso.
Brindiamo al nostro viaggio, ora nuovamente possibile tutti e sette, e poco dopo salpiamo col traghetto. Ci mancava anche questa emozione a rendere indimenticabile questa giornata di riposo e di piacere.
Lunedì 09 luglio, Sosta
TERRE EMERSE
Siamo a Reine, piccolo borgo di pescatori situato lungo un fiordo e circondato da vette e guglie aguzze. È un paese da favola, sembra di essere nel paese delle Terre di Mezzo, ci si aspetta di veder spuntare all’improvviso il Signore degli Anelli, aggrappati sui fianchi delle montagne appaiono dei piccoli nevai incastrati nelle insenature ancora in ombra, a un’altitudine di 200 metri al massimo. Stranissimo.
Il nostro alloggio qui a Reine è straordinario, siamo ospiti a casa di Hartvig Sverdrup, titolare del più antico stabilimento di lavorazione del merluzzo a Reine, che ci mette a disposizione la dependance della sua abitazione, circondata da un giardino curatissimo all’inglese, dove trionfano tutti i colori dell’arcobaleno. Siamo in un alloggio lussuoso e comodissimo, in linea con l’accoglienza strepitosa delle Lofoten. La mattina alcuni di noi si dedicano ai lavori necessari per il gruppo (pulizia bici, masterizzazione dei CD con le foto etc…) altri si concedono una sgambata per mantenersi in forma e scattare qualche bella foto.
A pranzo ci rechiamo assieme a tutti gli amici della Confraternita del Baccalà mantecato in un bel ristorante sempre di Sverdrup, dove abbiamo assaggiato un buon baccalà alla genovese. Nel pomeriggio invece visitiamo il Museo dello Stoccafisso di A, la città col nome più breve al mondo, che per noi ha un sapore particolare perché fin dal primo giorno in cui abbiamo concepito il viaggio abbiamo individuato questo Museo come un luogo importante per noi dove rendere omaggio alla figura del Querini. La piccola esposizione è curiosa, con presentazione dei principali attrezzi di lavoro, oggetti vari, filmati e un proprietario – il signor Steinar Larsen – molto divertente che parla bene l’italiano e ci stuzzica con qualche simpatica provocazione. Alla fine contraccambia la consegna del nostro gagliardetto del Pedale Veneziano con un esemplare di stoccafisso che batte con una scure (…li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi…) sotto i nostri occhi, poi lo sfilaccia e ce lo porge in dono: gustiamo il baccalà crudo, che ancora ci mancava.
C’è anche il tempo per un tuffo nel mare gelido che solo Eolo e Dotto hanno avuto il coraggio di effettuare.
La sera siamo ospiti ancora una volta della Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato che ci confonde per tanta premura: siamo nel tavolo d’onore, assieme al Doge Caprioglio, al vicesindaco Vianello e altre personalità. Alla fine dell’ottima cena siamo chiamati uno ad uno e ci viene consegnata la spilla di adesione, in qualità di soci onorari, alla Confraternita del baccalà Mantecato. Bellissima sorpresa, grande onore, preziosa la spilla d’argento che rappresenta un baccalà con tanto di corno dogale. La serata continua in allegria con canzoni veneziane che rimbombano nello spettacolare fiordo di Reine. Siamo molto emozionati e contenti, si è creato un bel clima di amicizia e di solidarietà, di spontanea cordialità, tra ciclisti e Confraternita ormai si è instaurato un rapporto che, costruito all’inizio su una viscerale e reciproca simpatia, si è mano a mano consolidato in queste ore fino a diventare saldo. Ne siamo convinti.
Biancaneve, con la sua capacità comunicativa, comincia un personale show che lo fa apprezzare da tutti, strappa risate a crepapelle fino alle lacrime. Unico. Insostituibile.
Martedì 10 luglio, Sosta
GEMELLATI!
Siamo gemellati culturalmente con l’isola di Veroi: oggi finalmente è avvenuto questo rito che si è consumato alla norvegese, un po’ sotto traccia, senza eccessivi formalismi. Strano e simpatico popolo questo norvegese, bada al sodo, è pratico, non ama i fronzoli, a volte al limite della ruvidità, il contatto con la natura selvaggia lo ha evidentemente forgiato e abituato alla semplicità. Eppure coloro i quali abbiamo incontrato in questi giorni tutto si possono definire tranne che persone con limitate risorse economiche: esportatori di merluzzo che movimentano milioni di euro, proprietari di petroliere, comandanti di bastimenti, titolari di fabbriche ed industrie, eppure tutti accomunati da uno stile di vita apparentemente modesto, non certo scandito da abiti firmati, gioielli costosi o da automobili status-symbol. Tutto ciò piace, ci sentiamo a nostro agio.
Oggi ennesimo traghetto che ci porta da Moskenes alla sede del nostro gemellaggio, Veroi. Qui, e siamo tutta la comitiva dei veneziani assieme ai rappresentanti della Confraternita di Sandrigo, Otello Fabris e Lina Tomedi, e della locale Pro Loco, il simpatico Adolfo, ci accoglie il massiccio sindaco di Veroi. E comincia la bagarre, soprattutto per noi ciclisti: convinti che tutto si svolga nei pressi del traghetto siamo venuti sì vestiti da ciclisti ma con le scarpe da ginnastica per sentirci più liberi durante la lunga giornata. Scesi dal ferry apprendiamo che la colazione ci sarà servita a 8 chilometri di distanza, con un piccolo passo da scalare e quindi ci apprestiamo a visitare quest’isola selvaggia, con montagne aguzze e sassose, popolate da colonie di uccelli, aquile di mare e soprattutto di Pulcinelle di mare, il simbolo dell’isola. È nettamente diversa da Rost, forse meno suggestiva, ma più selvaggia. Pedalata sotto un cielo che oggi è di un grigio acciaio, dopo sette giorni miracolosi di cobalto e corriamo a fianco di spiaggette con sabbia candida, lambite da queste acque apparentemente innocue e tranquille ma che nascondono dei gorghi improvvisi e malandrini, i famosi maelstrom che hanno ispirato Jules Verne per le sue “Ventimila leghe sotto i mari” e Edgar Allan Poe per la sua “Discesa nel maelstrom”. Questo mare profondo oggi sembra tranquillo ma, si sa, l’apparenza inganna.
A pranzo, sempre in stile informale, tutto il paese in piazza sfila accanto a noi e assieme mangiamo all’aperto, in stile sagra paesana, un piatto di immancabile merluzzo e l’altrettanto frequente, solo in questo periodo per noi, balena, servita a tranci grigliati. Molto apprezzati.
E il pomeriggio il mare dei temibili maelstrom si offre a noi nella sua versione più tranquilla durante una splendida escursione offerta dal sindaco su un gommone veloce a visitare isolotti lontani per vedere le colonie di Pulcinelle di mare, con la speranza di avvistare pure le Aquile di mare e qualche esemplare di un volatile simile al pinguino. Entriamo nel gommone vestiti come degli astronauti, ricoperti di una enorme tuta termica arancione per ripararci da eventuali schizzi: e durante l’opera di vestizione di Biancaneve, aiutato da tre dei sette nani per farlo entrare nel tutone, avviene il fattaccio: sbagliamo verso e la nostra fatina si trova insaccata al contrario a mo’ di camicia di forza. Risate a crepapelle e improvvisamente cambiamo favola: da Biancaneve a Cappuccetto Rosso.
Bellissima l’escursione, durante la quale entriamo nel mondo della natura più selvaggia: restiamo storditi dal rumore dei richiami dei gabbiani, a migliaia, delle pulcinelle di mare col loro caratteristico volo radente e col frenetico battito di ali. Abbiamo pure la fortuna di ammirare un’imponente aquila dapprima appollaiata su una roccia e poi che spicca il volo e se ne va. Bei momenti.
Alle 18:30 ecco la cena, questa volta più intima e al coperto in un grande ambiente comune, dotato di palco. Menù: merluzzo e balena, anche se con diverse ricette rispetto le giornate precedenti. Dopo la cena si mettono le basi per il gemellaggio con discorso del sindaco di Veroi e del vicesindaco di Venezia Michele Vianello, del Doge Giovanni Caprioglio e del nostro presidente Franco Angiolin: scambi di doni, consegniamo il nostro piatto di Murano con gli estremi del nostro viaggio, quindi un possente Inno di Venezia, senza falsa modestia particolarmente riuscito, chiude la festa.
Domani si riparte in bici.
TAPPA 20 mercoledì 11 luglio 2007 Reine-Sortland km 205 Media kmh 23,3
TERRE IMMERSE
Se i giorni precedenti queste isole ci ha dato l’impressione di essere delle terre emerse dalle acque cristalline, oggi sono delle terre immerse in un latte vischioso, cielo basso a sfiorare il mare plumbeo e immoto. Brandelli di nuvole si agitano sopra di noi, una pioggia sottile ma insistente accoglie le nostre prime pedalate mattutine.
Ebbene, oggi abbiamo dovuto rinunciare ad una simpatica follia: nei giorni precedenti di riposo, avevamo deciso (dati gli strani orari dei battelli che ci avrebbero fatto ritornare da Veroi a Reine a mezzanotte e mezza) che avremmo approfittato della situazione contingente e piuttosto che tornare tardi e alzarsi presto, cioè dormire poco o niente, avremmo affrontato una tappa in notturna per goderci il sole di mezzanotte. Cioè pedalare fino a mezzogiorno circa e poi andare a dormire: quando mai avremmo avuto un’altra possibilità di pedalare la notte senza l’uso di illuminazione?
Ma abbiamo fatto i conti senza l’oste, cioè il tempo che dopo sette giorni straordinari ha deciso di offrirci una giornata di pioggia, anzi una nottata di pioggia ininterrotta. Situazione difficile al rientro da Veroi: abbiamo già abbandonato la nostra abitazione, lasciato i letti con l’intenzione di pedalare la notte e ora, a mezzanotte, sta piovendo a dirotto. I nostri amici veneziani della Confraternita già erano preoccupati per la scelta di questi pazzi di pedalare tutta la notte (dopo un’intera giornata di festeggiamenti) ma ora lo sono ancor di più quando abbiamo manifestato l’intenzione di perseverare nel nostro progetto nonostante il tempo da lupi.
Ermanno Tagliapietra, il nostro eccellente tramite presso Hartvig Sverdrup, con cui è legato da rapporti commerciali e di amicizia, insiste per tornare presso la nostra abitazione precedente insistendo sulla disponibilità del suo amico, che comunque non avremo fatto in tempo ad avvisare. Morale: alle una di notte sotto una pioggia fastidiosa, ci rechiamo in casa di persone che tutto pensano fuorché di ospitare per una terza notte 8 ciclisti. Incredibile a dirsi, troviamo aggirarsi sotto la pioggia in vestaglia per il giardino la signora Sverdrup, in perfetto stile norvegese sotto traccia. Le spieghiamo brevemente la situazione, e lei, con estrema naturalezza, fa accomodare noi otto ciclisti bagnati nella sua bella casa appena pulita.
Così alle 6 e mezza della mattina ci alziamo per effettuare la tappa e ci accorgiamo che la pioggia sta scendendo a catinelle. Non importa, ormai niente ci può fermare e alle 7.15 siamo in sella, vestiti da inverno, imbottiti come dei pinguini grassi, con giubbino wind-stopper, due giacche a vento, guanti e cappello invernali, copriscarpe anti-pioggia etc…
E la situazione non è certo l’ideale perché dopo 4 giorni di soste e stravizi dobbiamo tornare in movimento: i muscoli hanno subito un eccessivo rilassamento e rientrare nella giusta tensione emotiva e muscolare non sarà certo facile.
Anche per i ciclisti professionisti il primo giorno di ripresa dopo il giorno di riposo è molto delicato, figurarsi per noi. E figurarsi con le gambe fredde e bagnate dalla pioggia, poi.
Lo spettacolo che ci regala queste isole, nonostante il tempo, è indimenticabile: fiordi che sembrano laghi, specchi d’acqua ovunque, montagne innevate riflesse, casette, cimiteri affacciati sulle calme acque a suggellare una convivenza di questo popolo con l’elemento marino che continua anche ben oltre la morte. Tremiamo dal freddo, all’inizio, e ci rendiamo subito conto che, se avessimo effettuato questa tappa di notte e col bel tempo, sarebbe stato sicuramente il percorso più suggestivo della nostra vita. Ma con i se e con i ma non si fa la storia e noi invece continuiamo imperterriti su queste isole, collegate tra di loro con moltissimi ponti, ad unica campata, una decina di piloni e uno spazio centrale per far passare le imbarcazioni più alte; sia la salita che la discesa sono molto accentuate e ogni volta c’è un po’ da soffrire. E questi archi caratterizzano il paesaggio, già di per sé stranissimo ed affascinante, con tutta quest’acqua, a destra e a sinistra: sembrano laghetti di montagna, incorniciati da vette innevate, acqua limpida e calma, ma invece ci sono i gabbiani e i pescherecci. Con l’andare del tempo ci abituiamo alla pioggia, che a dire il vero non è mai tanto battente e fastidiosa al punto tale da pensare che è vero che col sole queste isole sarebbero state un paradiso, ma forse ce le godiamo ancor di più con questo clima che ci sembra più tipicamente norvegese. Effettivamente il clima mediterraneo di questi giorni ci ha molto favorito, ma ogni piatto va gustato col giusto abbinamento di vino e ogni nazione visitata nel clima più consono: la Norvegia richiama più il freddo che il caldo e oggi è una giornata norvegese. Siamo giunti perfino a questo punto: a non avere paura della pioggia!
Qualcuno di noi di mattina, vuoi per il freddo vuoi per i quattro giorni di riposo, accusa qualche piccolo crampo ma poi col tempo passa. E col tempo anche il cielo migliora: comincia ad essere meno chiuso e il grigio scuro lascia spazio a nuvole più bianche. Alberto fora ancora sotto la pioggia (terza foratura personale) ma poco dopo, verso mezzogiorno, l’asfalto si asciuga e piano piano le cipolle cominciano a togliersi gli strati: dapprima una giacca vento, poi la seconda, quindi anche il wind-stopper, successivamente anche i bracciali. Risultato: finiamo la tappa in maniche corte, incredibile rispetto all’inizio polare della giornata.
Ci restano impressi, di questa giornata, i piccoli villaggi delle Lofoten, che abbiamo attraversato di mattina, sull’unica strada, la E 10, pomposamente chiamata la Strada di Re Olaf, che congiunge A con Narvik: ebbene questi villaggi sono veramente quattro case e, ogni tanto ma non sempre, una chiesa. Comunque sempre un cimitero, spessissimo con vista sul mare.
Alle 16 ci imbarchiamo in un traghetto a Fiskebol e lasciamo le Lofoten per posare i nostri copertoncini sul successivo arcipelago di isole, Vesteralen. A Melbu sbarchiamo e invece di trovarci un bel campeggio, decidiamo che siamo forti (già fatti 160 chilometri) e continuiamo fino al successivo, Stokmarknes, una piccola cittadina nota per essere la sede della linea dei famosi traghetti postali Hurtigrute. Altri 15 chilometri: eccitati li facciamo volentieri e di buona lena per scoprire che il campeggio apre alle 20:00. Ma con le gambe incrostate di fango e la voglia di una doccia calda non ha senso aspettare due ore quindi, ecco altri 25 chilometri: la tappa non finisce mai ma ci sentiamo dei leoni. È proprio vero che le condizioni estreme ci esaltano. Alla fine, al campeggio di Sortland, il contachilometri segna ben 205 km e li festeggiamo concedendoci il lusso di un super-bungalow da 8, in legno con stanze da due, veramente confortevole e accogliente. Ce lo siamo meritato e lo chef ci scodella un’ottima minestra di patate.
Il punto tecnico
Percorso splendido, sempre sulla strada E 10, su strada stretta che d’estate però è abbastanza trafficata. La pioggia e le nuvole basse hanno impedito il pieno godimento delle Lofoten.
Foratura di Alberto sotto la pioggia, magnifiche le stradine, con asfalto decente.
Da aggiungere al totale complessivo anche i 72 chilometri accumulati nei giorni di riposo.
Reine-Sortland km 205, media kmh 23,3 totale complessivo km 3454
TAPPA 21 giovedì 12 luglio 2007 Sortland-Fossbakken km 195 Media kmh 23,5
ABBANDONIAMO LE ISOLE
Alla partenza da Sortland ci facciamo subito come aperitivo un ampio ponte che ci fa passare su un’altra isola, anch’essa circondata da fiordi profondi e affascinanti. Giornata calda, maniche corte fin dalle 8 della mattina, clima assolutamente non polare: la fortuna continua ad assisterci. Subito dopo il ponte decidiamo di fare una variante (oggi sarà la giornata delle varianti, e tutte vincenti, grazie all’intuito del nostro cartografo Piero) per evitare una lunga galleria sulla E 10 e ci infiliamo in una graziosa stradina che costeggia un fiordo e passa per piccoli centri e molte case di villeggiatura. Atmosfera rilassata, grande clima, paesaggi da favola, sempre questa acqua che non si capisce bene se sia dolce o salata, lago o fiordo. Poi guardi bene e vedi un peschereccio, senti i richiami dei gabbiani, noti le grandi ceste delle colture ittiche e capisci che siamo in mare, ma un mare che si incastra per chilometri nelle montagne e nelle campagne norvegesi. Siamo ancora sulla stradina, in salita, quando si profila davanti a noi una sagoma indefinita: mano a mano che ci avviciniamo distinguiamo una bici, un carretto e un’enorme barba bianca da profeta. È un anziano ciclista austriaco che col suo carrettino sta compiendo il suo personale pellegrinaggio verso Capo Nord; il tempo per un cordiale saluto e un incoraggiamento e lo lasciamo alle prese con la pendenza.
Ci immettiamo di nuovo sulla E 10, sempre la strada di Re Olaf, che seguiremo per un altro centinaio di chilometri. Si passa da un fiordo e l’altro, la neve sui monti sovrastanti è sempre più estesa, forma dei nevai abbondanti ed evidenti. Siamo carichi e contenti, spesso dal gruppo si alza il coro, sull’aria di Bandiera Rossa, “No ghe xe ostreghe ne canestrei, semo i più bei, semo i più bei, no ghe xe ostreghe ne canestrei, semo i più bei… fin Capo Nord”. Goliardia allo stato puro.
Il percorso oggi è impegnativo, con continui saliscendi abbastanza accentuati che mettono a dura prova i nostri polpacci ma li affrontiamo con l’audacia di chi ormai sente l’odore della fine. C’è da dire che quando studiavamo il percorso, mesi addietro, eravamo convinti che ci saremmo trovati di fronte ad un percorso altamente impegnativo dal punto di vista altimetrico, anche secondo le numerose testimonianza raccolte. E invece, come spesso avviene, la nostra diretta esperienza ci ha fatto ridimensionare tutte le nostre paure. Del resto spesso avviene proprio così: tutti ti mettono sull’avviso, ti dicono di stare attento alle strade, alle salite, al fatto che in Norvegia non ti fanno entrare con i generi alimentari, che i campeggi chiudono presto, che non si può portare vino se non in quantità limitatissima, che le bombole del gas hanno bisogno di una valvola speciale, norvegese, che ci sono miliardi di zanzare anche sulla costa e non solo all’interno. Evidentemente tutte fole, leggende metropolitane che non hanno niente a che vedere con la realtà. Resta il fatto che siamo sempre più convinti che la durezza del percorso sia assolutamente determinata dalle condizioni atmosferiche: in caso di pioggia battente qui tutto diventa difficile, anzi un vero e proprio dramma.
Uno dei problemi che maggiormente abbiamo sofferto è stato quello del collegamento ad internet: contrariamente a quanto non si possa pensare qui in Norvegia non è facilissimo trovare dei luoghi dove collegarsi e questo incide pesantemente sul nostro rapporto quotidiano con i nostri amici e i nostri cari che ci seguono nel sito. Approfittiamo di questa occasione per scusarci se non riusciamo ad aggiornare ogni giorno il nostro sito ma possiamo farlo solo ogni due o tre, quando ci va bene e troviamo un’anima gentile che ci dà la possibilità di collegarci, o un rarissimo internet cafè.
Oggi è il nostro giorno fortunato perché a mezzogiorno vediamo l’insegna di una biblioteca comunale in un paesino sperduto ai bordi di un fiordo nell’isole isole Vesteralen e proviamo a chiedere se c’è un collegamento internet (seguendo i consigli della guida Lonely Planet). Ci accoglie la preside della scuola elementare e media che ospita la biblioteca e ci accoglie con un sorriso disarmante. È una signora di mezza età, con i capelli candidi e una cordialità innata: ci fa accomodare nella presidenza e ci mette a disposizione il suo computer. Riusciamo ad inviare finalmente due diari arretrati e le relative fotografie e questo ci fa rilassare; nel frattempo la simpatica preside ci racconta del suo paesino, in cui si trova bene perché fa una vita a contatto con la natura, tutta passeggiate e sci da fondo. Quindi ci offre un buon te, delle fette di torta e dei cioccolatini, proprio come una vecchia e premurosa zia. Ci informiamo sulla durata delle vacanze scolastiche (22 giugno-20 agosto) e di tante altre cose relative alla vita del villaggio, alle condizioni delle strade d’inverno (tutte ricoperte di neve o di ghiaccio); insomma uniamo l’utile al dilettevole e oltre a spedire la mail al nostro Marco, vero e proprio ottavo nano a casa, riusciamo a stabilire un prezioso contatto con una persona locale. In effetti, col fatto che siamo in 8 e siamo autosufficienti, nel senso che ogni sera mangiamo in campeggio tra di noi, nelle nostre casette, i contatti con gli esterni, che pure avvengono, sono nel complesso abbastanza limitati. Quello odierno è stato veramente interessante e culminato per di più in un bel regalo che la preside ha fatto a Mario: una tazza da te personalizzata con le insegne della scuola, a ricordo dell’incontro. Mario è entusiasta: la conserverà religiosamente. Intanto se la infila nel tascone della maglia e in tre, lo stesso Mario, Dino e Alberto, raggiungono gli altri e Biancaneve-Gusso che nel frattempo ha approntato l’ennesima e grande pastasciutta, questa volta una matriciana, senza cipolle e con abbondante peperoncino. Apprezzatissima.
Poco prima della sosta pranzo attraversiamo un’enorme ponte che collega le Vesteralen alla terraferma e quindi, dopo la pasta, abbandoniamo nuovamente la E 10 per una deviazione decisa su due piedi da Piero e che si dimostrerà felicissima: una stradina abbastanza ondulata ma molto panoramica, sempre su fiordo, senza traffico e con vista diretta su paesaggi tipici norvegesi. Una meraviglia.
Sul ciglio della strada appaiono sempre più numerosi tappeti di fiori color fucsia dall’alto stelo, che ormai ci seguono da tutta la Norvegia; ma in questi ultimi giorni sono molto più appariscenti, dal colore più fresco, umido, affascinante. Sono a morbidi tappeti lungo la strada e cerchiamo anche qualche inquadratura particolare del gruppo che passa in fila indiana.
La stradina secondaria, la 825, è stretta, bella, con un asfalto segnato dalle avversità atmosferiche: neve e ghiaccio ne intaccano il manto stradale e bisogna stare attenti a non cadere. La cosa più strana è la presenza di profondi graffi sul bordo della strada, che sembrano provocati dalle unghie di un enorme animale preistorico conservato sotto il ghiaccio.
La tappa si fa lunga e al km 180 finalmente, dopo una settimana, ritroviamo la E6, la lunghissima arteria che attraversa tutta la Norvegia da Sud a Nord. Si ripresenta a noi sotto forma di salita, non durissima ma impegnativa. Scolliniamo e subito dopo troviamo un camping: sono le 19, ci meritiamo un corroborante gelato e in quel mentre ci giunge una telefonata. Sono Antonio – con Luciana – e Furio, gli ideatori del viaggio in barca a vela, che hanno noleggiato una macchina, sono arrivati fino a Capo Nord ed ora sono a due passi da noi. È proprio vero che il mondo è piccolo. Ci raggiungono per un abbraccio e una chiacchierata: abbiamo la certezza di aver trovato dei nuovi e cari amici. Le nostre reciproche imprese, se così si vogliono chiamare, ci hanno uniti per sempre. Bello. Dopo una ventina di minuti ci salutano e ripartono: li aspettano altri 500 chilometri per giungere a Bodo. A noi invece aspetta solo una bella e meritata doccia.
Il punto tecnico
Abbandoniamo un paio di volte la E 10, e seguiamo due stradine secondarie, entrambe molto belle. Anche oggi è la giornata dei ponti e quello che ci fa abbandonare le isole Vesteralen per tornare sulla terraferma è veramente imponente. Altra foratura di Alberto, che passa in testa alla classifica.
Sortland-Fossbakken km 195, Media kmh 23,5 totale complessivo km 3649
TAPPA 22 venerdì 13 luglio 2007 Fossbakken-Skybotn km 168 Media kmh 25,3
GAMBERI A “MARENDA”
Un cielo di tutti i colori, dal nero, all’azzurro, al dorato, al rosa intenso, pennellato dal vento, ci appare dalle finestre dei nostri bungalow. Siamo alla fine di una tappa che ci appare, alla fine del nostro viaggio, molto breve: “solo” 168 chilometri! Il vento è stato protagonista oggi, nel bene e nel male. Nel bene perché soffiando ha fatto in modo che le nuvole non si addensassero e quindi non piovesse, nel male quando si è messo, per una ventina di chilometri, ostinatamente contro di noi e qualche volta invece ci ha fatto ondeggiare paurosamente spingendo di traverso.
Oggi il toboga di asfalto ha continuato ad impennarsi e a sprofondare di continuo in un mare di foreste. Siamo nella regione di Troms, la cui capitale è Tromso, il più importante centro della Norvegia artica. Corriamo tra distese di betulle all’interno di un bel Parco nazionale; la E6 – che ritroviamo dopo le Lofoten – è nettamente meno frequentata, anche i camion che prima erano invasivi si contano con le dita di una mano. Ci sentiamo i padroni della strada, ci sentiamo padroni della Norvegia e fieri del nostro viaggio che ci ha portato fin qui, a oltre 3500 chilometri da casa. E pensando a casa qualcuno tra noi si oscura in volto: molti, troppi giorni distanti dalle proprie famiglie creano nostalgia e desiderio. Alberto oggi è rabbuiato poiché ha avuto poco confortanti notizia da casa: il figlio Fausto è a letto con un febbrone da cavallo di origine sconosciuta, probabilmente una banalissima infreddatura ma la distanza e l’impotenza amplificano i timori. Viso tirato nel gruppo.
Le gambe girano che è un piacere, anche se sono sottoposte a uno stress non indifferente dalla strada panoramica ma cattiva. Ci accorgiamo di star per giungere nella terra dei Sami, i lapponi, e oggi vediamo i primi accampamenti, a dire il vero ancora ad esclusivo uso turistico.
Giungiamo in riva all’ennesimo fiordo, quello che giunge proprio a Tromso e proprio in riva alle acque salate consumiamo la nostra pasta, oggi al pomodorino fresco e origano. Sapori di casa. Certo che dopo un’indigestione di merluzzo e di balena, ora torniamo a i nostri gusti di casa. Il che non è propriamente il massimo in assoluto per dei viaggiatori curiosi, perché il cibo è una delle espressioni massime culturali di un popolo e per avvicinarcisi e capirlo è uno dei momenti migliori. Ma per dei ciclisti i carboidrati sono la manna, la benzina, la vita e i ritmi che stiamo sostenendo sarebbero difficili da tenere senza un’alimentazione adeguata come quella che ci prepara la nostra indispensabile Biancaneve.
Indispensabile sempre ma oggi ancor di più perché con un colpo di mano ci fa una sorpresa che diventerà il leit-motiv della giornata. Alle 15.30, mentre pedaliamo lungo un bel falsopiano in riva ad un altro fiordo, ci sorpassa, inchioda, ci ferma, ci costringe a smontare e ci fa accomodare su un bel tavolo da pic-nic di legno in riva al fiordo e con picchi innevati attorno a noi. Paesaggio da favola, evidentemente quella dei Sette Nani. E, con un colpo da maestro, estrae dal furgone un grande sacchetto. Lo apriamo curiosi e scopriamo che contiene due chili di gamberi freschi, appena pescati, comprati 5 minuti prima da un pescatore. Insomma, la dolcezza, la freschezza, l’aroma del mare sono tutti concentrati qui. Una “merenda” in piena regola, con tanto di bottiglia di vino bianco estratta per l’occasione dal furgone. Tutto questo infrangendo clamorosamente le restrittive leggi norvegesi che vietano severamente l’uso di alcolici e superalcolici all’aperto. Ma noi italiani non lo sappiamo (ufficialmente). Ci ricorderemo per tutta la vita di questo sapore dolce, le carni sode addentate con tanto gusto, il goccio di vino a sposare il tutto: uno dei momenti più esaltanti e indimenticabili del viaggio, ne siamo certi. Ci concediamo un bel momento di relax in mezzo a queste montagne, con un cielo turbinoso, che minaccia pioggia ma non la promette, salvo battezzarci per 2 minuti con uno scoscio che ci costringe ad indossare la mantellina e a toglierla meno di 300 metri dopo. E dietro di noi spunta un arcobaleno. Questa è la Norvegia, è per questo che siamo giunti fin qui, per goderci questa natura selvaggia e pulita, queste immagini di una bellezza primordiale, questi gusti intensi.
Bene. Manca poco. Solo tre (o quattro, a seconda del ritmo) tappe e Capo Nord verrà conquistato. Chissà cosa proveremo in quel momento. Vedremo. Ma nel frattempo pensiamo a goderci questi 540 e chilometri, che dovrebbero essere forse i più suggestivi, tra Sami, renne, muschi e licheni.
Il punto tecnico
Abbandoniamo un paio di volte la E 10, e seguiamo due stradine secondarie, entrambe molto belle. Anche oggi è la giornata dei ponti e quello che ci fa abbandonare le isole Vesteralen per tornare sulla terraferma è veramente imponente. Altra foratura di Alberto, che passa in testa alla classifica.
Fossbakken-Skybotn km 168, media kmh 25,3, totale complessivo km 3817
TAPPA 23 sabato 14 luglio 2007 Skybotn-Sekkemo km 173 Media kmh 24,8
TANTE CASCATE… NESSUNA CADUTA (PER FORTUNA)
Stiamo per entrare nella regione del Finnmark, la più settentrionale e selvaggia della Norvegia ma anche questa, la regione di Troms, per quanto visto oggi, è straordinariamente affascinante. Partiamo dal campeggio di Skybotn e cominciamo a costeggiare un fiordo che seguiremo per quasi tutta la giornata: è incredibile l’orografia di questa nazione, hai acqua a destra, a sinistra, segui il bordo di fiordi per chilometri e chilometri e basterebbe un ponte o un traghetto per risparmiare 50 o 60 chilometri.
Questo fiordo ha come caratteristica che le montagne sono proprio a ridosso della strada, a piombo, con decine e decine di cascate che piombano addosso. È una montagna che trasuda acqua, dai nevai in alto partono decine e decine di torrenti e cascate torrenziali. È uno spettacolo della natura, con questa acqua gorgogliante, spumeggiante, che traccia delle linee bianche in mezzo alle foreste verdissime: con le vaste chiazze di neve abbondanti lo spettacolo è assicurato, considerando che le altezze sono molto relative, nettamente inferiori ai mille metri di altitudine. E quando passiamo a fianco di queste rumorose cascate, che spesso infradiciano l’asfalto, sentiamo un alito di ghiaccio investirci. Da brividi.
La strada è affascinante, pianeggiante e piacevole con il mare sempre a sinistra, una piacevolissima costiera dove si può lasciare andare tranquillamente la bici. Contrariamente al solito - ormai abbiamo adottato la seguente procedura: sveglia alle 6, colazione alle 7, partenza alle 7.30 – quest’oggi partiamo alle 9,15 perché attendiamo l’apertura della reception del campeggio, dove la simpaticissima direttrice ci mette a disposizione il suo computer per l’aggiornamento. Questo vuol dire che, udite udite, per la prima volta riusciremo ad essere puntuali con l’aggiornamento e, essendo oggi sabato mattina, Marco potrà in poco tempo mettere tutto a disposizione degli utenti. Abbiamo preferito quindi partire più tardi ma non perdere quest’occasione unica: meglio tardi che mai.
Dopo una ventina di chilometri troviamo un altro gruppo di ciclisti fermi sul ciglio della strada: sono dei polacchi partiti dalle isole Lofoten per giungere a Capo Nord. È un gruppone misto di 24 persone, uomini e donne, con biciclette di tutti i tipi (nessuna da corsa) provenienti da diverse città della Polonia e fanno parte di un’associazione di amici della bicicletta. Solidarizziamo con loro e percorriamo assieme a 5 o 6 di loro un tratto di una trentina di chilometri, sempre sulla riviera. Pedalando lungo il fiordo osserviamo capanni di pescatori, pescherecci ormeggiati, perfino essiccatoi per baccalà, che avevamo ammirato solamente alle Lofoten, ma con forma diversa (cioè sviluppati in altezza) e coperti dalle reti per evitare l’attacco degli uccelli, ghiotti di questa meraviglia seccata al sole e asciugata al vento.
La colazione di oggi – a dire il vero sarebbe la seconda colazione quella che facciamo normalmente alle 10.30 – la consumiamo assieme a due dei polacchi: banane, biscotti e un dolce in mezzo ad un mare di fiori fucsia, che ci serve da sfondo per una bella foto a ricordo del momento. Abbiamo appena evitato l’attraversamento di due lunghe gallerie vietate ai pedoni e alle bici che siamo riusciti ad aggirare utilizzando la vecchia strada: abbiamo scansato un ulteriore pericolo.
Giungiamo all’ora di pranzo con una piacevole pedalata sul lato opposto del profondo fiordo appena fatto, e troviamo delle ottime penne al tonno dello Chef. Pranziamo sotto un enorme ghiacciaio che riempie il catino di una grande montagna che si specchia nel mare.
Ancora acqua, cascate, laghetti e poi, dopo tanto tempo, una vera salita, con tanto di sudore e 400 metri di dislivello. Ma dopo ogni salita c’è un premio e in questo caso non è solo la discesa, pur bellissima, ma sicuramente il panorama: affascinante, ci lascia senza fiato, una visione dall’alto di un altro fiordo con isole centrali, un mare azzurro intenso che pare quello Adriatico della Croazia, le vette imbiancate che si riflettono sul mare su cui si specchiano numerose nuvolette. Insomma, ci fermiamo qualche minuto per ammirare questo incanto e ai nostri piedi ci sono parecchi cumuli di neve. Il tutto a 402 metri di altezza.
La discesa, come anticipato, è stato bellissima, con ampie curve con vista mare e nessun segno di frenata: ci lanciamo sui sessanta/sessantacinque all’ora.
Giungiamo al campeggio alle 18.15, un luogo spartano ma situato in posizione panoramica. Questa sera, da buoni veneziani, non possiamo non pensare alla festa del Redentore che sta impazzando nella nostra città e in suo onore Gusso ha comprato una bella anguria. E ai botti… ci pensa Eolo
Il punto tecnico
La E6 corre per decine di chilometri in riva al fiordo, su strada assai poco frequentata. Ci sono due pericolose e lunghe gallerie, interdette alle biciclette, ma riusciamo ad aggirarle grazie alla strada vecchia, laterale.
Al km 150 circa comincia una salita di 5 chilometri di lunghezza, abbastanza impegnativa, che ci porta a quota 402.
Skybotn-Sekkemo km 173, media kmh 24,8, totale complessivo km 3990
TAPPA 24 domenica 15 luglio 2007 Sekkemo-Skaidi km 212 Media kmh 24,2
L’OTTAVO NANO
Interno di bungalow: ore 6 della mattina, luce smagliante che non impedisce però che i quattro bozzoli rannicchiati dentro i sacchi a pelo abbiano dormito saporitamente con tanto di supporto musicale da taglialegna. Alle 6 e 5 i primi movimenti del risveglio, si va a turno in bagno comune a lavarsi, farsi la barba, poi si rientra nella nostra casettina in legno, piccola ma graziosa con quattro letti a castello, e si cominciano a preparare i bagagli, dapprima la valigia grande, quella grigia, poi quella nera da consegnare a Mario che già da più di mezz’ora è indaffarato attorno al furgone, la sua creatura, dove sistema perfettamente tutto il materiale: ogni cosa ha un suo posto preciso e se qualcun altro tocca qualcosa all’interno del mezzo lui se ne accorge subito e si lamenta rumorosamente. Mario è il nostro uomo d’ordine, estremamente pratico, il vero homo faber, che sposta, fa spazio, sistema, trova tutto, costruisce la capanna dello zio Tom e tanto altro ancora. Rappresenta certamente l’anima positiva del gruppo, sempre solare, non si arrabbia mai e soprattutto non tiene il broncio in caso di discussioni.
Ma tornando alla mattinata, si carica il camioncino (c’è sempre qualcuno in ritardo con i bagagli e che poltrisce qualche minuto più degli altri) poi Chef Gusso prepara te e caffé (quattro preferiscono la nostra italica bevanda, altri quattro invece propendono per una tazza di biondo nettare), taglia fette di pane in quantità industriale, stappa almeno due vasetti di marmellata e gli avvoltoi si calano all’improvviso facendo piazza pulita, compresi i biscotti norvegesi secchi, molto apprezzati. Consumiamo il tutto su un tavolo all’aperto baciato da un sole già altissimo in cielo (per forza… non è mai scomparso) con vista magnifica sul fiordo. Questa sera, prima di andare a letto, mi sono accorto di una cosa che non avevo mai realizzato: si parla tanto di questo sole di mezzanotte, di cui siamo ormai quasi stufi, ma qui, per molti giorni all’anno non si vedono le stelle. Quelle cioè che sono i nostri ancestrali riferimenti notturni, con tanto di costellazioni, qui d’estate assolutamente non si vedono e ieri sera ne ho sentito veramente la mancanza.
Alle 7,15 siamo già in strada, pronti a scalpitare, dato che la tappa prevista è lunga e difficile. In effetti oggi è la partenza più mattutina, ma ci aspetta subito una salita difficile e lunga; la giornata oggi è meravigliosa, limpida, trasparente, un cielo pulito, terso, ben poco norvegese secondo quello che ci aspettavamo.
La salita la affrontiamo con tranquillità e, dato l’allenamento ormai acquisito (stamattina abbiamo appena superato i 4000 chilometri), ce la “fumiamo”. La strada si tuffa, immancabilmente su numerosi fiordi; nelle zone in ombra sentiamo l’alito gelido della roccia bagnata che ci ghiaccia le ossa. Dopo aver superato un lungo tratto di strada in riparazione, ben 8 chilometri, capitiamo in un tratto di mare a dir poco fantastico: casette di pescatori, casette da villeggiatura, costiera “amalfitana”, mare azzurro, chiesetta domenicale con credenti annessi, barche a pancia all’aria, ovviamente con l’immancabile sfondo di cime innevate, Siamo ormai nei pressi di Alta, la cittadina capitale del Finnmark, totalmente ricostruita dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale e secondo centro della Norvegia Artica dopo Tromso. Vi giungiamo dopo aver percorso ben 117 chilometri alle 12.15 e in questa quinta domenica di viaggio ci concediamo una digressione culturale: non possiamo non ammirare il locale Museo con le affascinanti incisioni rupestri sulla scogliera, effettuate circa 6000 anni fa, in piena età della pietra. Eccole qui, con questa semplicità infantile che però rappresenta scene di caccia, di pesca, che delinea perfettamente orsi e renne, con questo colore ocra che ne mette in risalto i profili e che, se ricordo bene, rappresenta in qualche modo la fertilità ricordando il sangue del ciclo femminile. E nel museo e durante la visita a queste affascinanti figurine, peraltro dichiarate patrimonio dell’Umanità dall’Unesco e rinvenute solamente una trentina circa di anni fa, avviene un incontro per noi importante e dalle conseguenze future: quello con il giovane Andrej, ciclista polacco che pedala da solo con un bagaglio di 30 chili. Fino alla scorsa settimana aveva viaggiato per le isole Lofoten e Vesteralen, come abbiamo fatto noi, assieme alla giovane moglie, ma ora che lei è rientrata in patria per lavorare (sono entrambi giudici) lui ha continuato il suo viaggio verso Capo Nord, con tappe di circa 150 chilometri al giorno. Gli offriamo il biglietto di ingresso al museo, poi lui si aggrega a noi, vuole parlare, ha bisogno di compagnia, e noi gliela concediamo volentieri: un po’ di conforto e aiuto non si nega mai, soprattutto a un collega. E in più per molti di noi può essere un figlio, soprattutto per il presidente Franco, dato che i capelli biondi e gli occhi azzurri sono proprio come quelli del figlio Alessandro.
Durante la visita abbiamo l’opportunità pure di conoscere Luca, un ragazzo italiano originario dell’isola d’Elba che lavora d’estate presso il Museo in qualità di guida per affinare la conoscenza delle lingue scandinave, che sta studiando alla Sorbona. Incuriosito e stupito del nostro viaggio (anche lui ama la bici) ci incoraggia e ci saluta.
Ma stiamo ripartendo, finita la visita, quando avviene la sorpresa: Andrei ci chiede se può aggregarsi a noi, mettendo i suoi bagagli nel pulmino e effettuare le tappe fino a Capo Nord al nostro fianco. E come si può rifiutare? Certo che sì, direbbe Pisolo. E allora ecco il nuovo aggregato, sarebbe l’ottavo nano se così non fosse stato nominato sul campo il nostro bravo aiutante Marco.
Tanto per sconvolgere ancor di più gli equilibri acquisiti in 30 giorni di convivenza, per la prima volta oggi decidiamo di concederci il lusso di pranzare al ristorante lasciando perdere la consueta pasta quotidiana. Questo perché qualcuno di noi lamentava da giorni la mancanza di carne nella nostra dieta e Biancaneve oggi ha letto nella guida Lonely Planet che ad Alta c’è una buona Steak House che serve ottime bistecche al sangue. Certo che sarebbe stato meglio mangiarle a cena tutte queste proteine e continuare con i carboidrati a pranzo ma qui bisogna fare di necessità virtù dato che questa sera saremo distanti altri 90 chilometri dalla bistecca e dalla Steak House. Quindi invitiamo anche Andrei e tutti assieme ci rechiamo in un bell’ambiente, di proprietà, scopriremo alla fine, di kossovari, dove ci godiamo una bistecca altra tre dita, patate e un paio di gerle di pane. Ottimo pranzo, addirittura con tanto di birra, ma chissà se riusciremo mai a fare i restanti 90 chilometri!?
E il percorso si rivelerà, ovviamente, molto impegnativo, con una salita abbastanza ripida proprio dopo Alta e soprattutto un altopiano ricco di ondulazioni e con vento contrario che sottopone a notevoli sforzi le nostre gambe. E qui in cima soffia un vento non solo contrario ma anche gelido, sempre attorno a quota quattrocento. Nel frattempo il paesaggio cambia, ora la natura sembra quasi ostile, con paesaggi brulli, muschi e licheni pur mantenendo una notevole dose di fascino proprio per questa desolazione. Il sole è scomparso, il gelo è abbastanza intenso, al nostro fianco ora scorre un bel fiume ricco d’acqua.
E improvvisamente ci taglia la strada la prima renna, dalle corna ramificate e dal corpo snello ma grande: restiamo affascinati, ci passa accanto e se ne va.
La tappa sta diventando dantesca tra salite, vento contrario, la renna, e anche la presenza del nuovo amico Andrei, che con la sua mountain-bike tiene perfettamente il nostro ritmo. Anzi a lui non par proprio vero, gli sembra di volare liberato dal fardello di 30 chili che gli stava logorando i tendini per l’eccessivo sforzo
Giungiamo a Skaidi dopo 207 chilometri ma qui non c’è campeggio: dobbiamo farne altri 5, che dovremo ripercorre domani per rimetterci nuovamente sulla E6.
Ma domani sarà l’ultimo e quindi tutto, ahimé, finirà.
Il punto tecnico
Strada sempre panoramica, nel complesso buona con qualche ondulazione, che nel prosieguo della giornata si trasforma in salita vera e propria. Al km 70, per altri 8, si incontrano dei lavori stradali che rendono complesso il transito.
Quindi si passa attraverso un lungo e faticoso altopiano.
Sekkemo-Skaidi km 212, media kmh 24,2, totale complessivo km 4202
TAPPA 25 lunedì 16 luglio 2007 Skaidi-Nordkapp km 160 Media kmh 20,6
IN CULO MUNDI
Proprio durante la notte che precede il grande giorno, quello tanto agognato, dell’arrivo a Capo Nord, giunge imprevisto e improvviso lui, il generale inverno. Di soppiatto, Totò direbbe in uno dei suoi film “tomo tomo cacchio cacchio” si è presentato all’alba con una divisa grigia, fredda, un cielo plumbeo e invernale. Siamo in ottobre, forse in novembre, ed è il 16 luglio. Non male. Sì ho detto 16 luglio, cioè un giorno prima del previsto poiché a forza di fare tappe lunghe abbiamo tagliato una tappa, anche e soprattutto per concederci un ritorno più rilassato in quanto venerdì 20 dobbiamo essere a Stoccolma per l’aereo che quattro di noi prenderanno: e sono 1900 chilometri da fare in otto dentro un pulmino stipato al massimo e con otto bici sul tetto.
La tappa di oggi è relativamente breve, 158 chilometri, ma di salite ce ne sono parecchie e questo rende tutto più difficile. Aggiungiamoci pure il clima artico, anzi polare e il cocktail è micidiale. Ma del resto forse è giusto così, arrivare a Capo Nord col sole e col cielo azzurro sarebbe stato poco consono alla meta.
All’inizio della tappa almeno il vento è a favore e questo ci aiuta a ridurre il chilometraggio mancante: la partenza mattutina, anche oggi alle 7.30 e in funzione dei festeggiamenti e delle immagini che vogliamo scattare.
Si respira un’atmosfera elettrizzata, come tutti gli ultimi giorni, però siamo anche ben consci che non dobbiamo mollare ancora la tensione: le insidie non sono ancora finite e di solito si annidano proprio nel primo e nell’ultimo giorno, quando cioè per un motivo o per l’altro, le emozioni rischiano di far perdere la giusta concentrazione.
Freddo, saranno dieci gradi al massimo ma il vento, almeno nel primo mattino, sposta le nuvole e ci regala qualche bello scorcio, un accenno di arcobaleno e pure ci porta qualche schizzo di pioggia. Pedaliamo in un ambiente particolarissimo, costeggiando il mare su una striscia di asfalto rubata alle rocce a strapiombo. Il lavoro dell’uomo qui è stato possente, mastodontico, la natura domina selvaggia e le poche abitazioni che vediamo sembrano quasi fuori luogo: come potranno vivere delle persone a queste latitudini?! Gabbiani immensi ci affiancano quasi deridendoci nel nostro goffo procedere rispetto il loro regale volo, ma noi siamo contenti lo stesso in sella dei nostri fedeli destrieri che ci stanno portando alla conclusione di questa pazza cavalcata attraverso l’Europa.
È un luogo aspro, solo sassi e erba, qualche renna che osserviamo ormai distrattamente, proprio come Reginella della famosa canzone napoletana. E in questa costiera desolata ogni tanto la strada scompare nella montagna e si trasforma in lunghe gallerie insidiose, sempre a dire il vero abbastanza ben illuminate e assai poco frequentate, ma per dei ciclisti costituiscono sempre un problema. La prima è di ben 3 chilometri, poi ci sorbiamo lo spauracchio del nostro viaggio, cioè quel tunnel subacqueo che collega la terraferma con l’isoletta su cui è posizionato il Capo Nord. Sono 7 chilometri che vanno fino a 220 metri sotto il livello del mare e questo significa che c’è una discesa vertiginosa di 3 chilometri, un tratto pianeggiante di circa 1 e altri 3 chilometri di salita dura, al 9 per cento, sotto acqua, con una luce fioca e il frastuono assordante degli aspiratori che intontisce. Ne usciamo provati dopo circa un quarto d’ora con la consapevolezza di aver superato l’ultimo ostacolo che, prima di partire, avevamo reputato abbastanza duro, soprattutto per qualcuno di noi che ha qualche problema di claustrofobia.
All’una e mezza riceviamo una telefonata in corsa: è il carissimo Gianni Caprioglio, il doge della Confraternita del Baccalà mantecato, che continua a seguirci a distanza con passione e curiosità. Gli promettiamo la prima telefonata da capo Nord con l’annuncio ufficiale del nostro arrivo. Se lo merita davvero.
Ormai scalpitiamo, avevamo programmato di fermarci ad un campeggio a 35 chilometri da capo Nord per consumare una pastasciutta al volo, prendere possesso dei bungalow per la notte e poi ripartire per la meta e quindi ritornare. Ma il tempo è in peggioramento, siamo intirizziti e ghiacciati, anche se Filiberto e Alberto si ostinano ancora a pedalare con pantaloncini corti e guanti estivi. In più il fantomatico campeggio non arriva mai e, quando giunge… è tutto esaurito. Attimo di sconforto, poi puntiamo su quello a 10 km dalla nostra meta. Il freddo è pungente, siamo attorno ai 4-5 gradi, ma la cosa più sconvolgente è il vento, laterale, fortissimo, con folate violentissime attorno ai 60-70 chilometri che ti costringono a pedalare inclinati a 15°/20°. Situazione paradossale soprattutto se pensiamo che oggi è il 16 luglio.
La salita è impegnativa, circa 3 chilometri al 9 per cento ma il vento la rende drammatica: il gruppo si sgrana e diventa una drammatica corsa a cronometro lungo i pochi tornanti e i molti infiniti rettilinei. Stiamo approdando alla nostra meta nella maniera più eroica possibile, conquistandocela sotto le intemperie. Cade dal cielo qualcosa di ghiacciato. Qualche renna ci guarda esterrefatta, i pochi automobilisti chissà cosa pensano di queste creature ondeggianti e assolutamente instabili che cercano di aggredire l’ultima salita. Sì perché Capo Nord è a circa 300 metri di altitudine, sovrasta il mare. E a capo Nord giungiamo alle 17, con un giorno di anticipo.
Manteniamo la promessa e telefoniamo al doge Caprioglio: “Nunzio tibi magno cum gaudio: sumus in Culo Mundi”. Memore del diario del Querini mi permetto questa battuta, in effetti ci sentiamo in un posto lontanissimo, abbandonato, neppure troppo affascinante o appariscente se non fosse per la carica emotiva, magnetica, data dall’idea di essere nel luogo più a nord del continente. “Questo scoglio (Rost, n.d.r.) era distante inver ponente dal capo di Norvegia, luogo forian ed estremo, perché è chiamato in suo lenguaggio Culo mundi…”
Ma nel culo mundi non dovrebbe esserci, come in effetti c’è qui, una macchina da soldi spennaturisti come il grande centro commerciale che accoglie chi giunge fin qui sbattendo sotto il naso oggetti, gadget, magliette, bandiere. E non dovrebbe neppure esserci un biglietto d’entrata, ben 30 euro a persona (ma i ciclisti sono benevolmente accettati gratuitamente, per fortuna).
Eccoci quindi arrivati, le emozioni sono forti ma difficili da esternare: come si fa ad esprimere un’idea su ciò che abbiamo fatto, su ciò che abbiamo visto, su ciò che ognuno di noi otto ha provato sulla propria pelle? Probabilmente risultano otto viaggi diversi, con altrettante aspettative e altrettanti risultati. Ci vorranno dei mesi a farle emergere, a sublimarle. Nel frattempo vi bastino questi flash:
Mario
La favola di Biancaneve è terminata e vissero tutti felici e contenti, ma a me resta una fantastica avventura che ho toccato con mano e che porterò sempre nel mio cuore assieme alle immagini della natura selvaggia norvegese e il planisfero di Capo Nord.
Paolo
Norvegia, nazione che ci ha accolto per più giorni, dove regna la natura nei suoi aspetti più spettacolari, trionfo dell’acqua con fiordi, fiumi e cascate. Tutto questo noi abbiamo vissuto pedalando lentamente per 30 giorni.
Dino
Capo Nord era un sogno per un’idea che si è realizzata… nel mio primo mezzo secolo di vita meravigliosa.
Franco (Angiolin)
Dal sogno alla realtà: oggi 16 luglio rispettando il programma, più forti di brutti pensieri, grandi preoccupazioni e responsabilità nei confronti di chi ci ha aiutato e sponsorizzato, condivisi nei mesi precedenti con il nono uomo e la famiglia, la felicità e gioia non si possono descrivere e mi rende orgoglioso di questo meraviglioso gruppo di soci e amici che per 4350 km hanno onorato le maglie neroverdi con il leone di San Marco a conquistare anche Capo Nord.
Alberto
Un altro viaggio, altre esperienze, altre emozioni da condividere, questa volta artiche ma non per questo meno calde, anzi bollenti.
Franco (Gusso)
Grazie sette nani, siete stati dei meravigliosi compagni di viaggio.
Piero
Tanta fatica, soprattutto nelle prima tappe, ma il premio è stato molto più grande dello sforzo, tanto emozionante da far venire la pelle d’oca.
Filiberto
Un sogno nel cassetto, un punto all’estremo nord dell’atlante che mai hai preso in considerazione perché lontanissimo ma che ora, per una fortuita coincidenza ti trovi la possibilità di raggiungere con gambe e cuore. Emozioni bellissime e occhi piene di sudore, occhi pieni di acqua che godono di paesaggi che mai avrei immaginato. Grazie bicicletta e grazie famiglia del Pedale Veneziano e a chi si è dato un gran daffare per realizzare il sogno.
Le parole sono troppo poche per esprimere tutto ciò che ci passa per la testa, ma non possiamo non ringraziare chi ha creduto nel nostro viaggio, chi ci ha aiutato, chi ha condiviso con noi gioie e preoccupazioni, chi da casa ci ha seguito quotidianamente nonostante le nostre difficoltà di trasmissione, chi ha creduto in noi e soprattutto chi ancora ci crede.
Grazie di cuore, è anche grazie a voi che siamo giunti… in Culo Mundi.
Il punto tecnico
Dopo 50 km abbandoniamo definitamene la E6 e prendiamo la strada per capo Nord, che attraversa due lunghe gallerie e un tunnel subacqueo che scende fino a 220 metri sotto il mare. Si paga pure un pedaggio all’uscita (esclusi i ciclisti), un automezzo circa 20 euro. Quindi la strada si fa molto impegnativa, con salite dure e continue e soprattutto il vento, spesso contrario o laterale che ci affligge per molti chilometri. L’arrivo è quasi desolante, con dune pelate abitate solo da renne.
Skaidi-Nordkapp km 160, media kmh 22,1, totale complessivo km 4362